David Fincher ci racconta la storia dell'origine di Facebook, il social network per antonomasia, che ha cambiato le abitudini di milioni di persone, partendo dal romanzo Miliardari per caso - L'invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento (Ben Mezrich 2009).
Il film è ben confezionato da una sapiente regia, un montaggio serrato (Kirk Baxter e Angus Wall), vincitore dell'Oscar, così come la musica (Trent Reznor e Atticus Ross) e la sceneggiatura (Aaron Sorkin), e da una buona recitazione, in cui spicca il giovane Jesse Eisenberg nella parte di Mark Zuckerberg.
Uno degli uomini più ricchi e famosi del mondo viene presentato in questa storia come un nerd, geniale ma con evidenti problemi di socializzazione. È questa forse l'idea più dissacrante della pellicola di Fincher, che per il resto appare come una celebrazione del personaggio e della vicenda che dal 2003 al 2011 lo portò dall'essere un semplice studente al college a doversi difendere in una causa intentatagli per 600 milioni di dollari.
La scintilla è data da un litigio con la fidanzatina dell'epoca, contro la quale Mark decide di sfogare la sua rabbia scrivendo offese contro di lei e la sua famiglia sul proprio blog "zuckonit", mentre dichiara la necessità di un'idea per riuscire a dimenticarla: quell'idea sarà Facebook.
È divertente notare che i primi vagiti del social network furono del tutto simili a tanti giochi maschili legati ai tempi del liceo, in cui i ragazzi passano il tempo citando i nomi delle ragazze per capire quale sia la più carina della scuola. Queste innocenti sfide, però, grazie al web e a Zuckerberg, si trasformarono dapprima in "Facemash" che, pescando casualmente tra le foto degli album scolastici, metteva in sfida sui monitor di tutti gli iscritti due ragazze alla volta e fece saltare in una notte la rete di Harvard, e poi in Facebook che, grazie al coinvolgimento di molti più college, ampliò notevolmente il bacino d'utenza divenendo il modo migliore, meno diretto, di poter contattare chi si voleva senza farlo in società.
Mark, in realtà, per raggiungere il suo obiettivo, sfrutterà la fiducia e le idee di Divya Narendra e dei fratelli Winklevoos, questi ultimi campioni di canottaggio (arrivarono persino a partecipare alle olimpiadi di Pechino 2008), che per primi avevano pensato ad un social per il college dal nome "Harvard Connection" e che, non avendo le capacità per realizzarlo, avevano chiesto una collaborazione proprio al piccolo "genio" informatico. L'inganno sarà alla base della causa multimilionaria che fa da cornice al film.
Il resto della storia è quello dell'evoluzione di Facebook, la società con l'amico Eduardo Severine, a cui chiederà i pochi fondi necessari per iniziare l'avventura (in seguito anche lui gli farà causa), e l'influenza di Sean Parker, storico fondatore di Napster, nel film interpretato da un ottimo Justin Timberlake, a cui viene attribuito il merito, tra gli altri, di aver semplificato il nome da "The Facebook" al più diretto "Facebook".
Detto tutto questo, però, il film non ha particolari sussulti e sembra di vedere davvero una delle tante pellicole sulle vite adolescenziali ambientate nei college statunitensi.
La regia funziona, ma non la si nota se non per alcune soggettive della mdp che ci fa entrare in un locale con gli occhi del protagonista; la fotografia è molto televisiva; la stessa, pur premiata, sceneggiatura non regala passi indimenticabili e forse uno dei pochi casi che merita di essere ricordato è quello in cui la giovane avvocatessa dello studio legale che difende Mark, interrompendolo in una delle sue pause al pc durante la causa, gli ricorda che pagare 65 milioni ai Winklevoss (cosa che poi accadde in effetti) "per come stanno le cose, sarà come una multa per eccesso di velocità"...
Uno degli uomini più ricchi e famosi del mondo viene presentato in questa storia come un nerd, geniale ma con evidenti problemi di socializzazione. È questa forse l'idea più dissacrante della pellicola di Fincher, che per il resto appare come una celebrazione del personaggio e della vicenda che dal 2003 al 2011 lo portò dall'essere un semplice studente al college a doversi difendere in una causa intentatagli per 600 milioni di dollari.
La scintilla è data da un litigio con la fidanzatina dell'epoca, contro la quale Mark decide di sfogare la sua rabbia scrivendo offese contro di lei e la sua famiglia sul proprio blog "zuckonit", mentre dichiara la necessità di un'idea per riuscire a dimenticarla: quell'idea sarà Facebook.
Eisenberg e Zuckerberg |
Mark, in realtà, per raggiungere il suo obiettivo, sfrutterà la fiducia e le idee di Divya Narendra e dei fratelli Winklevoos, questi ultimi campioni di canottaggio (arrivarono persino a partecipare alle olimpiadi di Pechino 2008), che per primi avevano pensato ad un social per il college dal nome "Harvard Connection" e che, non avendo le capacità per realizzarlo, avevano chiesto una collaborazione proprio al piccolo "genio" informatico. L'inganno sarà alla base della causa multimilionaria che fa da cornice al film.
Il resto della storia è quello dell'evoluzione di Facebook, la società con l'amico Eduardo Severine, a cui chiederà i pochi fondi necessari per iniziare l'avventura (in seguito anche lui gli farà causa), e l'influenza di Sean Parker, storico fondatore di Napster, nel film interpretato da un ottimo Justin Timberlake, a cui viene attribuito il merito, tra gli altri, di aver semplificato il nome da "The Facebook" al più diretto "Facebook".
Detto tutto questo, però, il film non ha particolari sussulti e sembra di vedere davvero una delle tante pellicole sulle vite adolescenziali ambientate nei college statunitensi.
La regia funziona, ma non la si nota se non per alcune soggettive della mdp che ci fa entrare in un locale con gli occhi del protagonista; la fotografia è molto televisiva; la stessa, pur premiata, sceneggiatura non regala passi indimenticabili e forse uno dei pochi casi che merita di essere ricordato è quello in cui la giovane avvocatessa dello studio legale che difende Mark, interrompendolo in una delle sue pause al pc durante la causa, gli ricorda che pagare 65 milioni ai Winklevoss (cosa che poi accadde in effetti) "per come stanno le cose, sarà come una multa per eccesso di velocità"...
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