Hayao Miyazaki è tornato con la sua solita leggerezza e la poesia che solo il suo grande talento può riuscire a mantenere a così alta quota!
Oltre vent'anni dopo Porco rosso (1992), il maestro giapponese torna ad incentrare una storia sull'amore per gli aerei, con il film che ha dichiarato essere il suo ultimo lungometraggio. Tutti i suoi fan, naturalmente, sperano che cambi idea: a giudicare da quest'ennesimo capolavoro, i suoi 73 anni sono davvero pochi per smettere di fare cinema (trailer).
I sogni di Miyazaki stavolta sono i sogni di Jiro, un bambino la cui miopia, sin da piccolo, gli impone di dirottare la passione per gli aerei dalla cabina di pilotaggio alla matita del progettista.
Deve fare i conti con questa realtà anche nella fase onirica, dove incontra l'italiano Gianni Caproni, un azzimato ingegnere aeronautico che diventa il suo modello per il futuro: è lui, infatti, a rivelargli che "gli aeroplani sono uno splendido sogno e il progettista è colui che conferisce forma al sogno".
Siamo negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali e lavorare sugli aerei significa, inevitabilmente, lavorare anche sugli aspetti militari, ma Miyazaki in una sequenza è chiarissimo sul suo pensiero: Jiro ha bisogno di meno peso per dare stabilità nel volo ai suoi apparecchi e con il massimo della semplicità precisa che per ottenere l'assetto desiderato basterà non montare le mitragliatrici (su dei cacciabombardieri!).
Dall'infanzia all'età adulta il passo è breve e nella vita di Jiro a fare da spartiacque è un viaggio in treno, durante il quale conosce la bella Nahoko con cui si ritrova ad affrontare un terremoto, dopo il quale i due si perdono di vista. La bellissima sequenza, in cui vediamo ondeggiare la terra e le case con le città di Fukugawa e Tokyo in fiamme, fa da contraltare al palese e reciproco interesse dei due ragazzi.
Jiro diventerà progettista aereo per la Mitsubishi e, per un caso fortuito, ma ancora grazie al vento che si alza, incontrerà di nuovo Nahoko...
Miyazaki, ricordiamolo, è figlio di un ingegnere aeronautico, dirige una storia piena di sogni e di cultura, a partire dal titolo, che deve la sua origine al verso di Paul Valery "Le vent s'elève, il faut tenter de vivre", citato da Nahoko dopo il primo incontro con Jiro.
Ma della cultura francese non c'è solo questo, poiché il maestro inquadra Nahoko che dipinge su una collina con tanto di ombrello, nell'immagine scelta anche per la locandina, in una maniera che non può non ricordare la Donna con il parasole di Monet (Parigi, Musée d'Orsay, 1886).
Come sempre, Miyazaki fonde alla perfezione la società orientale con gli elementi importati dall'occidente e non solo nei tratti somatici dei suoi personaggi, così poco nipponici, ma in tanti altri dettagli, come il continuo giocare a baseball dei ragazzi fuori dalle scuole, o il filosofico riferimento al paradosso di Zenone, in cui, secondo l'amico e collega di Jiro, Unjo, la Germania rappresenta la tartaruga e il Giappone Achille, costretto a rincorrere sempre una nazione industrialmente più avanzata.
Allo stesso tempo, però, il cineasta mette in bocca ad Unjo una frase che segna la totale adesione alla cultura giapponese pre-occidentalizzata: "vado a prendere moglie... per mettersi seriamente a lavoro ci vuole un focolare domestico", così come il padre di Nahoko dice a Jiro che "un uomo è proprio colui che ha un lavoro". L'omaggio alle tradizioni giapponesi, infine, è concentrato anche nella scena del matrimonio, in cui Nahoko appare come la quintessenza dell'ideale di femminilità nipponico, con indosso il kimono e un fiore tra i capelli sciolti.
Non va dimenticato, inoltre, il legame di Miyazaki con la natura, da sempre caratteristica di riconoscibilità del suo cinema e che, in questo caso, non si nota solo nell'antimilitarismo già accennato, ma soprattutto nella sequenza panteistica in cui Nahoko ringrazia una fonte d'acqua per aver incontrato di nuovo Jiro.
Fa piacere, inoltre, constatare l'amore per l'Italia, vista come il luogo del saper fare, come accadeva già nel bel Whisper of the heart dello Studio Ghibli (Kondo 1995), dove il protagonista, che voleva diventare liutaio, si trasferiva a Cremona per imparare il mestiere. Lo stesso Porco Rosso, peraltro, era ambientato in Italia negli anni Venti, con continui riferimenti all'aeronautica italiana e ad aviatori celebri come Francesco Baracca o Adriano Visconti. In Si alza il vento spetta all'ingegnere Gianni Caproni condensare in poche frasi e atteggiamenti l'idea che in Giappone si ha del nostro paese: guardando un aereo ben fatto dice "è come un'architettura dell'antica Roma", sentenzia che "il buon gusto viene prima della tecnologia", ma spiega a Jiro, che forse la idealizza troppo, che la nazione da cui proviene "è una nazione povera, ma facciamo tanti figli".
Molto riusciti anche diversi personaggi minori, in pieno stile Miyazaki. Il primo è uno dei capi di Jiro alla Mitsubishi, il signor Kurokawa, un buffo ometto dalla strana acconciatura, che sembra un incrocio tra Palmiro Togliatti e, per chi lo ricorda, Rigel, il padre di Venusia in Goldrake. Un altro è il signor Castrop, un tedesco caratterizzato da un lungo naso che alterna ambiguamente simpatia o inquietudine con il suo sguardo tagliente e che cita più volte La montagna incantata (o magica secondo la recente traduzione del 2010) di Thomas Mann.
Un'ultima considerazione sulla figura di Kaio, la sorella minore di Jiro, che si ostina a chiamare "secondo fratello" anche da adulta, con quel broncio tipico di tanti personaggi infantili creati dall'inesauribile matita di Miyazaki.
Un'ultima considerazione sulla figura di Kaio, la sorella minore di Jiro, che si ostina a chiamare "secondo fratello" anche da adulta, con quel broncio tipico di tanti personaggi infantili creati dall'inesauribile matita di Miyazaki.
Grazie Miyazaki, capace di unire in un solo film le aspirazioni di un giovane, lo scontro con la vita reale, il melodramma degno del cinema di Mizoguchi e tanto altro, ma anche grazie Gianni Caproni, che ci ricorda che "i sogni sono vantaggiosi, si può andare ovunque"...
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