Rispetto a quello che forse è il capolavoro massimo del regista milanese, La marcia su Roma è inevitabilmente un film minore, ma ben scritto da un gruppo di sceneggiatori di altissimo livello: Age, Furio Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Sandro Continenza, Ghigo De Chiara.
Il risultato è una divertente parodia degli anni immediatamente precedenti ai vent'anni più complicati del Novecento italiano. La pellicola di Risi ripete, in qualche modo, l'operazione straordinaria de La grande guerra (Monicelli 1959) e, come in quel caso la Prima guerra mondiale veniva raccontata attraverso le vicende di due scalcagnati commilitoni interpretati da Vittorio Gassman e Alberto Sordi, stavolta la salita al potere del fascismo ha il volto dello stesso Gassman accompagnato da Ugo Tognazzi.
Il risultato è una divertente parodia degli anni immediatamente precedenti ai vent'anni più complicati del Novecento italiano. La pellicola di Risi ripete, in qualche modo, l'operazione straordinaria de La grande guerra (Monicelli 1959) e, come in quel caso la Prima guerra mondiale veniva raccontata attraverso le vicende di due scalcagnati commilitoni interpretati da Vittorio Gassman e Alberto Sordi, stavolta la salita al potere del fascismo ha il volto dello stesso Gassman accompagnato da Ugo Tognazzi.
Milano 1919. Domenico Rocchetti (Vittorio Gassman) è un reduce della Grande guerra che cerca di sbarcare il lunario facendo leva sulla pietà della gente a cui chiede l'elemosina millantando azioni eroiche mai vissute. Per sua sfortuna, uno dei cittadini che avvicina è davvero un suo vecchio superiore, che ben conosce la sua scarsa propensione al coraggio, e che, dopo averlo ripreso duramente, lo coinvolge con entusiasmo verso la nuova forza politica in ascesa.
Domenico lo segue più per "scroccare" un pranzo che per convinzioni ideologiche e, dopo un comizio nella campagna milanese, finito tra le proteste dei contadini, si ritrova nella casa di un vecchio commilitone, Umberto Gavassa (Ugo Tognazzi), che in realtà è ospite della sorella e del cognato, che approfitta della situazione per mettere alla porta entrambi.
Domenico e Umberto, diversi per idee politiche, ma identici per tanti altri versi, seguono i fascisti senza convinzione e perché in fondo non hanno alternative, e partecipano alla marcia che dalla Lombardia li porterà fino a Roma...
Gassman e Tognazzi sono straordinari e lo dimostrano sin dal primo incontro dei loro personaggi, con un'esilarante duetto in cui confondono il 'tu' con il 'lei', preannunciando e ironizzando proprio su quella che sarà un'ossessione del fascismo (si veda per esempio il bel recente documentario sulla lingua del ventennio Me ne Frego! - Gandolfo 2014).
E tutto il film è incentrato su questi aspetti, in una sequela di momenti che sottolineano sarcasticamente le assurde convinzioni di molti fascisti della prima ora, caratterizzati come un'armata brancaleone ante litteram (il capolavoro di Monicelli arriverà solo nel 1966).
Allo stesso tempo, però, la pellicola vista oggi presenta notevoli consonanze con diversi aspetti che qua e là si sono riaffacciati nel tempo nel nostro paese: dall'ostentazione dell'ignoranza - quando Umberto tenta di scrivere "viva il fascio" su un muro, non riuscendo a decidere se anteporre la c alla s o viceversa, risolve disegnandone uno - all'idea di rimboccarsi le maniche, sostituendo i netturbini in sciopero per pulire le strade e scatenando una rissa tra fascisti e manifestanti che farà finire i protagonisti in galera.
Tra i due è certamente Domenico quello più affascinato dalle nuove idee, mentre l'amore per Mussolini non è esattamente nelle corde si Umberto, che all'entusiastica affermazione di uno dei compagni di viaggio "ha rifiutato sette portafogli", risponde "erano troppo pochi!"
Domenico, però, pur se più convinto dimostra ampiamente di non avere ben chiare le posizioni fasciste, cosicché quando Umberto gli chiede perché stiano distruggendo una tipografia se sono così liberali e a favore della gente, prorompe con un quasi balbettato "se loro hanno la libertà di stampare... noi abbiamo la libertà di bruciare!"
Nella loro discesa dello stivale, da Milano a Piacenza a Mantova, per poi proseguire oltre, il gruppo di giovani malmessi che si è messo in testa di cambiare l'Italia - e qualcuno più convinto in effetti c'è, come dimostra il personaggio di Mitraglia (Mario Brega), che di fronte ai dissidenti arriva ad usare persino la pistola - verrà spesso frainteso. Divertentissima in tal senso, la frase di una monaca che, alla notazione di una consorella "hanno una testa di morto ricamata sul petto", commenta "saranno dell'ordine di San Giuseppe Calasanzio", oppure una signora che vedendoli in nero suppone "siete quelli del carbone?"
Saranno, però, ancora Umberto e Domenico che da ubriachi sintetizzeranno il valore di quella missione: "eravamo due zeri", riconoscendo di aver seguito la corrente perché in quel contesto "anche un fesso si sente forte"...
L'amara verità della sceneggiatura è quella del senno di poi, ma la domanda che sorge spontanea al solito Umberto è quella che in troppi si fecero al tempo, senza correre ai ripari: "ma ti pare che li fanno governare?"
Allo stesso tempo, però, la pellicola vista oggi presenta notevoli consonanze con diversi aspetti che qua e là si sono riaffacciati nel tempo nel nostro paese: dall'ostentazione dell'ignoranza - quando Umberto tenta di scrivere "viva il fascio" su un muro, non riuscendo a decidere se anteporre la c alla s o viceversa, risolve disegnandone uno - all'idea di rimboccarsi le maniche, sostituendo i netturbini in sciopero per pulire le strade e scatenando una rissa tra fascisti e manifestanti che farà finire i protagonisti in galera.
Tra i due è certamente Domenico quello più affascinato dalle nuove idee, mentre l'amore per Mussolini non è esattamente nelle corde si Umberto, che all'entusiastica affermazione di uno dei compagni di viaggio "ha rifiutato sette portafogli", risponde "erano troppo pochi!"
Domenico, però, pur se più convinto dimostra ampiamente di non avere ben chiare le posizioni fasciste, cosicché quando Umberto gli chiede perché stiano distruggendo una tipografia se sono così liberali e a favore della gente, prorompe con un quasi balbettato "se loro hanno la libertà di stampare... noi abbiamo la libertà di bruciare!"
Nella loro discesa dello stivale, da Milano a Piacenza a Mantova, per poi proseguire oltre, il gruppo di giovani malmessi che si è messo in testa di cambiare l'Italia - e qualcuno più convinto in effetti c'è, come dimostra il personaggio di Mitraglia (Mario Brega), che di fronte ai dissidenti arriva ad usare persino la pistola - verrà spesso frainteso. Divertentissima in tal senso, la frase di una monaca che, alla notazione di una consorella "hanno una testa di morto ricamata sul petto", commenta "saranno dell'ordine di San Giuseppe Calasanzio", oppure una signora che vedendoli in nero suppone "siete quelli del carbone?"
Saranno, però, ancora Umberto e Domenico che da ubriachi sintetizzeranno il valore di quella missione: "eravamo due zeri", riconoscendo di aver seguito la corrente perché in quel contesto "anche un fesso si sente forte"...
L'amara verità della sceneggiatura è quella del senno di poi, ma la domanda che sorge spontanea al solito Umberto è quella che in troppi si fecero al tempo, senza correre ai ripari: "ma ti pare che li fanno governare?"
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