venerdì 26 gennaio 2024

Perfect days (Wenders 2023)

Ovvero Wim Wenders e il senso della vita, in un film minimalista, attento alle piccole cose, alla vita di tutti i giorni e a come quella di ogni persona, ciascuna a suo modo, possa essere straordinaria.
Una pellicola che, in pieno stile del regista tedesco, è l'elogio della lentezza, caratteristica troppo spesso utilizzata come categoria negativa per un film, ma che in molti casi è categoria identitaria di un'opera, come in questo bellissimo Perfect day, in cui è fattore significante e accoppiato alla riflessione filosofica (trailer).
Non ci si bagna due volte nello stesso fiume, sosteneva Eraclito, e Wim Wenders, che scrive il film con Takuma Takasaki, lo dimostra raccontandoci la routine del suo protagonista, Hirayama, interpretato da un magnifico e commovente Kōji Yakusho (premio come miglior attore a Cannes), che ogni giorno ripete la sua routine quotidiana: risveglio, cura dei suoi bonsai, un caffè in lattina dal distributore automatico sotto casa, e poi via, in tuta da lavoro per le strade di Tokyo a pulire i bagni pubblici della città. Silenzio e metodicità caratterizzano la sua esistenza. La sera legge un libro - e ne compra uno nuovo solo quando lo finisce -; al mattino ripiega e sistema in un angolo il suo tatami; pranza con due tramezzini in un parco; cena in un piccolo ristorante dove consuma velocemente il pasto, ridendo e scherzando con il gestore.
Eppure, nonostante la ripetitività dei gesti quotidiani, Hirayama non è il Bill Murray di Ricomincio da capo (Ramis 1993), nulla si ripete mai veramente nello stesso modo e la sua vita scorre tra le minime deviazioni dal cliché (per dirla ancora con la filosofia di Eraclito e Lucrezio): una persona incontrata, un gioco con uno sconosciuto utente dei bagni, una luce diversa tra gli alberi, una nipote che si rifugia a casa sua dopo un litigio con la madre, un uomo che si confida con lui per un equivoco e per il semplice bisogno di sfogarsi. "Se non cambiasse nulla allora la vita sarebbe assurda" dice Hirayama, rivelando la chiave della pellicola proprio a quest'uomo, con cui gioca a calpestarsi l'ombra vicendevolmente. Un paradosso degno di quello di Zenone e che nasce da una domanda che sembra davvero ripresa dai più antichi filosofi greci ("quando le ombre si sovrappongono diventano più scure?"), ma che alle nostre latitudini fa pensare anche a Pirandello e al protagonista de Il fu Mattia Pascal (1904) che sulla via Flaminia, vicino a Ponte Molle, prova a calpestare la propria ombra e poi la vede drammaticamente calpestata da tutti. Il gioco delle ombre tra i due personaggi di Perfect days, invece, viene dopo una delle riflessioni più profonde del film, di accettazione dei limiti umani: "quante cose che ancora non so. È così che si finisce di vivere, senza sapere nulla".
Hirayama non è semplicemente ancorato alle sue abitudini, ma lo è così tanto da non essere affatto intaccato dalla tecnologia: scatta fotografie in bianco e nero, costanti e quotidiane - e pertanto in grado di segnare il passaggio del tempo - con una macchina fotografica automatica Olympus; ascolta musicassette nel suo furgoncino da lavoro e ne ha ancora tantissime in casa, dove c'è ancora uno stereo portatile mangianastri. Quest'aspetto permette alla pellicola di dotarsi di una colonna sonora eccezionale, che si adatta ai momenti della giornata e all'umore dei personaggi e che, ovviamente, ha tra i suoi brani elettivi Perfect day di Lou Reed, che ascoltiamo anche in Pale Blue Eyes dei Velvet Underground, ma ci sono anche Sunny afternoon dei Kins (di pomeriggio), Sleepy city dei Rolling Stones (di sera), Redondo Beach di Patti Smith, The House of the Rising Sun degli Animals, che ascoltiamo anche in una bellissima versione orientale, e poi Sitting on a dock of the bay di Otis Redding, Feeling good di Nina Simone, che apre la commozione dello spettatore insieme al sorriso e alle lacrime del protagonista.
Nei sogni di Hirayama, in bianco e nero come le sue foto, torna la sua quotidianità, particolari impressi nella memoria che di notte fanno capolino: le biciclette, le righe orizzontali bianche e nere di una maglietta (che di giorno si erano incrociate con quelle omologhe verticali di uno dei bagni), le ombre e le luci, che trovano il massimo della poesia nel komorebi, il luccichio del sole tra le foglie. Le fasi oniriche sono il contributo di Donata Wenders, moglie del regista, che ci regala piccoli capolavori che rimandano a Man Ray e a Jean Epstein, tra surrealismo e fotogenia, intesa come capacità di maggiorazione estetica della realtà. Determinante per le sequenze dei sogni, ma anche per il resto del film, il ruolo del direttore della fotografia, Franz Lustig.
I bagni della Tokyo Toilet Project, per cui lavora Hirayama, sono l'indubbio corredo scenografico più sorprendente degli ultimi anni: lo spettatore si ritrova, così, a passeggiare per le strade della capitale giapponese, ammirando le opere a cui hanno contribuito ben sedici architetti di tutto il mondo per diciassette bagni, tra i quali spicca il nome di Ban Shigeru, l'archistar autore dei due in vetro colorato, trasparenti dall'esterno, ma che si oscurano nel momento in cui vengono occupati.
Hirayama, pur avendo scelto la via dell'isolamento e della solitudine, ha trovato un suo equilibrio e non appare come un misantropo, tutt'altro: riesce a empatizzare persino con il suo giovane collega Takashi (Tokio Emoto), molto meno attento di lui ai dettagli del loro lavoro, e con la ragazza di questo, che si appassiona alla musica di Patti Smith.
Capiamo da pochi dettagli il difficile rapporto del protagonista con la famiglia, da cui si è allontanato da tempo e da anni non parla né con il padre né con la sorella. Hirayama sintetizza la propria differenza da quest'ultima con parole ancora una volta di grande profondità - "il mondo è fatto di tantissimi mondi. alcuni sono collegati tra loro, altri meno" - che rivolge a sua nipote Niko (Arisa Nakano), per la quale rappresenta un ideale, tutto ciò che si allontana da uno schema di vita precostituito. In parte è vero, ma questo non toglie che Hirayama soffra per la situazione.
La sua grande capacità, che di fatto lo conduce ad una piena e serena felicità, è quella di vivere momento per momento, giorno per giorno, con una pacata gentilezza che non chiede nulla in cambio, lasciando il passato alle spalle e non considerando con ansia il futuro. In una parola l'essenzialità del wabi-sabi della filosofia zen.
D'altronde "un'altra volta è un'altra volta, adesso è adesso", un mantra da ripetere sempre e, perché no, da cantare in bicicletta...

1 commento:

  1. E' la più bella recensione che ho letto finora su questo film, complimenti... lo hai sviscerato profondamente, anche su aspetti su cui non avrei mai pensato (le righe della maglietta!). Uno dei film dell'anno.

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