mercoledì 31 gennaio 2024

Dieci minuti (Tognazzi 2023)

Maria Sole Tognazzi torna alla regia dopo nove anni, quando con Io e lei (2015) indagava la relazione sentimentale di una coppia omosessuale interpretata da Sabrina Ferilli e Margherita Buy. Stavolta, invece, il dramma sentimentale è liberamente tratto dal quasi omonimo romanzo di Chiara Gamberale (Per dieci minuti, 2013), dal quale la cineasta, che ha curato la sceneggiatura insieme a Francesca Archibugi, si allontana molto recuperando, di fatto, quasi esclusivamente l'esercizio del titolo. I dieci minuti, infatti, sono il consiglio terapeutico cognitivo-comportamentista, tratto da Rudolf Steiner, di fare ogni giorno qualcosa di nuovo, per quella breve durata di tempo, per contrastare la depressione (trailer). 
Dieci minuti, proprio come il tempo, è un film circolare, che inizia e finisce con l'immagine della protagonista che entra in acqua. Un'immagine che crea una strana consonanza con il recente The Old Oak (Loach 2023), anche se il mare ha funzioni opposte nei due film e qui scopriamo il suo simbolismo solo alla fine. Nel mezzo dei due momenti, la storia di Bianca (Barbara Ronchi), lasciata dal compagno Niccolò (Alessandro Tedeschi), disperata, depressa, aiutata dalla sorella Jasmine (Fotinì Peluso) e dalla psicoterapeuta, la dottoressa Giovanna Braibanti, nei cui panni è una Margherita Buy diversa dal solito, diretta, frontale, che prende decisioni, come il ruolo esige.
Quasi tutti gli spettatori di un film hanno sofferto per amore, eppure qui resta difficile entrare in empatia con la protagonista, che appare fuori dal suo tempo, a disagio in ogni situazione e condannata da una specie di sortilegio, cosicché, dopo la fine del suo matrimonio, si ritrova anche ad essere licenziata dalla rivista per cui scrive, senza amici e con una serie di questioni irrisolte con i genitori: un primato di "punti-sfiga", come le verrà detto da un giovane conoscente dopo un autostop.
Bianca, infatti, ha una sorella minore che il padre ha avuto da una relazione extraconiugale tanti anni prima e che ancora oggi sembra essere un tabù. La famiglia vive nel silenzio su questo tema, Bianca vive da molto a Roma, ha un carattere molto insicuro e una visione borghese e conformista delle relazioni, ma, nonostante questo, il suo rapporto con la sorella è da subito - incredibilmente - molto stretto e permette davvero a Jasmine di aiutarla con un piglio e un decisionismo davvero sorprendente.
È proprio la sorella minore a metterla in contatto con la realtà del suo tempo, parlandole in maniera ancora più diretta della sua terapeuta, per svegliarla da quella sorta di torpore incantato in cui sembra aver vissuto da sempre. È lei a parlarle di alcol, di fumo, degli uomini (su cui ha un'esperienza ben più ampia), di sesso occasionale, a non farle vedere il suo corpo come qualcosa da donare ai più meritevoli, a non considerarsi un premio, ma ad usarlo finalmente anche per se stessa. Ed è sempre lei a farle capire che nonostante tutti avrebbero da criticare i propri genitori per i tanti errori fatti (e non potrebbe essere altrimenti), non ha senso perdere tempo a lamentarsi quotidianamente di questo. L'accettazione degli eventi come primo passo verso la serenità, il "principio di realtà" a cui fa appello la stessa Braibanti. Per Bianca, invece, è tutto nuovo, la vita degli altri è sempre lontana anni luce dalla sua e le basta pochissimo per giudicarla in maniera moralistica. La solitudine è uno stato che riguarda ognuno di noi e quel "Chi è che non è solo?" è la grande verità a cui anche Bianca deve riuscire ad arrivare.
Anche il compagno fornisce allo spettatore una visione non certo edificante della protagonista, spiegandole il perché della sua decisione di andarsene: recrimina di essere stato ignorato anche nei momenti di maggiore difficoltà e di aver vissuto all'interno di un sistema gerarchico del dolore, in cui quello di Bianca è sempre stato più importante, uno squilibrio sistematico che lo ha allontanato definitivamente ("vedi com'è? - dice all'ex suocero - È sempre Bianca che sta male"), ma vigliaccamente solo dopo aver trovato un'altra persona.
La rigidità è gran parte del problema e la terapeuta, spingendo anche sulla passione per la scrittura della sua paziente, le chiede giustamente "se a lei interessa fare la scrittrice, perché non le interessano gli altri?" Questa origine autobiografica e letteraria del soggetto, nonostante le distanze dal romanzo di partenza, è particolarmente evidente, e qua e là traspare anche nei colti riferimenti a Tolstoj (la bella frase sulla debolezza come forza più grande dell'essere umano ), a Elsa Morante, a Natalia Ginzburg e, ovviamente, nel cognome della terapeuta che rimanda ad Aldo Braibanti, cui peraltro è dedicato il recente film di Gianni Amelio (Il signore delle formiche, 2022). Bianca, inoltre, utilizza come modello proprio Natalia Ginzburg per il suo discorso a teatro - altra rottura rispetto al suo modo d'essere -, incentrato su adolescenza e sulla percezione degli altri come propria proiezione.
La pellicola non si fa notare per inquadrature o movimenti particolari della mdp e, a dare dinamismo alla storia, interviene il montaggio, curato da Chiara Griziotti, che ricorre spesso al flashback, espediente narrativo fondamentale in un film privo di sussulti registici e nel quale il ricorso alle musiche (di Andrea Farri) per evidenziare i passaggi più emotivi è ossessivo e davvero troppo didascalico.
Le location meritano un accenno. L'ambientazione romana ci permette di vedere diverse zone della Capitale, da San Francesco a Ripa (dove Bianca va a un funerale di qualche sconosciuto) al ponte della Musica, da via Castellaneta in zona prenestina a via del Tritone (dove Bianca, alla Rinascente, ruba un cappotto per dare l'ennesima scossa alla propria vita ed uscire dagli schemi consueti).
Fuori Roma, ma rimanendo nel Lazio, la troupe ha girato anche a Trevignano Romano, col suo magnifico affaccio sul lago di Bracciano, dove si incontrano Braibanti e Bianca, nell'immagine della locandina del film. E, infine, l'appendice siciliana, con il mare, ma soprattutto con Palermo, di cui vediamo soprattutto la chiesa rinascimentale di Santa Maria la Nova, la Vucciria (tra i banchi spicca anche un murale con Marlon Brando nei panni de Il padrino di Coppola) e la cupola del duomo, che fa da sfondo al basilare dialogo tra Bianca e sua madre. È la scena madre della pellicola, quella dei nodi che vengono al pettine, quella che dimostra quanto la realtà immaginata possa essere diversa dalla realtà interiore di ognuno di noi, a patto che si accetti il confronto e si usino le parole, pronti anche a sorprendersi e a rendersi conto che gli elefanti nella nostra testa erano in fondo solo dei topolini.

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