lunedì 8 febbraio 2016

Macbeth (Kurzel 2015)

Justin Kurzel ha avuto l'ardire di rimettere in scena la celebre tragedia shakespeariana su cui il cinema si è più volte cimentato. Quella del regista australiano, infatti, è la dodicesima versione per il grande schermo del Macbeth, che ha avuto illustri precedenti diretti da Orson Welles (1948), Akira Kurosawa (Trono di sangue, 1951) e Roman Polanski (1971). L'ultima versione in termini di tempo, infine, era stata quella intitolata Macbeth - La tragedia dell'ambizione (Wright 2006) che, sull'esempio del Romeo + Giulietta di William Shakespeare di Baz Luhrmann (1996), aveva trasposto il dramma ai giorni nostri, facendo di Macbeth un trafficante di droga che punta a prendere il posto del boss Duncan e delle tre streghe altrettante studentesse sexy.
Kurzel torna al classico e inserisce nel film tanto naturalismo, secondo i canoni del cinema della sua terra. La sua mdp contrasta l'ambientazione teatrale del testo e indugia sugli esterni, tra pire funebri (l'inquadratura frontale dall'alto all'inizio del film fa pensare a Melancholia - von Trier 2011) e battaglie fatte di assalti, veloci movimenti alternati al ralenti che, quando interviene, annulla il sonoro delle armi e degli scontri per lasciar posto al solo sottofondo musicale. Un'elegia che, però, non rinuncia alle iperrealistiche rese delle uccisioni e delle spade che tagliano e trapassano corpi senza lasciare davvero nulla all'immaginazione.
La più importante trovata narrativa e scenica dell'intero film è, però, senza dubbio quella in cui si avvera parte della profezia delle "parlatrici imperfette". A differenza del testo shakespeariano e degli altri adattamenti cinematografici, infatti, Macbeth non vede "avanzare" la foresta con i soldati ricoperti di fronde per mimetizzarsi, ma sono le fiamme e il vento che portano fino a lui le foglie bruciate e gli odori del bosco di Birnan. È così che si genera l'atmosfera in cui avviene il combattimento tra lo stesso Macbeth e il "non nato da donna" MacDuff, altro elemento della profezia che condanna il protagonista ancor prima dell'esito del duello, paradossalmente influenzato dalla presa di coscienza dell'avverarsi di quell'anatema e non viceversa, in piena consonanza con l'ineluttabilità della tragedia e con quel modello imprescindibile che è l'Edipo Re di Eschilo.
Ottimi gli attori: Michael Fassbender raggiunge la consacrazione, se ancora ce ne fosse stato bisogno, interpretando un grande personaggio shakespeariano, un passaggio obbligato per ogni grande attore di lingua inglese; Marion Cotillard è bravissima come sempre e, nonostante i suoi dolci lineamenti,  o forse ancor di più grazie ad essi, riesce ad essere perfettamente credibile quando l'avidità di potere si impossessa della sua Lady Macbeth e mostra gli occhi spiritati mentre continua a lavarsi continuamente le mani per i suoi sensi di colpa. I due protagonisti duettano splendidamente e regalano scene di grande intensità drammatica. Tra gli altri attori si mettono in evidenza soprattutto Sean Harris (MacDuff), Patty Considine (Banquo) e  David Thewlis (Duncan).
Un paio di suggestioni storico artistiche per chiudere. Bellissima la ricostruzione della cappella all'interno del castello di Dunsinane, illuminata dalla sola luce delle candele, nella quale prega Lady Macbeth davanti ad un altare su cui si distingue perfettamente una decorazione a monocromo del Giudizio Universale con san Michele che pesa le anime, così come lo è altrettanto, posto al centro di una solenne architettura, il trono di Macbeth, che sembra riprendere per molti versi l'eburnea Cattedra di Massimiano (Ravenna, Museo Arcivescovile), aggiornata su motivi decorativi anglosassoni.
È pressoché impossibile che questa pellicola, col tempo, possa reggere il confronto con quelle di Welles, Kurosawa e Polanski, ma il fascino non le manca! 

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