domenica 15 febbraio 2015

Birdman (Iñárritu 2014)

L'ultimo film di Alejandro González Iñárritu è ben scritto, ben diretto e splendidamente recitato da un ottimo Michael Keaton, che interpreta Riggan Thomson, un attore cinquantenne che ha raggiunto la celebrità nel ruolo di un supereroe, Birdman appunto - come per Keaton fu il Batman di Tim Burton - e che ora sta lavorando ad una pièce teatrale di cui è anche regista, per dimostrare di non essere valido solo per dei film blockbuster.
La pellicola del cineasta messicano è un saggio di metacinema, e come tale merita di diritto di porsi alla fine di un'ideale catena di film che, solo per citarne alcuni, va da Viale del tramonto (Wilder 1950) a 8 1/2 (Fellini 1963), da Effetto notte (Truffaut 1973) a I protagonisti (Altman 1992), fino al recentissimo Maps to the stars (Cronenberg 2014).
Come nei film di Wilder, Altman e Cronenberg, Hollywood appare in tutto il suo cinismo di macchina tritatutto, i cui interpreti vengono sfruttati, osannati e, infine, scaricati: la lotta contro questa implacabile filiera non può che essere rovinosa...
Questa volta, però, Hollywood costituisce solo lo sfondo, poiché la vicenda si svolge a Broadway, dove Riggan sta mettendo in scena What We Talk About When We Talk About Love di Raymond Carver, affiancato dal produttore Jake (Zach Galifianakis) e da alcuni attori, tra cui Mike Shiner (Edward Norton), Leslie (Naomi Watts) e la sua giovane amante Laura (Andrea Riseborough). 
L'azione si svolge praticamente solo a teatro, soprattutto tra le quinte e i camerini, dove il protagonista deve rapportarsi anche con la figlia Sam (Emma Stone), ex tossicodipendente che lo accusa di essere stato sempre troppo assente come padre. Tra i due la distanza generazionale è evidenziata anche dal diverso rapporto con i social network: è la ragazza che gestisce le pagine di Riggan, che non ne capisce nulla, e nonostante in un momento di scontro gli sbatta in faccia un sonoro "tu non sei importante", è proprio lei a fargli notare come il video che lo immortala in mutande per le vie di New York, dopo un incidente con la vestaglia e la porta d'accesso al teatro, sia diventato "virale" impazzando sul web e raggiungendo 350 mila visualizzazioni in pochi minuti ("credici o meno, ma questo è potere"). Più di una volta il protagonista si trova a confrontarsi anche con l'ex moglie e madre di Sam, Sylvia (Amy Ryan), che lo conosce come nessun altro e con cui può palesare, senza troppe difese, le proprie debolezze. Tra i due c'è un affetto sincero, ormai sereno, e proprio di fronte alle critiche che gli arrivano da lei sulla gestione del denaro e della propria vita, l'attore risponde, senza batter ciglio e quasi con un pizzico di rammarico, con una frase che la dice lunga sulla forma mentis da cicala esopiana che governa una star di Hollywood: "la mia salute è durata più dei miei soldi". 
Il conflitto più lacerante di Riggan, però, è quello con la sua coscienza, metaforicamente resa con la profonda voce - e talvolta persino con il corpo, costume e ali - del suo personaggio Birdman, che lo invita a tornare a Los Angeles per girare una serie televisiva o per l'ennesimo sequel della saga, che senza sforzi potrà continuare a dargli fama e denaro. È quella voce che lo mette continuamente alla prova e gli urla frasi che lo colpiscono nel suo orgoglio da star - "fai finta di essere depresso, stile Hollywood" - fino a scatenarne la reazione.
In questa direzione sembra spingerlo anche Mike, l'attore che riesce ad essere più vero sulla scena che nella vita reale (sesso compreso) e che gli ricorda, con una delle battute più belle del film, che "la popolarità è la piccola cuginetta del prestigio" (nella versione italiana la cuginetta viene arricchita dell'appellativo "zoccola" forse per colorire un po' il linguaggio)!
Riggan non cede e combatte contro la via più facile, per dimostrare a sé stesso e al pubblico di poter eccellere come attore a tutto tondo, ma nonostante l'impegno, dovrà fare i conti con i pregiudizi della critica, rappresentata dalla temuta Tabitha Dickinson (Lindsay Duncan), giornalista del New York Times, da cui dipendono le sorti di ogni spettacolo teatrale nella Grande Mela e che lo odia senza mezzi termini per tutto ciò che rappresenta. Nel bel dialogo tra i due, la donna gli promette "distruggerò il tuo spettacolo", precisandogli che "tu non sei un attore, ma una celebrità", cosicché Riggan, dopo aver compreso di non avere armi a sufficienza, le contrapporrà, parafrasandolo, il famoso adagio di Gustave Flaubert - "si fa della critica quando non si può fare dell'arte, nello stesso modo che si diventa spia quando non si può fare il soldato" -, ai cinefili noto anche nella versione di Truffaut ("Studia ben il violino, Alphonse, se studi e hai talento diventerai un grande musicista". "E se non lo faccio?" "Se non studierai, e prenderai molte stecche, farai il critico musicale" - L'amore fugge, 1978).

Iñárritu realizza il film come se fosse un unico piano-sequenza (interrotto solo dalla “scena della cometa” e “scena delle meduse morte”), che mai come questa volta non è solo virtuosismo tecnico, ma artificio funzionale alla narrazione, claustrofobica, a scatti, e senza pause, e soprattutto, per dirla col regista, perfetto per un film incentrato sull'ego. Se, però, in Nodo alla gola (Hitchcock 1948), forse il più celebre film che tentava la stessa operazione filmica, l'interruzione dei rulli di pellicola veniva mascherata con delle inquadrature sul nero dei vestiti degli attori, in questo caso il regista riesce a darci la sensazione che il film sia girato in un solo ciak (proprio come a teatro), grazie a degli stacchi chirurgici in fase di montaggio che nascondono il virtuosismo.
Il regista messicano gioca anche con altri elementi cinematografici: in una delle poche sequenza girate in esterna, per esempio, Riggan e Mike passeggiano per New York e incontrano un improbabile musicista di strada che suona su un marciapiede con un'intera batteria, il cui suono fa da colonna portante extradiegetica per gran parte del film e che in quel momento (ma lo vediamo in un altro paio di casi) diventa una sarcastica musica intradiegetica.
Si respira cinema durante tutta la durata del film, cosicché vedere Naomi Watts che bacia con passione la mora Andrea Riseborough, non può non rimandare al bacio saffico di Mulholland drive (Lynch 2001) con Laura Harring: è solo un caso che l'amante di Riggan si chiami proprio Laura? E lo stesso vale, per esempio, per la sequenza in cui Riggan appare con il volto bendato, un vero e proprio topos cine-iconografico almeno a partire dall'illustre precedente di Claude Raines ne L'uomo invisibile (Whale 1933).
Ma c'è anche tanta filosofia nel film di Iñárritu, e a dimostrarlo non c'è solo il sottotitolo voltairiano "Le imprevedibili virtù dell'ignoranza", ma anche le sequenze finali in cui vediamo una camera da letto che sembra ripresa da Lynch e un paesaggio con le meduse morte, che tanto ricorda il cinema di Terrence Malick, forse i due cineasti più "filosofi" tra i colleghi del regista di Amores Perros (2000), e soprattutto la frase che campeggia in un foglio sullo specchio del camerino di Riggan, che suona come un promemoria degno di Wittgenstein - "A thing is a thing, not what is said about that thing" - e che tanto dice del rapporto tra cinema, teatro e tutto ciò che viene detto su di essi dalla critica...
Chi scrive non ha, quindi, nessuna intenzione di fare come il personaggio interpretato da Lindsay Duncan nel film, ribadendo che sono davvero tanti i motivi per assegnare più di una statuetta alla prossima notte degli Oscar a Birdman, che si presenta al cospetto dell'Academy con ben nove nomination!

3 commenti:

  1. PARTE 1/2

    Ciao Gianni.

    Approfitto della pagina che hai creato per "Birdman", raccontando il film attraverso il tuo attento sguardo, per aprire un confronto con te e i tuoi lettori riguardanti quelli che ai miei occhi sono sembrati paradossi, incoerenze o - peggio... - paraculaggini!

    Ho visto il film ieri sera: ne sentivo parlare benissimo già da qualche tempo, domenica ho potuto apprezzare i discorsi dei vincitori, avevo la voracità e curiosità giusta, visto che mi piace il lavoro svolto finora da Inarritu, specialmente il suo "Babel". Insomma, non avevo pregiudizi, se non positivi.

    A fine proiezione ho avuto la sensazione di aver visto un gran bel film, uno di quelli che ti lasciano il sorriso in faccia, di cui ti fa piacere parlare. Avvertivo allo stesso tempo però la necessità di sottolineare con Facebook il fatto che non ho mai avuto la sensazione di aver assistito ad un capolavoro o ad un film-sbanca-Oscar.
    Qui di seguito le mie osservazione postate stanotte:
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    Vi dico la mia sul film del momento.

    "Birdman" è un grandissimo film, eccezionale, sorprendente. Inarritu è un fanatico del montaggio e stavolta ha voluto sperimentarlo all'interno di un (ma non unico...) pianosequenza: solo questa tecnica straordinaria carica di punti di vista sofisticati corretti da tonnellate di visual fx è capace di distrarti dalla verbosità di un testo interessante ma non di più.
    Il conflitto interiore del personaggio principale è raccontato attraverso il tema della maschera e delle conseguenze che l'alterazione della percezione del proprio Io ha sul circostante: ma la sensazione è che il regista sia stato molto più interessato a rendere al meglio l'estetica e la forma piuttosto che la profondità dell'argomento (per esempio trattato con più emozione da Aronofsky in "The wrestler").
    Il paradosso è che il film prende di mira i fumettoni hollywoodiani parlando di teatro a Broadway, ma raggiunge l'apice narrativo e spettacolare proprio quando ne plagia inquadrature e linguaggio.
    "Birdman" è un ottimo film, ma temo che rimarrà nella memoria storica del cinema solo grazie agli Oscar e ai cinefili.
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  2. PARTE 2/2

    Non voglio dilungarmi sui tanti aspetti positivi del film che mi sembrano condivisi da tutti; per aprire il confronto espongo quelli che a mio avviso sono sembrati superficialità narrative e linguistiche.
    Innanzitutto i personaggi: le fragilità e debolezze dei tre protagonisti richiamano i cliché parodiati da Renè, Stanis e Corinna. Veramente debole lo spessore dei secondari (il produttore solo attento ai soldi, la figlia ex tossica perché il padre 'non c'era mai', la giornalista spietata) e le solite flebili relazioni dietro le quinte dove tutti scopano con tutti. Il teatro (e Carver) sono solo lo sfondo grigio di una realtà altrettanto incolore, ma che sembra variopinta grazie ai soliti conflitti professional-amorosi. In questo contesto l'elemento più interessante è la voce over dell'alter ego del protagonista, ossia quell'uomo uccello mai andato realmente in letargo. Qui si apre, a mio avviso, la prima crepa ideologica: la sua apparizione, i "poteri" che lui attribuisce alla sua parte umana e i voli (veri o pindarici) sono il tocco in più del film, quel 'quid' che ti fa credere fino all'ultima inquadratura che "ma allora forse...". Ma allora perché Inarritu li prende così di mira: i fumettoni hollywoodiani, i buffoni in tuta da Spiderman e Ironman sul palcoscenico del teatro, i miliardi di dollari degli incassi... Risulta incoerente far dire a tutti i personaggi che il protagonista si deve ripulire la carriera a teatro perché in gioventù è stato l'unico e inimitabile Birdman, quando invece il film cresce e si rende spettacolare proprio quando usa il linguaggio stile Marvel (per esempio le planate sulle vie di New York plagiano Raimi!). Questa 'doppiezza' del regista poi diventa presunzione se si pensa che Keaton è stato due volte un Batman credibilissimo, in due altrettanti capolavori di Tim Burton. Quindi anche qui viene meno il concetto di usare l'immagine di un attore che in passato si è realmente prestato ai cinefumetti.

    Passando invece all'aspetto estetico del film, trovo non funzionale alla storia il ricorso al pianosequenza. È chiaramente uno straordinario e sorprendente esercizio di tecnica fine soltanto alla mostra di sè. In particolare due cose mi fanno giungere alla conclusione appena esposta: il montaggio e la cg. Mi spiego meglio. Il regista non usa il pianosequenza per restituire verità di tempo e quindi per dare più valore alla narrazione, ma ricorre a ellissi quindi comunque manipola la continuità. E allora poteva staccare. Ah, no, deve farci vedere quanto è bravo! E poi tutti questi virtuosismi da dentro e fuori le finestre e le grate sono solamente un gioco. Ricordo che in "Professione: reporter" entrare da una finestra con una grata in pianosequenza era una cosa seria, così come mettere una macchina da presa davanti allo specchio di Cassel ne "L'odio" è stato un lavoro complesso. Ma ora c'è la computer graphic che fortunatamente tutto risolve...

    Ricordo che quando vidi il documentario "Super size me" uscii dal cinema con un incredibile voglia di Big Mac. Quando ad Inarritu offriranno cifre da capogiro per girare il cinefumettone dal titolo "Birdman - il film" (e lui sicuramente accetterà!) il primo biglietto staccato sarà il mio.

    Grazie dello spazio concesso!!

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  3. Caro Francesco, probabilmente Birdman non rimarrà tra i capolavori assoluti della storia del cinema, ci mancherebbe, ma il fatto che sia un film per cinefili non mi sembra un difetto, anzi. Sono inoltre convinto che abbia più registri e come ogni opera con queste caratteristiche sia apprezzabile a più livelli. Perché fargliene una colpa e non un merito? Alcuni personaggi potevano essere certamente sviluppati meglio (penso al ruolo di Naomi Watts o del produttore), ma il film è chiaramente impostato sull'ego e sulla volontà di rivalsa di un attore che ha "fatto i soldi" a Hollywood e tenta di sentirsi "artista" a Broadway, in un dualismo che evidentemente dall'altra parte dell'oceano è molto più sentito di quanto possiamo percepire noi in Europa.
    In questo senso credo che l'ostentato e finto piano-sequenza sia funzionale all'incalzare del ritmo, per quanto la voglia di sorprendere di Inarritu è evidente, ma nella bella maniera non riesco proprio a vederci nulla di male, né tantomeno di scorretto: il piacere della visione non è mai un male.
    Sul rapporto Keaton-Batman-Birdman non vedo contraddizione, ma un gioco, un gioco che a mio avviso riesce benissimo: Keaton è stato scelto proprio per quello, perché al grande pubblico lui ricorda il supereroe per antonomasia, e la posa sul tetto del palazzo, con la signora che stende i panni che gli chiede se si voglia buttare o stiano girando un film è geniale! Sei davvero convinto che Inarritu prenda di mira i fumettoni? Secondo me non c'è un giudizio, ma uno stato dei fatti, le due posizioni opposte degli integralisti del cinema come evasione e del teatro come arte impegnata, tra Los Angeles e New York: nel mezzo ci può essere un ottimo cinema, che prenda un po' da entrambi, come di fatto riesce a fare Birdman.
    C'è tanto cinema in questo film, non solo il dietro le quinte, il rapporto col teatro, ma anche in relazione ai film che nella recensione ho citato tra i capolavori del metacinema, e poi ci vedo Lynch, Malick, Hitchcock, tu hai giustamente citato Raimi, ecc.
    Non so, se discutiamo sul fatto che possa entrare tra i primi dieci film della storia non ci piove che hai ragione tu, non ci entrerà mai, ma dei tanti film visti quest'anno è sicuramente tra i migliori!
    Quanto allo spazio concesso, sarai sempre il benvenuto su queste pagine, con la tua competenza e con le tue opinioni!
    Grazie a te.

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