domenica 13 dicembre 2015

Dio esiste e vive a Bruxelles (van Dormael 2015)

La fantasia al potere in maniera totalizzante!
È questa l'unica regola del nuovo film di Jaco van Dormael, giunto al quarto lungometraggio della carriera, inaugurata ormai quasi venticinque anni fa con Totò le Héros (1991). Una storia incredibile, divertente, surreale, poetica, cinefila e dissacrante...
La protagonista stavolta è una bambina, Ea (Pili Groyne), la cui voce off ci racconta la sua particolare famiglia: il padre (Benoît Poelvoorde), un burbero nullafacente, è Dio; sua madre (Yolande Moreau), una casalinga silenziosa e dedita al ricamo, è una dea, anche se nessuno la conosce, proprio per il suo carattere schivo; suo fratello (David Murgia), JC (sì, proprio come lo chiamavano in Jesus Christ Superstar), è andato via da casa da tempo, per il pessimo rapporto con il padre. 
Proprio uno scontro con l'intrattabile genitore causerà anche la fuga di Ea, che prima di scappare e girare per il mondo alla ricerca di sei apostoli, però, farà un terribile dispetto al padre: rivelare con un sms la data di morte a tutta l'umanità, scatenando un ingestibile deathleak e tante altre conseguenze...

Il film è un susseguirsi di trovate geniali e visionarie, spesso abilmente connesse.
La narrazione iniziale di Ea è strutturata come l'Antico Testamento e si parte con una Genesi postmoderna, che mostra la creazione degli animali in giro per una Bruxelles vuota ma completamente urbanizzata. Così le galline vanno al cinema, e naturalmente guardano un cartone animato con altre galline; le giraffe camminano in strada; una tigre guarda la tv a letto; uno struzzo si ritrova al supermercato. Il primo uomo è un Adamo disorientato per le vie della città belga...
Il passo successivo è ovviamente l'Esodo, che coincide con la fuga di Ea, la cui missione è visivamente rappresentata da uno dei ricami più kitsch della madre, una riproduzione dell'Ultima Cena di Leonardo. Sarà proprio il quadretto, infatti, a testimoniare la crescita del numero degli apostoli! Come le dirà suo fratello JC - esilarante la statuetta devozionale che prende vita come escamotage per far parlare i due - i suoi dodici apostoli con i sei della sorella totalizzeranno diciotto, il numero di una squadra di baseball, lo sport preferito dalla mamma.
Questo surreale nonsense aumenta con i luoghi della "casa di Dio". Prima di tutto uno studio in cui campeggia una disordinata scrivania con un pc da cui il padre di Ea governa le sorti del mondo, distribuendo "molto dolore e un po' di gioia per dare false speranze", o scrivendo le "leggi della sfiga universale", una sorta di versione riveduta e corretta della legge di Murphy. Le quattro pareti sono ricoperte da schedari infiniti che contengono i profili di tutti gli uomini. Anche una semplice lavatrice assume un ruolo narrativo di grande importanza, poiché rappresenta la via - quella che percorrerà la stessa bambina - per raggiungere la vita terrena, naturalmente "atterrando" in una squallida lavanderia a gettoni!

La seconda parte del film è incentrata sulla reazione delle persone alla notizia della propria data di morte e sulla ricerca da parte di Ea dei sei apostoli. Le persone sono selezionate a caso negli schedari del padre e sarà Victor (Marco Lorenzini), un clochard conosciuto appena uscita dalla lavanderia, ad aiutarla a rintracciarli, per poi scrivere quello che sarà il Nuovo Nuovo Testamento, Le tout nouveau Testament del titolo originale.
I sei racconti brevi conseguenti potrebbero essere altrettanti cortometraggi a sé stanti: Aurélie (Laura Verlinden) è una bella ragazza dallo sguardo dolce e malinconico, che ha perso un braccio da bambina, la quale ha imparato che "la vita è come una pista di pattinaggio, molti finiscono gambe all'aria"; Jean Claude (Didier De Neck) è un cinquantottenne che scopre il suo amore per la natura e segue la migrazione degli uccelli fino al polo nord; Marc "l'erotomane" (Serge Larivière) decide di spendere ciò che gli rimane con le prostitute, ma troverà comunque l'amore della sua vita; François "l'assassino" (François Damiens) ama uccidere insetti e animali sin da quando era bambino, ma smette quando incontra Aurelie; Martine (Catherine Deneuve), donna ricca e infelice, lascia il marito per un gorilla, in una storia degna di Marco Ferreri; Willy (Romain Gelin) è un bambino che ad un passo dalla morte chiede agli esterrefatti genitori, come ultimo desiderio, di diventare una bambina!
Tutti, inoltre, hanno una musica identitaria, ed Ea ha la capacità di decifrarla: da Haendel a Rameau (Il richiamo degli uccelli), da Purcell (O solitude) a Schubert (La morte e la fanciulla), da una musica da circo a Charles Trenet (La mer).
Tanti i riferimenti a pellicole del passato: da Dio che, infuriato con Ea, fa il verso a Jack Torrance-Nicholson di Shining (Kubrick 1980) con un'ascia che usa per "aprire" le porte, e come lui cita fiabe, in questo caso facendo come un aggiornato orco di Pollicino - "sento odor di cristianucci" - annusando un mouse del pc per capire chi l'abbia utilizzato.  
Jean Claude che osserva il volo degli uccelli ricorda molto da vicino il brano di Sogni (Kurosawa 1990) in cui un personaggio si ritrovava negli scenari dei dipinti di Van Gogh e in particolar modo in un campo dove vedeva volare i corvi (vedi).
Diversi poi i rimandi a Truffaut: Marc immagina donne nude al supermercato, in una sorta di amplificazione del personaggio di Bertrand ne L'uomo che amava le donne (1977), che viene citato anche quando François si sofferma nel guardare le gambe di Aurélie; ed è lo stesso François che cerca di negare il suo amore ripetendo ossessivamente davanti allo specchio "io non ti amo", proprio come l'alter ego del regista francese, Antoine Doinel, faceva ripetendo il nome delle sue donne in Baci rubati (1968; vedi). Un discorso a parte va fatto per l'amore tra il personaggio di Catherine Deneuve ed un gorilla: van Dormael ha negato il riferimento a Marco Ferreri, con un'improbabile storia vera a lui nota (è nel personaggio), e allora sarà forse una citazione da Max amore mio (Oshima 1986), in cui era Charlotte Rampling ad innamorarsi di uno scimmione.
Van Dormael gira bene e lo dimostrano i suoi giochi con le lenti con lo slittamento dei piani in profondità, ma anche i bei carrelli orizzontali che accompagnano le passeggiate di Ea e Victor, oltre alle innumerevoli soluzioni visive, tra cui le bellissime metafore del racconto rese con immagini filmate: la sceneggiatura dice che il sorriso di una bella donna deve essere come una miriade di perle che cadono su una scalinata di marmo? Ebbene il regista ce la fa vedere, e così fa in diversi frangenti, come quando rende splendidamente l'isolamento di François dalla propria famiglia, inserendo una coltre di nebbia immaginaria tra lui e la moglie e il figlio, simbolo di una distanza ormai incolmabile.
Anche la sceneggiatura è ottima e molte battute meriterebbero di essere citate, soprattutto quelle che ironizzano su capisaldi religiosi: da JC che prorompe in un giovanilistico "chissà il vecchio come s'incazzerà", quando sente le intenzioni della sorella, al padre, che parlando di lui con un sacerdote dice "quello aveva perso la bussola, improvvisava andava a braccio", e ancora "io mi odio, piuttosto direi odia il prossimo come odi te stesso", o infine Ea che prima assicura Victor che "il Paradiso è qui" e poi si esprime sull'onnipotenza paterna con un laconico "ha solo la smania di potere".
Dal testo della pellicola ne esce una religione migliore se declinata al femminile, in cui i personaggi più positivi sono proprio Ea e la madre, una dea buona che con l'aiuto del caso può sistemare le cose mentre, nel frattempo, Dio potrebbe lavorare in fabbrica...

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