Il viaggio di Agnès Varda, regista belga novantenne, e del trentacinquenne street artist francese JR, è un road movie in forma di documentario che unisce fotografia e poesia e che, oltre a vincere il premio de L'Œil d'or a Cannes 2017, è stato candidato all'Oscar 2018 come miglior documentario (trailer ita e trailer originale).
La regista di Cleo dalle 5 alle 7 (1961), film di cui vediamo uno spezzone all'inizio, e il giovane artista che utilizza la tecnica del collage fotografico per rivestire interi edifici, si muovono su un veicolo particolare, a forma di macchina fotografica e, soprattutto, in grado di stampare grossi fogli che permettono a JR di creare i suoi incredibili decoupage. Tutto sembra essere leggero e surreale, in una storia che inizia e finisce con le sagome dei protagonisti che prendono la forma di disegno.
Accompagnati dalla musica allegra, grave e malinconica di Matthieu Chedid, i due attraversano la Francia e si fermano in diversi luoghi in cui l'arte di JR riqualifica e decora fabbriche, ciminiere, angoli di palazzi, e fa parlare realtà altrimenti anonime, come quelle di agricoltori, postini e operai. Grazie a loro in un ex villaggio di minatori le vecchie case prendono il volto di chi le ha abitate e, soprattutto, quello di Jeanine, figlia di un minatore, l'ultima rimasta di quell'epoca; in un paese usano grandi lettere, ironico doppio senso per le lettere recapitate dal postino.
In Normandia Agnès ricorda delle foto scattate nel 1954 e una di quelle viene ingrandita fino a coprire un rudere bellico di un bunker arenato sulla spiaggia. Qui però, l'opera di JR è più effimera del solito, poiché basterà una marea per cancellarla completamente.
Il tema portante è il volto delle persone comuni, e la voglia "di incontrare nuovi visi", che destano sempre interesse in un fotografo, perché come dice Agnès "ogni viso ha una storia", come quello della bellissima nonna di JR, che ha appena compiuto cento anni.
Oltre questo, però, c'è anche la ricerca di visi celebri e modelli per il loro lavoro, ma oggi non più visibili: Henri Cartier Bresson, la cui tomba al fianco della compagna Martine è serenamente tra la natura, ma anche Jean Luc Godard, un tempo amico di Agnès, e che ora non si fa trovare in casa il giorno dell'incontro pattuito, scatenando l'ira della regista e fotografa belga, che lascia sulla sua porta un fantastico biglietto in cui rivisita la popolare canzone settecentesca Au clair de la lune per irridere l'ospite assente.
Eppure i due omaggiano il padre della Nouvelle Vague ripetendo la celebre corsa all'interno delle sale del Louvre, come facevano i protagonisti di Bandé a part (1964), ma stavolta sono solo due invece dei tre di allora, se non si vuole considerare la sedia a rotelle di Agnès come un terzo personaggio.
Anche il passaggio a Le Havre diventa un'occasione per fare arte, attraverso gli scatti alle mogli dei portuali e utilizzando come set i container in cui risalta la fierezza di queste donne forti e sorridenti.
Lo stesso orgoglio è quello di un'allevatrice, che lamenta come molti suoi colleghi taglino le corna alle capre, togliendole una parte essenziale del loro istinto al combattimento e trasformandole in un prodotto: la foto con uno degli animali con le corna in bella vista, ça va sans dire, finirà nel progetto di Agnès e JR.
Non solo Godard, però, come modello cinematografico, poiché anche se Agnès ricorda che "il caso è sempre stato il migliore dei miei assistenti" e che "tutto dipende da come uno vede le cose", la forza e l'importanza della visione soggettiva, le permette di citare l'occhio di Un chien andalou (Buñuel 1929).
Proprio legato al concetto di vista, di cui inevitabilmente fotografia e cinema sono estensioni naturali, Agnès e JR inscenano anche una gag che ripetono continuamente e in cui la donna lamenta il costante uso degli occhiali da sole del giovane collega che definisce "un velo nero tra di noi".
JR, però, anche se non toglie mai gli occhiali (altro evidente omaggio a Godard), è capace di un gesto meraviglioso nei confronti di Agnès, quando le fotografa occhi e piedi per decorare il vagone di un treno: "così i tuoi piedi andranno dove tu non andrai mai".
Eppure, sembrano dirci i due registi e protagonisti, sempre consapevoli che "l'obiettivo è il potere dell'immaginazione", non è detto che togliere gli occhiali (metafora di obiettivo e mdp) permetta di essere visti meglio e chissà, forse in quel modo si vede solo in maniera più sfocata.
Tra ironia, tanta poesia e un lungolago che dà tanta serenità...
In Normandia Agnès ricorda delle foto scattate nel 1954 e una di quelle viene ingrandita fino a coprire un rudere bellico di un bunker arenato sulla spiaggia. Qui però, l'opera di JR è più effimera del solito, poiché basterà una marea per cancellarla completamente.
Il tema portante è il volto delle persone comuni, e la voglia "di incontrare nuovi visi", che destano sempre interesse in un fotografo, perché come dice Agnès "ogni viso ha una storia", come quello della bellissima nonna di JR, che ha appena compiuto cento anni.
Oltre questo, però, c'è anche la ricerca di visi celebri e modelli per il loro lavoro, ma oggi non più visibili: Henri Cartier Bresson, la cui tomba al fianco della compagna Martine è serenamente tra la natura, ma anche Jean Luc Godard, un tempo amico di Agnès, e che ora non si fa trovare in casa il giorno dell'incontro pattuito, scatenando l'ira della regista e fotografa belga, che lascia sulla sua porta un fantastico biglietto in cui rivisita la popolare canzone settecentesca Au clair de la lune per irridere l'ospite assente.
Eppure i due omaggiano il padre della Nouvelle Vague ripetendo la celebre corsa all'interno delle sale del Louvre, come facevano i protagonisti di Bandé a part (1964), ma stavolta sono solo due invece dei tre di allora, se non si vuole considerare la sedia a rotelle di Agnès come un terzo personaggio.
Anche il passaggio a Le Havre diventa un'occasione per fare arte, attraverso gli scatti alle mogli dei portuali e utilizzando come set i container in cui risalta la fierezza di queste donne forti e sorridenti.
Lo stesso orgoglio è quello di un'allevatrice, che lamenta come molti suoi colleghi taglino le corna alle capre, togliendole una parte essenziale del loro istinto al combattimento e trasformandole in un prodotto: la foto con uno degli animali con le corna in bella vista, ça va sans dire, finirà nel progetto di Agnès e JR.
Non solo Godard, però, come modello cinematografico, poiché anche se Agnès ricorda che "il caso è sempre stato il migliore dei miei assistenti" e che "tutto dipende da come uno vede le cose", la forza e l'importanza della visione soggettiva, le permette di citare l'occhio di Un chien andalou (Buñuel 1929).
Proprio legato al concetto di vista, di cui inevitabilmente fotografia e cinema sono estensioni naturali, Agnès e JR inscenano anche una gag che ripetono continuamente e in cui la donna lamenta il costante uso degli occhiali da sole del giovane collega che definisce "un velo nero tra di noi".
JR, però, anche se non toglie mai gli occhiali (altro evidente omaggio a Godard), è capace di un gesto meraviglioso nei confronti di Agnès, quando le fotografa occhi e piedi per decorare il vagone di un treno: "così i tuoi piedi andranno dove tu non andrai mai".
Eppure, sembrano dirci i due registi e protagonisti, sempre consapevoli che "l'obiettivo è il potere dell'immaginazione", non è detto che togliere gli occhiali (metafora di obiettivo e mdp) permetta di essere visti meglio e chissà, forse in quel modo si vede solo in maniera più sfocata.
Tra ironia, tanta poesia e un lungolago che dà tanta serenità...
Nessun commento:
Posta un commento