mercoledì 15 giugno 2022

Top Gun: Maverick (Kosinski 2022)

Gli anni '80 son tornati, come ce li ricordavamo, forse persino amplificati rispetto ad allora, nella pellicola diretta da Joseph Kosinski, regista architetto che negli ultimi dieci anni David Fincher ha contribuito a lanciare a Hollywood, dove ha realizzato pellicole d'azione come Tron: Legacy (2010), Oblivion (2013) e Fire Squad (2017).
Tom Cruise non si arrende e, ormai sessantenne, torna a solcare i cieli nei panni di Pete Mitchell, per tutti "Maverick", come recita anche il casco personalizzato ripescato dall'iconografia del primo indimenticabile film del 1986, diretto da Tony Scott, scomparso nel 2012 e alla cui memoria è dedicato questo sequel (trailer). A produrlo, come allora, la Paramount.

L'operazione nostalgia riesce e la pellicola risulta gradevole, a patto che si accetti di essere di fronte a un prodotto noto e che non sorprenda mai, fatto di situazioni, scontri e linee di sceneggiatura prevedibili come il calendario, tra le quali restano i commenti sul protagonista ("l'uomo più veloce che ci sia"), tormentoni che si ripetono, "non mi piace quella faccia" "è l'unica che ho", che alle nostre latitudini fa pensare subito a Febbre da cavallo (Steno 1976), risultando ancora più buffa di quanto già non sia (vedi), o frasi-aforismi, come quando a Pete viene chiesto se la missione "è fattibile?" e lui replica "la risposta è nel pilota" (manca solo il "...però è sbagliata" di guzzantiana memoria). 
Maverick è l'eroe indiscusso, Tom Cruise è in ogni scena per tutta la durata del film, con l'invidiabile ruolo di chi non ha fatto carriera preferendo rimanere se stesso. Di fatto è il pilota più ricordato per le sue imprese, considerato un mito da molti, ma scomodo per i vertici della Marina, in cui per sua fortuna, molto in alto, ora c'è un suo amico di vecchia data, Tom "Iceman" Kazinsky (Val Kilmer), che lo richiama per addestrare i dodici migliori giovani in forza alla US Navy.
Tornare in quel mondo, però, per Pete vuol dire scontrarsi col potere e la gerarchia, impersonata dall'ammiraglio Beau "Cyclone" Simpson (Jon Hamm), che non lo ama affatto e che dichiara sin da subito che se fosse per lui non sarebbe lì; ma rappresenta anche affrontare i fantasmi del proprio passato, poiché tra i ragazzi c'è Bradley "Rooster" Bradshaw (Miles Teller), figlio di Nick "Goose" Bradshaw, amico di Pete e suo gregario, morto in volo nella storia raccontata dal primo film; e, infine, significa rivedere la bellissima Penny (Jennifer Connelly), una vecchia fiamma - anche se non degli anni '80 - la cui scintilla continua ad accendersi e spegnersi ad intermittenza da anni.
Essere fuori dagli schemi per Maverick è la norma: gli si chiede di arrivare a 10 e va a 10.4; gli si chiede di andar via e lui ruba aerei per dimostrare di poter abbassare i tempi, come un atleta alle Olimpiadi; per esaltarlo viene presentato come primo al suo corso negli anni '80, ma lui, per amore di verità, puntualizza "veramente sono arrivato secondo, non vorrei creare aspettative", accompagnando la frase con il suo sorriso irresistibile, vero e proprio marchio di fabbrica di Tom Cruise. Proprio con quello ha sedotto in passato Penny, che infatti questa volta continua a ripetergli "non guadarmi in quel modo", anche se poi il suo modo di cedere è splendidamente cinematografico, privo di parole: riaccompagnata a casa per l'ennesima volta, non dirà quella frase e una volta entrata lascerà la porta aperta. Chapeau!
La missione a cui sarà chiamato Maverick con i suoi ragazzi in fondo è un MacGuffin, che serve a far andare avanti la storia e a creare un po' di tensione, d'altronde ormai le "missioni impossibili" per Tom Cruise sono all'ordine del giorno in questa continua sovrapposizione tra l'attore e i suoi personaggi, trasversalmente intesi. Le battaglie aeree, i dogfight, esaltano le capacità di Pete, come se fossimo in un videogioco anni '80, ça va sans dire, e i "cattivi" questa volta sono nemici senza identità, simili ai soldati della Marina Imperiale nella Morte Nera di Guerre Stellari.  
Tra le novità che mai avrebbero trovato posto in un film degli anni '80, una presenza femminile tra gli allievi, Natasha "Phoenix" Trace Monica Barbaro, così come il melting pot rappresentato dalle diverse etnie dei ragazzi.
Tutto è prevedibile e rassicurante sin dalla prima sequenza, in cui vediamo Maverick in una vera e propria "cerimonia di vestizione": giacca di pelle con toppe di ordinanza (bomber MA-1), jeans stretti, occhiali da sole Ray-Ban Aviator e, poi, in sella sulla sua Kawasaki GPZ 900R dell'epoca; e così più avanti lo vedremo nella sfolgorante divisa bianca della Marina in cui brillava ormai quasi quarant'anni fa. La ritualità segue gli schemi del genere: l'incontro con Penny, che serve birra nel pub frequentato da tutti i militari; Pete trattato come l'anziano di turno da quei ragazzi che il giorno dopo fatalmente lo troveranno in cattedra, al cospetto dei quali, dimostrando che tipo di insegnante sarà, butta nel cestino il manuale dell'F18, dato ovviamente per scontato. L'obiettivo di Maverick sarà quello di "formare una squadra", e in questo la sequenza di gruppo in cui tutti giocano a football americano in spiaggia mostrando corpi scolpiti nel marmo al tramonto è una delle scene madri del film.
Maverick non rinuncia mai al suo ruolo di pilota, non si sente un insegnante come afferma all'ammiraglio Simpson, e durante le esercitazioni con i ragazzi, oltre a dimostrare a tutti loro di essergli superiore, non può fare a meno di ignorare le regole, facendo infuriare il suo superiore. La sua natura, la sua leadership innata e le sue capacità lo porteranno a tornare sugli aerei e non solo per le esercitazioni, arrivando a pilotare persino un F14, quello che lo ha reso celebre e che i suoi allievi oggi ritengono un residuato bellico. Riuscirà in tutto, come ogni eroe e divo che si rispetti (e, aggiungo, che abbia contibuito alla produzione della pellicola), persino a rendere collaborativo il biondo bello ed egoista del gruppo, Jake (Glenn Powell), non a caso soprannominato Hangman perché in volo è sempre pronto a lasciare solo qualunque dei suoi compagni pur di salvare se stesso.
La colonna sonora, firmata da Harold Faltermeyer, Hans Zimmer e Lorne Balfe, contribuisce all'epica e brani come I ain't worried dei One Republic, utilizzata per la citata scena della spiaggia, ricreano quel fascino vintage che si cerca in un film come questo, al pari di Great balls of fire, che omaggia una delle famose sequenze della pellicola di Tony Scott (1986; 2022), che vediamo in flashback nei ricordi di Pete, ripetendo la scena della canzone improvvisata un tempo dal padre, Nick Bradshaw, e oggi dal figlio Bradley al pianoforte del pub.
In un film come questo, il dialogo sul tempo e il passato tra Iceman e Maverick, senza scomodare la Recherche di Proust, è basilare, e all'affermazione del primo "è tempo di dimenticare", la risposta del secondo è ovvia quanto necessaria, "non sono capace".
È forse questa l'unica incapacità del nostro eroe, per il resto perfetto e impeccabile in ogni momento, persino quando la figlia di Penny (e Penny sì che ne sa di Recherche, avendo interpretato Deborah in C'era una volta in America, Leone 1984), gli intima di non spezzare il cuore alla madre un'altra volta. È il cinema dei buoni sentimenti e Maverick ha messo la testa a posto in vecchiaia... chissà. Da spettatori, onestamente, preferiamo rimanere con il dubbio e non essere sottoposti a una terza puntata della saga.

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