lunedì 7 dicembre 2015

Il mago. L'incredibile vita di Orson Welles (Workman 2015)

Rosebud viene gettata tra le fiamme...
È con l'immagine della celeberrima slitta di Quarto Potere (1941) - una trovata che in seguito lo stesso Orson Welles disconoscerà - che inizia il bel documentario biografico di Chuck Workman su uno dei mostri sacri della storia del cinema, permettendoci di ripassarne la carriera.
Il film è diviso in sezioni cronologiche che accompagnano lo spettatore nei densissimi settant'anni di vita del regista: dalla complicata infanzia fino al successo e al contrastato rapporto con lo star system, fino a divenire il più grande regista indipendente di sempre, molto prima che esistesse un cinema indipendente!
1915-41 The Boy Wonder. L'infanzia, la separazione dei genitori, la morte della madre a nove anni, e poi la gioventù, a partire dagli anni di scuola a Woodstock in Illinois, dove iniziò a recitare, interpretando persino la Vergine Maria, nella necessità di eccellere per essere notato e nonostante una compagna di scuola lo descriva "privo di empatia". E poi, ovviamente, Shakespeare, una passione che non abbandonerà mai, per poi approdare a New York e fondare il Mercury Theatre (1937).
Il teatro, però, non poteva bastare ad un temperamento come il suo, così seguì l'esperienza in diverse radio, ma soprattutto il celebre La guerra dei mondi (1938; parte 1, parte 2), tratto dal romanzo del quasi omonimo Wells, con cui sconvolse gli Stati Uniti. A testimonianza di quello che accadde durante quella storica trasmissione, Workman aggiunge nel montaggio uno spezzone di un cartone animato e anche l'esilarante sequenza di Radio days (Allen 1987), durante la quale la zia del protagonista viene lasciata in un luogo appartato dal suo accompagnatore, spaventato dall'arrivo dei marziani!
Dopo la causa conseguente, il regista dichiara "non sono finito in carcere, sono andato a Hollywood", e naturalmente il passo seguente è l'approdo alla RKO, che lo corteggiò molto fino a concedergli il completo controllo - una cosa che non capiterà mai più a Welles - di quello che è considerato il più grande esordio cinematografico della storia. Nacque così Quarto Potere. 
1942-49 The Outsider. Da quel momento in poi fu costretto a dimostrare di valere quel capolavoro assoluto e lo fece eccome, pur non riuscendo ad avere la libertà di allora, a partire dall'assurdo caso di L'orgoglio degli Amberson (1942), film bellissimo, ma stravolto dalla RKO che approfittò della partenza di Welles in Brasile per affidare a Robert Wise le modifiche richieste. I due registi non si parlarono mai più e ancora oggi gli appassionati di cinema sperano si possano trovare i rulli del finale che Orson Welles aveva girato per ottenere il director's cut di quest'altro capolavoro.
Dopo l'inevitabile licenziamento dalla RKO, La signora di Shanghai (1947), altra pellicola eccezionale (basti solo pensare alla sequenza degli specchi, citata splendidamente ancora da Woody Allen in Misterioso omicidio a Manhattan - 1993), e simbolo della sua unione con Rita Hayworth.
Seguì il fallimento di critica di Macbeth (1948) e la decisione di lasciare Hollywood a causa del maccartismo. Lo spostamento in Europa coincise, però, con quello che probabilmente fu il suo più celebre ruolo da attore, il cinico Harry Lime de Il terzo uomo (Reed 1949), per cui rifiutò di essere pagato a percentuale sugli incassi, cosa che con il senno di poi gli avrebbe garantito la ricchezza a vita!
1950-57 The Gipsy. Il continuo peregrinare alla ricerca di location in cui girare è una delle caratteristiche del suo cinema degli anni Cinquanta. Questo vale, per esempio, per Otello (1952) e per Rapporto confidenziale (1955), film le cui sequenze sono ambientate rispettivamente a Roma, Marocco, Toscana e Venezia; Costa Brava, Segovia, Valladolid, Madrid, Londra, Monaco, Parigi, Costa Azzurra e il castello svizzero di Chillon. Sono questi i film che contribuiscono alla cattiva fama di regista lento - l'Otello fu realizzato in quattro anni! -, accuse da cui si difendeva con l'ideale di perfezionismo e la volontà di poter far sempre qualcosa di meglio. 
1958-66 The Road Back. Il ritorno a Hollywood è l'occasione per un altro capolavoro assoluto come L'infernale Quinlan (1958), altro film modificato dalla produzione. Nelle interviste Charlton Heston, la star della pellicola insieme a Janet Leigh, si vanta di aver consigliato egli stesso di farlo girare a Orson, anche se quest'ultimo, purtroppo, dopo il primo montaggio venne licenziato dalla Universal.
Per fortuna, a differenza di altri casi, però, nel 1998 è stato possibile ripristinare una versione del film maggiormente vicina all'idea originaria del regista, soprattutto liberando dai titoli di testa il meraviglioso piano-sequenza iniziale, grazie anche all'esistenza di un menabò di 58 pagine lasciato da Welles per spiegare la concezione delle singole sequenze. E quella preziosa guida, scopriamo qui, fu sfruttata persino da George Lucas, che la seguì per il suo American Graffiti (1973) per la musica intradiegetica proveniente dalle auto.
Gli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, inoltre, sono quelli che portarono al bellissimo Il processo (1962), tratto dal celebre romanzo di Kafka, con Anthony Perkins e Romy Schneider, girato perlopiù a Parigi approfittando della Gare d'Orsay allora chiusa e vuota (prima di diventare uno dei musei più importanti d'Europa), ma questo è anche il periodo dei tanti ruoli in film minori a cui Orson si prestò pur di lavorare. Non viene testimoniata allo stesso modo, però, la sua attività di interprete di spot televisivi (in Italia ne girò uno per la Stock 84), e nemmeno l'apparizione ben più rilevante nel ruolo del regista de La ricotta di Pasolini, eccezionale episodio di Ro.Go.Pa.G. (1963).
1967-85 The Master. È tempo di essere considerato un maestro e, anche se un cameriere italiano gli chiederà "ma dopo Quarto Potere ha girato altri fim?", Orson Welles è ormai uno dei più grandi cineasti di sempre. Questa "gloria" in vita non gli regala la fiducia dei produttori e non gli vale altri capolavori, cosicché, anche se i suoi numerosi nuovi progetti sembrano poterlo essere, lo restano in nuce, poiché non verranno mai completati: Falstaff, Don Chisciotte, The dreamer, Il mercante di Venezia, Storia immortale, F for fake, The other side of the wind, sono i titoli incompiuti di questi anni.
Solo nel 1971 arrivò l'Oscar alla carriera, ma Welles mandò l'amico John Huston a ritirarlo, dopo aver detto ad un incredulo Peter Bogdanovich "non mi avranno mai", segno della distanza mai ricomposta con Hollywood, ben sintetizzata da Jeanne Moreau che definisce il regista "un re senza regno". 

Il film non manca di ricordare, tra le altre cose, le sue tre mogli, Virginia Nicholson, Rita Hayworth, Paola Mori, da ciascuna delle quali ebbe una figlia. E continuando con la vita privata di Orson Welles, Workman intervista la sua ultima compagna, la croata Oja Kodar, con cui rimase fino alla fine dei suoi giorni. È proprio lei a confermare che il cineasta ebbe un figlio, mai riconosciuto, da Geraldine Fitzgerald, quel Michael Lindsay-Hogg - diventato anche lui regista - che solo recentemente ne ha avuto la conferma grazie al test del DNA.
Alcuni dei colleghi odierni di Welles lo esaltano: se Richard Linklater lo celebra per il già citato merito di aver inventato il cinema indipendente; Sidney Pollack afferma che guardando il suo cinema si può riconoscere un concetto dietro ogni inquadratura e, su tutti, Martin Scorsese che vede in Orson Welles il nome con cui il cinema ripartì dopo la fine dell'era del muto...
Workman, però, pur intitolando il film Il mago, non ci offre nemmeno un dettaglio dei suoi spettacoli da prestigiatore spesso con al fianco una splendida amica come Marlene Dietrich, un'assenza importante ma che in qualche modo viene mitigata dalla romantica sequenza di Effetto notte (1973), in cui François Truffaut mette in scena il suo stesso sogno ricorrente, quello di rubare da un cinema le foto promozionali di Quarto potere (vedi). Forse solo Stephen Spielberg si è davvero avvicinato a realizzare uno dei grandi sogni dei cinefili amanti di Orson Welles, aggiudicandosi per oltre 45 mila dollari la mitica slitta Rosebud, indubbio oggetto mitologico della storia del cinema, che però lo stesso Welles dichiarava distrutta dopo le riprese... l'ennesimo F for fake di un intramontabile great pretender?

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