giovedì 11 gennaio 2024

Il maestro giardiniere (Schrader 2022)

Per i più appassionati cinefili e per gli amanti del cinema di Martin Scorsese sarà sempre lo sceneggiatore di Taxi Driver, Toro scatenato, L'ultima tentazione di Cristo, Al di là della vita (1976, 1980, 1988, 1999), ma Paul Schrader oltre alla carriera di sceneggiatore, ha ormai al suo attivo più di venti lungometraggi da regista, con film che vanno da American Gigolò (1980) a Cane mangia cane (2016), fino agli ultimi La creazione a rischio (2017) e Il collezionista di carte (2021), in cui come è naturale che sia la scrittura ha un ruolo determinante.
Il maestro giardiniere, presentato fuori concorso a Venezia, si allinea perfettamente a questo panorama cinematografico e anche ai temi della malavita, in cui quelli in cui Schrader si muove meglio, in cui uomini violenti cercano catarsi e redenzione (trailer). 
Eppure la pellicola, nel titolo e per il contesto in cui è ambientata, appare davvero di tutt'altro genere sulle prime: Norma Haverhill è la proprietaria dei Gracewood Gardens e Sigourney Weaver, che la interpreta, sembra proseguire con il suo personaggio, rigido e misterioso, della recente serie tv The Lost Flowers of Alice Hart. Qui il capo giardiniere è Narvel Roth (Joel Edgerton), un ex detenuto inserito nel programma di protezione testimoni, coadiuvato da un gruppo di altri giardinieri, tra cui Isobel (Victoria Hill) e Xavier (Eduardo Losan). Un giorno Norma avverte Narvel del prossimo arrivo della pronipote Maya (Quintessa Swindell), figlia della figlia di sua sorella. Maya è una ragazza rimasta sola, senza famiglia, ribelle e con amicizie poco raccomandabili, e Norma, che sta invecchiando, vuole farle insegnare da Narvel il mestiere di giardiniera, per affidarle in futuro la sua proprietà. Ovviamente non sarà tutto così semplice...
Schrader è un maestro nel portare lo spettatore all'interno della pacata serenità del luogo, lasciando però qualcosa di irrisolto, un alone di mistero percepibile nelle linee di sceneggiatura ma anche negli occhi dei tre bravissimi interpreti principali e nei lenti movimenti della mdp, con carrellate in avanti e indietro, dolly, panoramiche; e poi campi lasciati vuoti per alcuni secondi dopo l'uscita di scena dei personaggi, che aumentano la sensazione di disagio. Tra le inquadrature più belle, quella che riprende dall'esterno una larga vetrata inglesina a riquadri che occupa l'intero schermo, dietro la quale sono Narvel e Maya, e anche il bellissimo momento del "maestro giardiniere" che scrive il suo diario mentre Maya dorme, una dolcissima immagine riflessa nello specchio.
Nulla è lasciato al caso e anche costumi e scenografia hanno la loro parte, soprattutto quando vediamo Norma con una camicia azzurra che fa pendant con l'incredibile carta da parati blu con un pattern di meduse chiare. E lo stesso dicasi della colonna sonora di Devonté Hynes, che oscilla brillantemente tra motivi rilassanti e inquietanti. 
Narvel, la cui voce narrante fa da raccordo tra le sequenze, attraverso l'espediente del diario personale, è un bravo insegnante, che alterna il lato pragmatico del suo mestiere a frasi storiche e filosofiche sul giardinaggio. Così, parlando a Maya, ci racconta la differenza tra i giardini formali francesi e quelli inglesi in cui, invece, sulla forma geometrica prevale l'anarchia della natura, fino ai "giardini selvaggi", e poi sentenzia che il giardinaggio è "fiducia nel futuro, che qualche cosa accadrà a tempo debito". Spettano a lui le battute più incisive della sceneggiatura e, dato che l'incontro con Maya risveglierà in lui un passato di violenza, sopito e anestetizzato da quel luogo calmo e fiabesco, anche le sue frasi passeranno dalla spiegazione della scelta di Carl Von Linné di modificare il suo nome in Carolus Linnaeus a "ho fatto mole potature nella vita", pronunciata tenendo una cesoia in mano davanti a una coppia di spacciatori.
Norma è dura e implacabile in ogni sua esternazione ("il denaro è il miglior concime") e anche con la pronipote si pone in maniera non certo accogliente, incontrandola solo diversi giorni dopo il suo arrivo e peggiorando le cose dopo un invito a cena. Anche grazie al suo atteggiamento il rapporto tra Narvel e Maya diventa sempre più centrale nella storia: il primo è cupo, ma responsabile, protettivo e attento; la seconda è sola, bisognosa di attenzioni, apparentemente solare, ma con tanta sofferenza dentro e con legami tossici in tutti i sensi.
Narvel, Norma e Porch (il cane che ama stare nel portico)
Sono due misfit, percepiscono immediatamente il comune substrato, ma il passato di Narvel è ben visibile sul suo corpo sotto forma di tatuaggi nazisti e, nonostante le premure nei confronti di Maya, quelli rappresentano un indubbio problema nel loro rapporto. Si annusano, uniscono le loro solitudini alla Bonnie e Clyde, ma in maniera molto più tormentata di quanto accadeva in Gangster story (Penn 1967), poiché qui tutto si gioca tra senso di colpa, vendetta, perdono e redenzione.
Schrader, peraltro, lascia volutamente nella nebbia la vita precedente di Narvel, che affida a rapidi flashback disseminati lungo il film a mo' di briciole di pane, che si intensificano quando l'uomo si confronta con l'agente che segue il suo caso, Oscar Neruda (Esai Norales), un uomo simpatico nel senso etimologico del termine e che indossa una maglietta che riporta la scritta "we should all feminists".
La durezza e la cattiveria del personaggio di Norma vengono acuite dai racconti sul proprio passato di bambina-attrice, quando apparve in tre puntate della famosa serie I racconti del west (Dick Powell's Zane Grey Theater, 1956-61) un dettaglio che ce la fa vedere come una piccola Shirley Temple del far west e allo stesso tempo come una Gloria Swanson di Viale del tramonto (Wilder 1950).
Narval e Keitel-cattivo tenente in ginocchio
Tra le citazioni cinefilo-letterarie, da notare la stessa Norma che offende Narvel accusandolo di essere come Humbert Humbert di Lolita (Kubrick 1962, ma il romanzo di Nabokov, 1955).  Come dimenticare che il motivo dell'uomo tormentato che si invaghisce di una ragazza silenziosamente e in maniera paterna è quello che ha reso celebre Schrader con Taxi Driver?
E poi, soprattutto, il momento in cui Maya chiede a Narvel di vedere i suoi tatuaggi e questo si inginocchia e le abbraccia le gambe, in un'immagine di redenzione che fa subito pensare all'Harvey Keitel, che avanza in ginocchio nella navata della chiesa fino ad arrivare al cospetto di Cristo che gli appare nel bellissimo Il cattivo tenente (Ferrara 1992), un film clamorosamente nelle corde di Schrader. Le parole di Narvel, però, come la maglietta di Neruda, sono adattate ai tempi attuali e la sua richiesta di perdono è accompagnata da: "mi hanno insegnato a odiare chi era diverso da me... ero bravo a odiare".
Un film bello, duro, intenso, ben scritto, ben recitato e ben diretto fino all'ultimo carrello all'indietro. Da non perdere!

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