giovedì 18 gennaio 2024

Il ragazzo e l'airone (Miyazaki 2023)

Il ragazzo e l'airone è la catabasi di Hayao Miyazaki. L'ottantaduenne genio nipponico dà al giovanissimo protagonista il compito di viaggiare in un mondo altro, che come da tradizione è sottostante a quello in cui viviamo.  
Siamo nel 1943 e Mahito è un ragazzino che ha perso la madre, Hisako, durante un incendio. Il padre, Shōichi, proprietario di una fabbrica di materiali aeronautici, lo porta a vivere in una nuova casa, con la sua nuova compagna, Natsuko, sorella minore della prima moglie. La donna si presenta a Mahito come la sua nuova mamma e lo fa accudire da sette piccole vecchine. Qui, guidato da un ibrido airone cenerino metà uccello e metà uomo, con la speranza di rivedere la mamma, scopre un'antica torre dal passato misterioso che segna l'accesso in un'altra dimensione fisica e temporale (trailer).
Entrare in quel mondo sarà l'inizio della crescita del giovane protagonista, come accadeva al suo omologo de La città incantata (2001).
La dantesca porta della torre
Il film di Miyazaki, come sempre, è un incredibile groviglio di fantasia, di cui il mondo altro, sottostante a quello terrestre, rappresenta una fonte inesauribile di possibilità immaginifiche. Se, infatti, nel mondo in superficie l'unica concessione all'irreale è nella figura dell'uomo-airone, elegantissimo come uccello e goffo quando dalla bocca tira fuori la testa umana e grottesca, di cui spesso intravediamo comunque la ricca dentatura e la parte gengivale sotto il becco, in quello sotterraneo non c'è mai fine alle sorprese visive. Lì ci si imbatte in mari da solcare, paesaggi ignoti (tra cui si vede anche una delle strutture megalitiche del cromlech di Stonehenge), corridoi con porte numerate che si aprono su altre dimensioni, spaziali e temporali.
E, soprattutto, ci si imbatte in tanti personaggi, come i Wara Wara, piccoli esseri bianchi e sferici, che alludono (a mo' di animule o, se vogliamo, di spermatozoi) alle persone prima di passare alla vita del mondo di sopra; l'operosa e carnivora comunità dei parrocchetti, guidata da re Parrocchetto; Himi, la magica donna che difende i Wara Wara, aiuta Mahito e Kiriko, e che altro non è che la piccola Hisako da bambina; e infine il prozio di Mahito, quello che decenni prima costruì la torre attorno a una sorta di meteorite nella sua proprietà e vi scomparì all'interno. Il prozio, regale e molto vecchio, è una sorta di Zeus o di dio Padre della tradizione giudaico-cristiano, che ha in mano le sorti del mondo, un sottile equilibrio rappresentato da una torre costituita da tredici piccoli pezzi di legno dalle forme geometriche più diverse. E, se come vuole l'interpretazione più ovvia, nel prozio va riconosciuto lo stesso Miyazaki, dobbiamo aspettarci un tredicesimo lungometraggio nella sua filmografia, ora giunta a dodici?
La scena di Apocalypse Now ripresa per l'arrivo al villaggio
Il co-fondatore dello studio Ghibli - insieme a Isao Takahata, autore di La tomba per lucciole (1988), palesemente citato nella sequenza bellica iniziale - dà grande risalto agli ingressi, diaframmi liminali che uniscono e separano e che, non a caso, nascondono in maniera non troppo celata, a dire il vero, gigantesche citazioni.
Questo vale per la porta della torre che divide i due mondi, sormontata da un verso in italiano della Commedia di Dante, "Fecemi la divina potestate" (If. III, 5); per la porta d'oro, dietro la quale spicca una foresta di cipressi che tanto ricordano quelli delle varie versioni de L'isola dei morti, che il pittore svizzero Arnold Böcklin realizzò tra 1880 e 1886; e anche per l'arrivo in barca di Mahito e di Ikiro nel regno dei Wara Wara, iconograficamente esemplato su quello del capitano Willard-Martin Sheen nell'isola su cui regna Kurtz-Marlon Brando in Apocalypse Now (Coppola 1979).
I cipressi del film e L'isola dei morti di Böcklin
Letteratura, arte e cinema, da cui Hayao Miyazaki prende a piene mani. Cosicché anche la scelta dell'airone come psicopompo, che accompagna Mahito nel mondo di sotto, rimanda alla più antica opera letteraria nipponica, il Kojiki - scritto solo nel 712 d.C. ma dopo una lunga tradizione orale -, in cui si racconta di un principe che dopo la morte si trasforma in un airone bianco. 
I possibili rimandi a Fellini,
a Giorgio De Chirico e a Jean Epstein
E non può sorprendere che altri attenti osservatori del film hanno notato altri riferimenti a 8 1/2 di Federico Fellini (1963), nell'inquadratura del piede del sogno di Guido-Marcello Mastroianni e in quello con cui atterra Mahito; a La casa degli Usher di Jean Epstein (1928), per come i veli sollevati dal vento avvolgono Mahito come accadeva alla Madeleine di quel film; o alle arcate metafisiche dei dipinti di Giorgio De Chirico, per le simili strutture architettoniche sotto le quali passa il protagonista de Il ragazzo e l'airone.
Himi e Mahito e le "fiamme" di Ulisse e Diomede in
If. XXVI (Venezia, Bib. Marciana, ms. IX.276, f. 19r)
Che Dant sia ben evidente a Miyazaki sembra confermarlo anche il dialogo tra Mahito e Himi, avvolta dalle fiamme, che appare decisamente simile al momento in cui Dante e Virgilio incontrano i consiglieri fraudolenti Ulisse e Diomede in If. XXVI, dove "di tante fiamme tutta risplendea l'ottava bolgia".
La vita dei parrocchetti all'interno della torre, poi, ricorda moltissimo le iperdettagliate scene di alcuni dipinti fiamminghi: negli spazi affastellati di uccelli, si intravedono tavolate imbandite e festose, operai al lavoro e tanto altro, fino al loro luogo cerimoniale, una sorta di chiesa occidentale del Medioevo, con tanto di vetrate colorate, su cui è raffigurato un parrocchetto crocifisso, simbolo che compare anche sulla divisa del re Parrocchetto... molto più di una semplice allusione al cristianesimo.
Il seminatore di Millet
Storia dell'arte e design, tra l'altro, sono anche nei singoli oggetti: sulla scrivania di Mahito, per esempio, vediamo la famosa lampada dal paralume verde Emeralite, meglio nota come "lampada ministeriale" o "lampada Churchill", creata nel 1909 dallo statunitense Harrison D. McFaddin; e tra le pagine di un volume della madre che gli vediamo sfogliare compare Il seminatore (1850, Boston, Museum of Fine Arts), il dipinto che decretò il successo di Jean François Millet. Peraltro quel libro è una copia di E voi come vivrete?, traduzione del titolo originale del film di Miyazaki, che per la sua storia è partito proprio dall'omonimo romanzo di Genzaburo Yoshino (1937), incentrato sulla storia di un ragazzo che ha perso il padre e vive a casa dello zio. 
E poi un accenno anche a uno storico videogioco: i pellicani si nutrono dei Wara Wara mangiandoli come i fantasmini di Pac-Man rompendo le eliche che compongono (DNA?) per dirigersi verso il mondo superiore e "nascere".
L'airone e Grimilde in Biancaneve
Non mancano, infine, anche i riferimenti alle fiabe tradizionali, cosicché è facile scorgere la caduta della Grimilde di Biancaneve nell'airone che inciampa, ma che, a differenza della strega, arriva sul pelo dell'acqua e riparte in volo, tanto più che alla fiaba dei Grimm adattata dalla Disney sembrano alludere anche le sette vecchine che accudiscono Mahito e il coperchio di vetro sul feretro della venerabile Himi trasportato in processione dai parrocchetti, proprio come accadeva al corpo di Biancaneve pianta dai Sette nani.
Nel mondo sotterraneo, Mahito ha come sua accompagnatrice Kiriko (una delle vecchine-cameriere in versione giovane), un po' Virgilio-Beatrice nello spiegare al ragazzo le caratteristiche di quei luoghi, in cui i morti sono la maggioranza (sic). Allo stesso tempo, però, è un po' Caronte-Flegias, perché traghetta il ragazzo pagaiando su una barca. In quel mondo Mahito vede la sua mamma, fatta d'acqua, che si liquefa al semplice tocco, in una delle immagini più belle e disperanti dell'intera pellicola che, tra immagini di guerra, di fiamme e di gesti autolesionistici (in un momento di rabbia Mahito si colpisce con una grossa pietra sulla tempia, che lo fa sanguinare copiosamente), nonché di morte (l'agonizzante pellicano), dimostra ancora una volta che i film di Miyazaki non sono affatto film d'animazione per soli bambini, come la vulgata comune continua a pensare.
Non va sottovalutato l'aspetto autobiografico della pellicola. Hayao Miyazaki, infatti, come Mahito, è figlio di un ingegnere aeronautico che possedeva la Miyazaki Airplane, che produceva timoni per i caccia Mitsubishi A6M (l'amore per gli aerei era già in Porco rosso, 1992, e in Si alza il vento, 2013), e durante la Seconda guerra mondiale anche la sua famiglia fu costretta a spostarsi sia da Utsunomiya che da Kanuma per trovare un luogo in cui vivere. Natsuko, che nella torre è allettata in una sala parto in cui non è possibile accedere, è invece un evidente rimando alla madre di Miyazaki che, dal 1947 al 1955, soffrì di tubercolosi spinale e fu costretta a letto.
Un'ultima riflessione. Natsuko, raccontando la storia della grande torre a Mahito, dice che il prozio tanti anni prima si è perso addentrandosi in quel luogo dopo aver perso la ragione leggendo tanto... La conoscenza come limite, tra saggezza ed epistemofobia. "Chi cerca conoscenza di me morirà" è - stavolta in giapponese - un'altra frase che domina un ingresso, che occhieggia alla filosofia classica ma anche a un detto nipponico, “colui che farà come me, morirà". Una frase monito sul futuro... 
Il castello dei Pirenei e Idee chiare di Magritte; al centro l'isola
volante di 
Laputa e la pietra de Il ragazzo e l'airone 
Hayao Miyazaki, proprio come il prozio del film, si chiede se possa esserci un erede per il suo lavoro, per lo Studio Ghibli? Il figlio Gorō Miyazaki non sembra poter raccogliere la pesante eredità; che si tratti del nipote, a cui peraltro il film è dedicato? Chissà... non sembra deporre a favore di questa ipotesi né la frase citata, né tantomeno la grande pietra in cielo, osservata da prozio e Mahito, completamente disabitata, a differenza dei suoi precedenti, quella de Laputa - Castello nel cielo (1986), a sua volta ispirata a Il castello dei Pirenei di René Magritte (1959, Gerusalemme, Museo d'Israele), ma proprio come un'altra opera del pittore surrealista belga, dal titolo più che evocativo: Idee chiare (1958). Comunque sia, non ci resta che sperare intanto nel tredicesimo mattoncino di Hayao Miyazaki!

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