Potrebbe essere questo il sottotitolo dell'ottimo film di Scott Cooper, con un eccezionale cast che vede lavorare sullo stesso set attori del calibro di Christian Bale e Casey Affleck, William Dafoe e Sam Shepard, Forest Withaker e Woody Harrelson.
È proprio quest'ultimo che recita la battuta folgorante nei panni di Harlan DeGroat, il terribile ceffo che all'inizio del film, subito dopo le note di Release dei Pearl Jam sui titoli di testa, vediamo picchiare una donna al suo fianco in un drive in che proietta Prossima fermata: l'inferno (Kitamura 2008).
È proprio quest'ultimo che recita la battuta folgorante nei panni di Harlan DeGroat, il terribile ceffo che all'inizio del film, subito dopo le note di Release dei Pearl Jam sui titoli di testa, vediamo picchiare una donna al suo fianco in un drive in che proietta Prossima fermata: l'inferno (Kitamura 2008).
Cooper narra una storia di fratelli ambientata a Braddock, una cittadina operaia statunitense in cui Russell Baze (Christian Bale) lavora in un'acciaieria e vive con Lena (Zoe Saldana), mentre il fratello Rodney (Casey Affleck) è un soldato che ha più volte prestato servizio in Iraq, dove sta per tornare. La morte del padre malato e, soprattutto, un incidente in auto di Russell, che causerà vittime e la sua conseguente carcerazione, mutano irrimediabilmente le loro vite...
Il film, prodotto anche da Leonardo DiCaprio, che inizialmente avrebbe dovuto persino interpretarlo, è girato con una netta prevalenza di prospettive centrali, cui si alternano bei movimenti della mdp con carrelli in avanti e indietro molto lenti, capaci di acuire i numerosi momenti di pathos, che investono famiglia, rapporti di coppia, giustizia, amore fraterno, guerra e reducismo, e tanto altro ancora. L'ineluttabile drammaticità delle vite dei personaggi, degna di un tragedia classica, sembra derivare più che dalla letteratura, dal cinema western, delle cui atmosfere la pellicola appare intrisa e alle quali contribuiscono il tema della vendetta, il manicheismo della trama, il bel finale all'interno della fabbrica dismessa, venendo acuite anche dalla calda fotografia di Masanobu Takayanagi.
Le atmosfere western vengono certificate in qualche modo da un paio di inquadrature "metacinematografiche" di grande impatto, incorniciate da una finestra, che sembrano rimandare all'intramontabile finale di Sentieri selvaggi (Ford 1956).
Le atmosfere western vengono certificate in qualche modo da un paio di inquadrature "metacinematografiche" di grande impatto, incorniciate da una finestra, che sembrano rimandare all'intramontabile finale di Sentieri selvaggi (Ford 1956).
Un dramma di grande intensità che tiene attaccati alla poltrona grazie ad un intreccio ben articolato, ad una buona regia e alle superlative prove degli attori. Christian Bale eccelle nel ruolo di un giovane uomo che perde tutto per una casualità, che accetta stoicamente il suo destino e che, pur se a fatica, riesce ad avere un rapporto persino con la donna che una volta uscito di prigione trova impegnata con lo sceriffo Wesley (Whitaker), l'uomo con cui Russell dovrà interagire a causa di una sorte costantemente avversa. Bravissimi, inutile dirlo, anche Willem Dafoe nella parte dell'impresario di combattimenti clandestini John Petty, e Sam Shepard nel ruolo dello zio dei fratelli Baze, mentre, come già evidenziato, la durezza dell'Harlan DeGroat interpretato da Woody Harrelson è da antologia!
L'omaggio cinefilo, infine, è tutto per Il cacciatore (Cimino 1978), rispetto al quale a tratti il film sembra varcare il labile confine del plagio. Come nel celebre precedente, infatti, la storia è ambientata in Pennsylvania e le fanno da sfondo un'acciaieria e la guerra, allora in Vietnam, oggi in Iraq, e come in quel caso i protagonisti sono due fratelli, allora De Niro-Walken, ora Bale-Affleck. Cosicché è solo un'ennesima prova del nove la sequenza in cui lo zio Red (Sam Shepard), dopo aver accompagnato il nipote Russell sulla tomba del padre, lo porta a caccia di cervi (va ricordato che il titolo originale del film di Cimino era proprio The deer hunter).
Per alcuni forse sarà troppo didascalico, ma il montaggio alternato tra l'animale macellato e il corpo massacrato di Rodney, che per superare il dolore da reduce partecipa a incontri clandestini di lotta senza esclusione di colpi, è davvero una delle cose più riuscite del film. Nella stessa sequenza, però, appare in tutta la sua evidenza un altro colto riferimento figurativo: l'inquadratura del cervo squartato e appeso per la colatura del sangue, infatti, richiama il Bue macellato di Rembrandt (Louvre, 1655), una delle nature morte più famose del grande artista fiammingo.
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