mercoledì 8 giugno 2022

Marcel! (Trinca 2022)

È un grido quel Marcel!, e a dimostrarlo non c'è solo il punto esclamativo nel titolo, ma l'urlo triste, perduto e disperato di Alba Rohrwacher che cerca il suo cane.
C'è il dolore e la passione nell'opera prima di Jasmine Trinca alla regia, una sorta di autobiografia trasfigurata in fiaba. L'attrice romana, che riprende ampliandolo quanto era in nuce nel cortometraggio Being My Mom (2020, vedi), in cui le due stesse protagoniste giravano per Roma trascinando una grande valigia, ha girato una storia surreale e allegorica. Il racconto è quello di una famiglia a dir poco fuori dagli schemi, in una Roma anni '80 in cui i due palesi riferimenti cinematografici sono Charlie Chaplin, quello de Il monello (1921), dichiarato dalla regista stessa, e Federico Fellini, per le atmosfere oniriche e circensi (trailer).

Nei lotti popolari della Garbatella, tre generazioni al femminile, rappresentate da una madre (Alba Rohrwacher), una figlia (Maayane Conti) e una nonna (Giovanna Ralli), vivono apparentemente in maniera slegata, diversamente alienate, segnate dal dolore della perdita e dal bisogno di centrarsi di nuovo.
La loro comunicazione è ridotta al minimo e, al momento, tutto è evanescente come le ombre cinesi con cui giocano mamma e figlia, in luoghi e modi differenti, la prima con l'obiettivo di farne arte, la seconda sul letto, per distrarsi tra un pensiero e l'altro, mentre sopra di lei campeggia una grande foto di suo padre, che ha lasciato un vuoto enorme... Di lui le parla costantemente la nonna, l'unica a parlare, ma più per il bisogno di ricordare suo figlio che per comunicare con la nipote.
La mamma sembra ignorare completamente il ruolo materno ed è assorbita dal dolore e dai suoi spettacoli da artista di strada, che mette in scena anche lì, tra i lotti, con l'inseparabile Marcel, il cane che ama più di sua figlia, tra pochi spettatori e un fan che le porta rose distraendola fatalmente...
La bambina, tra questi due modelli di donna, non può che essere frastornata. Sta imparando a suonare il sassofono, legge un libro di fiabe (illustrato da Gipi), collabora agli spettacoli di sua madre, ma ogni volta ne esce mortificata. È lei, in realtà, a prendersi cura di sua madre, a fare la spesa per rimpinguare un frigorifero pressoché vuoto, in cui campeggiano quasi esclusivamente le carote per Marcel: la donna non solo non ricambia, ma le preferisce sempre il cane, di cui la ragazzina è profondamente gelosa. E proprio questo ribaltamento dei ruoli, a detta della stessa Jasmine Trinca, è stato per anni un suo cruccio, poi superato in età adulta rielaborando quel rapporto e riconoscendo il gran lavoro fatto su di lei da una madre comunque fuori dagli schemi (vedi). 
La carenza di attenzioni e d'affetto rendono la bimba ancora più silenziosa, non mostra sentimenti, se non qualche accesso di rabbia contro la madre e contro il cane, improvviso, anche se non inaspettato. Con i coetanei ha rapporti contrastanti: con un maschio che la segue e l'aspetta è lei a dettare i tempi, parla con lui, ci gioca alla guerra, ma gli dà anche del deficiente; con le femmine è tutto molto più complesso, vorrebbe fare amicizia con una di loro, ma viene annichilita dalle battutine delle altre che la portano a chiudersi di nuovo.
Piazza Edoardo Masdea alla Garbatella
Un approfondimento particolare meritano le location. Il set principale è costituito dalle strade e dai lotti della Garbatella: ne vediamo dettagli come la loggetta pensile del Lotto 8 tra via Luigi Fincati e via Edgardo Ferrari (Plinio Marconi 1923-1926), lo slargo di piazza Masdea, davanti al Lotto 20, i cortili, le terrazze, i pini, ma anche la scala più famosa, nota come Scala degli Innamorati, quella che si conclude sulla Fontana della Carlotta, con la grande anfora e il volto della "Garbatella" che dà il nome al quartiere. C'è anche moltissimo Testaccio, il rione in cui Jasmine Trinca è cresciuta. Alcune scene si svolgono all'interno del vecchio Mattatoio, oggi sede del MACRO, e ad esempio leggiamo l'iscrizione dell'ottocentesco Museo Anatomo-Patologico, dov'è la balera in cui va Giovanna Ralli. Viene sfruttata anche la zona alle spalle del Mattatoio, dove Alba Rohrwacher compare seduta con i piedi penzoloni sulla balaustra di Ponte Testaccio (1938-1948).
La scalinata davanti alla Cattedrale di Bracciano
La disperazione per la scomparsa di Marcel, peraltro, la spinge ad "ascendere" al Monte dei Cocci, lì nei pressi, fino alla grande croce sulla sommità, ma anche a recarsi nel vicino cimitero acattolico, dove la vediamo, in evidente consonanza figurale, in deliquio come la statua dell'Angelo del Dolore, lì di fianco, scolpita dallo statunitense William Wetmore Story per la tomba di sua moglie, Emelyn Eldredge Story (1894).
C'è spazio anche per un luogo di fantasia, il paese di Sovano (né Sorano, né Sovana, entrambi nel grossetano, ma che ricorda i paesini e le frazioni etrusche di quella zona), dove la finzione del film inscena il festival di artisti di strada a cui le protagoniste partecipano, in una sequenza girata su una scalinata dai bassi gradini. A ben guardare, si tratta del largo della cattedrale di Bracciano, dove in effetti c'è quella scala e la targa di marmo che indica il toponimo che si legge nella scena.
Il finale, liberatorio e rasserenante, con gli aquiloni che volteggiano nel cielo, è invece ambientato tra le dune del litorale sud di Roma.
La storia è divisa in dieci capitoli dai titoli allegorici, si va da "La Casata" a "Dopo il compimento", passando per altri titoli sibillini e iniziatici come "Il principio creativo", "Lo sconvolgimento", "L'ascendere" o il "Viandante I e II".
Gli ultimi citati rimandano al lungo girovagare di mamma e figlia, con una vecchia Renault 5 rossa e con una grande valigia (come in Being My Mom, appunto, dove però prendeva vita), in direzione dell'agognato festival di Sovano, prima del quale due sequenze sono tra le più riuscite e significative del film. 
La prima, dopo l'incontro con una biglietteria semovente (con Settimana enigmistica in evidenza) degna dei Monty Python, è decisamente felliniana e si svolge in campagna, tra venditori di cocomeri freschi, circensi e  attrazioni da luna park tipiche di allora, come il toro o il punching ball. E, ad aumentare il fascino anni '80, gli imitatori (questa una moda molto più recente) di Al Bano e Romina Power, che cantano Ci sarà, partecipanti di un'improbabile "gara di talenti", come recita la locandina su cui Alba Rohrwacher, dopo aver urlato "quanto dura questo strazio?", scrive come atto di protesta e di romantica malinconia, "Pour toujours Marcel", il titolo del suo spettacolo. Nella colonna sonora spicca anche un classico pop come Enola Gay degli OMD, che la protagonista balla prima con un cowboy - Lynch incontra Fellini - e poi con la figlia, mentre la mdp gira attorno a loro.
La seconda sequenza è nel casale di una cugina (Valentina Cervi). La vita della donna e dei suoi amici - tra i quali uno interpretato da Giuseppe Cederna - contrasta clamorosamente con quella delle due protagoniste. Lo scontro è inevitabile: da una parte i benpensanti, ricchi, rinchiusi nelle loro torri d'avorio, dall'altro le artiste di strada, con pendoli e ching, che la cugina chiama "performer", per dare un tono più elevato a quell'attività che in realtà giudica negativamente: "le parole sono importanti!" per dirla col Nanni Moretti di Palombella rossa... "io non parlo così", potrebbe dire il personaggio di Alba Rohrwacher, a cui in effetti spetta la frase di maggior rottura di quell'incontro, che sintetizza tutta la distanza tra le due filosofie di vita e di approccio all'arte: "mia cugina fa sempre fatica a mettere l'arte fuori dalle galleria dove staccano assegni".
Diversi gli attori che con piccolissimi ruoli arricchiscono il film e regalano piacevoli sorprese: Paola Cortellesi è la venditrice televisiva di gioielli stile Guzzanti; Umberto Orsini il nonno della bimba, le cui prime e tarde parole ci danno una chiave essenziale della storia; Dario Cantarelli è sia l'addetto alle cremazioni che l'uomo azzimato, fan degli spettacoli di Alba Rohrwacher, che in un altro di questi ha come compagna Valeria Golino. Nel primo spettacolo che vediamo, inscenato in uno dei cortili della Garbatella, i lenzuoli con i buchi da cui l'attrice fa capolino, con un copricapo da aviatore in cuoio inizio '900, citano le tante scenografie degli spettacoli del grande Antonio Rezza (vedi). Gli altri rimandi dell'arte scenica del personaggio sono nella battuta della cugina, che la definisce una "reincarnazione" della coreografa e ballerina tedesca, Pina Bausch, e del più famoso mimo francese, Marcel Marceau, al quale rende omaggio il nome del cane che fa anche da titolo del film.
La fotografia ruba l'occhio: in una delle prime sequenze, la bimba sdraiata sul letto è avvolta in un contrasto di luci e ombre da dipinto seicentesco; Roma stessa viene immortalata con la luce calda dei tramonti sulle facciate dei palazzi dall'intonaco scrostato e decadente di Garbatella e Testaccio.
Un film romantico, grottesco, eccentrico, con tanti punti di interesse, seppure naif e inevitabilmente acerbo, libero e fuori dagli schemi, che racconta di relazioni fatte di molti non detti e poche esplicitazioni... tra le pochissime frasi della mamma alla figlia, ne restano soprattutto due, una programmatica, "ricorda che all'arte si deve la vita", e l'altra mesta e inquieta, "tu non dormi mai? Eh, la notte è difficile".

2 commenti:

  1. una splendida recensione, di cui Le sono grata. Profonda, acuta, colta e ampia, e molto empatica! che guida, illumina e offre riferimenti importanti (l'individuazione delle locations è davvero preziosa, viene voglia di andare a scoprire tutto ciò...) per comprendere e godere meglio delle sequenze di un film che spero di vedere presto.

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  2. Splendida recensione di un film che non si dimentica e che è tra i miei cinque preferiti, grazie!

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