martedì 24 novembre 2015

La bocca del lupo (Marcello 2009)

Quarto dei Mille, una poetica inquadratura sul mare, sugli scogli.
Inizia così il bel film-documentario di Pietro Marcello, commissionato dalla comunità gesuita di San Marcellino di Genova, incentrato su una storia d'amore davvero sui generis tra due "ultimi": un ex carcerato, Vincenzo Motta detto Enzo, e un transessuale ex eroinomane ed ex prostituta, Mary Monaco.
È quest'ultima, con un'accentuata voce roca, che racconta la loro storia, iniziata in prigione, dove Enzo scontava la pena per aver sparato a dei poliziotti. È lei che legge le lettere in cui Enzo chiedeva a suo modo di aspettarlo quando sarebbe uscito dal carcere, in cui condensa i suoi sentimenti dietro espressioni come "stronza, tu sei la mia vita" o "dolcissima bastarda", col tono di chi intende l'amore come naturale possesso... e insieme a lei sogna un futuro in una casa in campagna, circondato da cani.

Proprio da Mary, che non vediamo se non nella parte finale del film, conosciamo l'infanzia di Enzo, nato nella campagna nei dintorni di Catania e arrivato da bambino a Genova, dove iniziò la sua esperienza con l'illegalità aiutando il padre come venditore di sigarette di contrabbando. E da lì tutto il resto, il difficile rapporto con la società e con le regole, nei confronti delle quali il suo atteggiamento rimane spavaldo, degno di un personaggio da western: "a legge? M'a faccio io!".  
Il regista napoletano, che riprende il titolo dall'omonimo romanzo verista di Gaspare Invrea, meglio noto con lo pseudonimo di Remigio Zena (1892), alterna ai racconti e alle scene del presente, da lui girati, una serie di bei filmati di repertorio di ignoti cineamatori, che rapiscono l'attenzione per i forti contrasti tra ombre e luci e che indugiano sulle strade del capoluogo ligure, sul mare, sugli interni delle case.
Data la struttura della pellicola, sono poche le sequenze narrative con i protagonisti o gli altri interpreti, tutti ovviamente non attori.
La prima si svolge in un bar, in cui Enzo è in compagnia di un amico tossicodipendente, che lo provoca sul suo passato in galera (27 lunghi anni che precisa di aver accumulato in tre tranche), di una donna con cui abbozza un flirt grottesco, del barista con ritardi mentali. La seconda lo è meno, poiché di fatto è la scena in cui Pietro Marcello intervista Enzo e Mary nel loro appartamento: mdp fissa, la continua irrequietezza di Enzo, che non smette di interagire con i cani che girano per casa o di muovere le mani, in un atteggiamento totalmente diverso dalla composta serenità che dimostra Mary, che parla lentamente, senza alzare la voce.
È così che emerge dalle loro stesse parole la storia di un incredibile amore nato in carcere, un luogo in cui è difficile immaginare la relazione tra due persone come loro, con Enzo che difende Mary dal pregiudizio di tutti gli altri reclusi e ostenta i suoi sentimenti. Allo stesso tempo, è profondamente emozionante sentir dire ad entrambi che ricordano i quattro mesi condivisi in celle vicine come il periodo più bello della loro vita.
Un film d'autore commovente, vero, che rinuncia alla contestazione in favore della poesia, un film bello soprattutto per la storia stravagante che narra e che, nel corso della visione, diventa piacevole normalità... una parola solitamente priva di significato, ma dietro la quale in questo caso è tutta l'essenza della pellicola!

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