Il magniloquente film di Roland Joffé è un affresco sul colonialismo in Sud America e sul contrasto delle due forze arrivate dall'Europa che determinarono il destino dei cosiddetti indios: gli stati colonizzatori, Spagna e Portogallo, e la Chiesa.
La struttura narrativa ruota attorno alla lettera indirizzata al papa, che il cardinale Altamirano sta scrivendo dalla città di Asunción, sui fatti conseguenti il Trattato di Madrid del 1750, che costrinse la Spagna a cedere al Portogallo alcuni territori gestiti dai gesuiti con le loro missioni, che vennero così soppresse. La scelta di datare la lettera al 1758, anno che segnò il passaggio al soglio pontificio da Benedetto XIV a Clemente XIII, con alcuni mesi di sede vacante, è forse il segno della volontà di non dare un destinatario certo dell'epistola.
Dominano la scena due dei massimi attori degli ultimi quarant'anni: Jeremy Irons e Robert De Niro. Il primo veste i panni di padre Gabriel, il gesuita chiamato a seguire la missione di San Carlos, fondata in un territorio abitato dai Guaranì a ridosso delle cascate dell'Iguazú, fiume al confine tra Brasile, Paraguay e Argentina, mentre il secondo interpreta il mercante di schiavi spagnolo Rodrigo Mendoza.
Gabriel sostituisce il precedente missionario, crocifisso e gettato nel fiume, ottenendo ben altro successo, grazie soprattutto al suono del suo oboe; Rodrigo, dopo aver ucciso il fratello Felipe per gelosia, decide di entrare nell'ordine gesuita, in un percorso di espiazione che culmina prima con un dirotto pianto liberatorio, poi con la lettura del celebre passo sull'amore/carità, tratto dalla Prima lettera ai Corinzi (1 Cor 13) di San Paolo, santo che di fatto compì un cammino analogo al personaggio.
I due attori giganteggiano, rappresentando fino alla fine due modi diversi di interpretare il credo religioso e, soprattutto, di opporsi alla richiesta di abbandonare le missioni, cosicché per tutta la durata del film è un piacere seguirli nei loro contrasti, segnati dai comportamenti, dalle parole e dagli sguardi, fatti di pietà, amore e resistenza passiva nel caso di Gabriel, e di forza pronta fino alla battaglia, tanto simile al "temperamento paolino" (ma anche di Ignazio di Loyola), per quanto riguarda Rodrigo.
Nulla riesce a rubare la scena alla coppia Irons-De Niro, se non la fotografia, con alcuni paesaggi mozzafiato, e la straordinaria colonna sonora di Ennio Morricone, sicuramente il massimo contributo che questa pellicola ha lasciato alla storia del cinema.
Se, infatti, la regia non ha grandi acuti, e tra questi vanno menzionati i bei dolly che mostrano dall'alto l'esterno e l'interno della chiesa della missione di San Miguel (pregevole ricostruzione di una delle sette missioni che l'esercito ispano-portoghese distrusse per dar seguito alle decisioni del Trattato di Madrid) e alcuni notturni illuminati dalle candele degli indios convertiti, la musica è davvero magnifica. Riascoltarla oggi, mentre accompagna le scene per cui venne composta, permette di apprezzarla a pieno, nonostante gran parte dei brani siano stati riutilizzati nel tempo in altri contesti, soprattutto pubblicitari.
Nella magniloquenza determinata dalla storia, dall'ambientazione naturalistica, dall'interpretazione dei due protagonisti e dalla musica indimenticabile, sfigura la sceneggiatura di Robert Bolt, che pure vinse il Golden Globe del 1987, ma che non tiene il passo con il resto, contribuendo in larga parte al risultato finale di un film che lascia la sensazione di rappresentare un capolavoro mancato.
Di fronte ai due 'mostri sacri' gli altri personaggi sono poco più che comparse, come capita ad Aidan Quinn, che interpreta Felipe, il fratello di Rodrigo, o a Liam Neeson, relegato al ruolo di gesuita vicino a Gabriel, ma praticamente privo di linee di sceneggiatura.
Una presenza maggiore è garantita alla figura di Cabeza, l'arrogante rappresentante del governo spagnolo, che considera gli indios degli animali, contro i quali giustifica la violenza ("cos'è qualche frustata sulla schiena in confronto a quello che gli offrite voi? Tormenti dell'inferno per tutta l'eternità!"), e che si mostra fermamente contrario alle missioni ("l'opera delle missioni è l'opera del diavolo! Insegnano il disprezzo della proprietà e dei guadagni legittimi, disobbediscono all'autorità del re")!
È, però, il vescovo Altamirano (Roy McAnally), che pure va considerato il terzo personaggio per importanza, su cui la sceneggiatura dà il peggio di sé: la sua voce narrante, per esempio, risulta non solo superflua, ma a tratti persino dannosa, come nel caso limite in cui, stretto nella morsa tra politica e fede, sceglie le ragioni della prima e commenta con un davvero pleonastico "non potevo fare a meno di chiedermi se non sarebbe stato meglio per questi indios che il mare e il vento non avessero trasportato nessuno di noi fino a loro".
Altamirano è protagonista di altri momenti a dir poco demagogici: in uno, dopo aver commentato la spiegazione del sistema di divisione democratico dei beni tra i membri di una missione con "c'è un gruppo di radicali francesi che insegna questa dottrina", si sente rispondere "eminencia, veramente era la dottrina dei primi cristiani"; in un altro, replica all'idea di un'ineluttabilità degli eventi ostentata da Cabeza con un "no, così l'abbiamo fatto noi questo mondo, così l'ho fatto io"; in un altro ancora, infine, chiude la lettera che fa da cornice alla storia scrivendo che lo "spirito dei morti sopravvive nella memoria dei vivi".
Altamirano è protagonista di altri momenti a dir poco demagogici: in uno, dopo aver commentato la spiegazione del sistema di divisione democratico dei beni tra i membri di una missione con "c'è un gruppo di radicali francesi che insegna questa dottrina", si sente rispondere "eminencia, veramente era la dottrina dei primi cristiani"; in un altro, replica all'idea di un'ineluttabilità degli eventi ostentata da Cabeza con un "no, così l'abbiamo fatto noi questo mondo, così l'ho fatto io"; in un altro ancora, infine, chiude la lettera che fa da cornice alla storia scrivendo che lo "spirito dei morti sopravvive nella memoria dei vivi".
L'evidente retorica di questo film, che peraltro vinse la Palma d'oro a Cannes nel 1986, non riesce a cancellare il comunque indubitabile fascino che riserva e per confermare il quale basta ricordare due momenti su tutti: Gabriel che suona il suo oboe sulle note morriconiane (Gabriel's oboe) e l'arrivo del vescovo in visita alla missione San Carlos, mentre tutti gli indios cantano l'Ave Maria Guaranì. E pensare che Ennio Morricone dovette essere convinto da Joffé a comporre le musiche per questa pellicola, poiché, contro il suo fermo credo che una colonna sonora debba seguire le riprese, venne chiesta la sua collaborazione a film completato...
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