M. Night Shyamalan adatta la graphic novel Castello di sabbia di Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters, e ingaggia un duello con lo spettatore, tra ironia, assurdità e topos televisivi, raccontando di undici vacanzieri che, durante un'escursione, si ritrovano inspiegabilmente bloccati su un'isola su cui i loro corpi invecchiano di ora in ora, da cui l'Old del titolo (trailer). Il sarcasmo del soggetto è confermato dalla navetta che li conduce dal villaggio turistico all'isola, guidata dallo stesso regista, che rimarrà ad osservarli da lontano.
A comporre il gruppo di gitanti ci sono una coppia in difficoltà, Guy (Gael García Bernal), statistico di una compagnia di assicurazioni, e Prisca (Vicky Krieps), curatrice di mostre, genitori di due bambini, la primogenita Maddox (Alexa Swinton) e il piccolo Trent (Luca Faustino Rodriguez); Charles (Rufus Sewell), medico, con la giovane compagna Chrystal (Abbey Lee), la figlia di sei anni, Kara (Kyle Bailey), e la madre anziana, Agnes (Kathleen Chalfant); un'altra coppia, composta dall'infermiere Jarin (Ken Leung) e da Patricia (Nikki Amuka-Bird); e infine il rapper Mid-Size Sedan (Aaron Pierre).
Una volta arrivati sulla splendida spiaggia dell'isola, il casuale ritrovamento del cadavere di una donna trasforma la gita in un incubo e, in una sorta di Dieci piccoli indiani fuso con la fortunata serie tv Lost, ai personaggi accade di tutto e la sospensione dell'incredulità è davvero messa a dura prova da bambini che crescono di anni in poche decine di minuti (e per questo vediamo più attori che li interpretano); ragazzine che si ritrovano incinte e poi partorienti, poche ore dopo aver giocato con paletta e secchiello; tumori che in breve tempo crescono come meloni e vengono operati sul posto... un medico e un infermiere nel gruppo fanno sempre comodo!
Che Lost sia un riferimento con cui Shyamalan ammicca allo spettatore lo dimostra non solo la presenza del medico (come lo era Jack Shephard), ma anche l'avvenente e insopportabile ragazza bionda che tanto ricorda la Maggie Grace della serie di J.J. Abrahams, e poi, ovviamente, l'utilizzo di un attore appartenente al cast di allora, Ken Leung, che in Lost era Miles, nonché la colonna sonora di Trevor Gureckis, che tanto ricorda quella di Michael Giacchino di allora.
Che Lost sia un riferimento con cui Shyamalan ammicca allo spettatore lo dimostra non solo la presenza del medico (come lo era Jack Shephard), ma anche l'avvenente e insopportabile ragazza bionda che tanto ricorda la Maggie Grace della serie di J.J. Abrahams, e poi, ovviamente, l'utilizzo di un attore appartenente al cast di allora, Ken Leung, che in Lost era Miles, nonché la colonna sonora di Trevor Gureckis, che tanto ricorda quella di Michael Giacchino di allora.
Il cineasta statunitense di origini indiane sembra cavalcare il periodo che viviamo da un anno e mezzo e fa lambiccare noi e i suoi personaggi tra complottismi, natura matrigna, sperimentazione scientifica e così via, eppure il film che parte bene e intriga in maniera convincente, col passare dei minuti perde la sua intensità in maniera direttamente proporzionale all'avanzare delle rughe dei protagonisti.
Eppure, all'inizio, anche l'approfondimento psicologico è quello del miglior Shyamalan, e così vediamo Trent giocare con dei pupazzi facendoli litigare come fanno i genitori, imputandosi le stesse manchevolezze ed esternando le stesse minacce. Anche il personaggio di Idlib, il nipote del direttore del resort da cui tutto origina, che fa amicizia e gioca con Trent, sembra poter essere una figura importante nell'economia del film, ma è una delle tante piste gettate lì dal regista e non sviluppate, o volutamente esca per lo spettatore?
I luoghi comuni ci sono tutti, ma arricchiti da numerosi riferimenti e citazioni... l'afroamericano su cui inizialmente vanno tutti i sospetti, l'avvenente ma insopportabile ragazza bionda che tanto ricorda la Maggie Grace di Lost, che qui avrà un'evoluzione ben più surreale, qualcosa di più vicino all'horror de Lo cunto de li cunti, e con uno specchietto come attributo che non può non far pensare alla favola di Biancaneve dei fratelli Grimm, che d'altronde tanto amavano il libro di Giambattista Basile; il medico che impazzisce, ma nel farlo cita il cinema con la C maiuscola, prima picchettandosi la testa come le scimmie di 2001. Odissea nello spazio, e poi continuando a ricordare un film con Jack Nicholson e Marlon Brando, senza mai citarne il titolo. Inutile dire che per qualsiasi cinefilo a un certo punto diventa questo il motivo centrale della pellicola, altro osso - a proposito di 2001 - che Shyamalan lancia per catturare l'attenzione di chi guarda (si tratta di Missouri, western girato dal grande Arthur Penn nel 1976).
La regia, nonostante la fissità della scena, relegata per gran parte del film ai pochi metri quadri della spiaggia, si sbizzarrisce: la mdp esce dalle gole; si apre in panoramiche su tutti i personaggi e con carrelli che li seguono; inquadrature dall'alto e, poi, una fantastica soggettiva impossibile dall'interno della gabbia toracica di un cadavere ormai decomposto.
Questa è solo l'ennesima prova, oltre le sue dichiarazioni, che Shyamalan si sia divertito, su questo non c'è dubbio, noi da spettatori stavolta un po' meno... vederlo osservare i personaggi con un binocolo, dalle alture che chiudono la spiaggia (come la foresta di The village o l'alto recinto di Wayward Pines), dà la conferma che il film possa essere letto come un'allegoria del potere del regista sulla sua opera.
Qualcuno ha scritto che Shyamalan scrive dialoghi per concetti con le gambe: in questo caso forse lo ha fatto più del solito e di conseguenza è praticamente impossibile empatizzare con i personaggi, che non risultano mai credibili. Alla fine si resta con l'amaro in bocca, perché in Old si spera che il gioco riesca come altre volte in passato, e invece questo non accade affatto.
Nessun commento:
Posta un commento