Billy Wilder e il film metacinematografico per antonomasia della Hollywood classica, con una Gloria Swanson protagonista in stato di grazia, nei panni di una diva che, con l'avvento del sonoro, ha perso la sua notorietà che cerca di recuperare ossessivamente.
Viale del tramonto può essere riassunto così, ma queste parole non bastano per comprendere il rilevante ruolo che la pellicola riveste all'interno della storia del cinema statunitense, di cui costituisce a tutt'oggi uno dei capolavori di sempre, per la capacità di entrare nelle pieghe di un mondo fatto di luci sfolgoranti, come quelle che chiudono la storia, ma anche di ombre profonde, abissali (trailer).
Il film, proprio per aver messo l'accento soprattutto su queste, non piacque a molti addetti ai lavori all'epoca della sua uscita, fino al caso clamoroso di Louis B. Mayer, della MGM, che accusò Billy Wilder, colpevole di un'analisi lucida e sì, impietosa, ma non per questo scorretta né tantomeno falsa, di aver infangato Hollywood che lo aveva reso celebre... non solo una caduta di stile di un uomo sulla cui condotta ci ha detto molto anche il recente Mank (Fincher 2020), ma di fatto una conferma di quanto denunciato dallo stesso Wilder nel film: successo e ricchezza non dovrebbero cancellare tutto il resto, né tantomeno le capacità critiche.
Joe Gillis (William Holden) è uno sceneggiatore che cerca di sbarcare il lunario, ma fatica a trovare una storia che possa convincere i produttori. L'occasione arriva per caso, quando, rimasto con l'auto in panne, si ritrova a parcheggiare davanti ad una villa d'altri tempi, che sembra abbandonata, ma che invece è abitata da Norma Desmond (Gloria Swanson) e dal suo maggiordomo, Max Von Mayerling (Eric Von Stroheim).
Norma è una diva del muto, ora dimenticata dal mondo del cinema, che vive nell'ansia di una rentrée che non arriva mai e, per questo, sta lavorando ad una sceneggiatura di Salomè da affidare a Cecil DeMille. Neanche a dirlo, la protagonista dovrà essere interpretata da lei stessa ma, nonostante questa assurda certezza, l'attrice sembra consapevole che a livello di scrittura possa essere utile una revisione, motivo per cui assolda Gillis, in parte obbligato, in parte pronto ad accettare le avance della donna nella speranza di avere qualche lavoro a Hollywood.
Sceneggiatura, montaggio e regia meritano molta attenzione, sin dall'inizio, quando vediamo il cadavere di Gillis in una piscina. Il film, infatti, è strutturato come un lungo flashback, ma che questo sia raccontato da un uomo morto è un paradosso sorprendente e insospettabile.
Nella prima sequenza di questo racconto, la mdp va a scovare Joe che sta scrivendo a macchina il suo ultimo soggetto. Billy Wilder usa la cinepresa da maestro e quel movimento, in fondo, con il passaggio dal campo lungo fino al particolare di una finestra in cui far entrare lo spettatore è lo stesso che aprirà dieci anni dopo Psycho (Hitchcock 1960).
La pellicola, ancora prima, peraltro, prende avvio con un'altra bellissima inquadratura, quella dello spessore del marciapiede su cui leggiamo Sunset Boulevard, il nome della strada di Hollywood in cui abita Norma Desmond, nonché titolo della pellicola.
L'incontro tra Gillis e Norma è surreale, un misto tra un horror e un film di Buñuel. La diva accoglie il malcapitato sceneggiatore mentre piange davanti ad una piccola bara da bambino, al cui interno giace invece uno scimpanzè cui doveva essere molto affezionata.
"Io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo" dice Norma a Joe (vedi), sottolineando le proprie convinzioni, figlie di un disturbo della personalità che la porta a vivere nel ricordo di ciò che è stato, tra alti e bassi umorali vertiginosi. Tutto parla di lei in casa, dalle moltissime foto che la ritraggono disseminate in ogni dove, ai film, quelli della sua carriera, che di sera proietta sullo schermo che ha nel salotto, dietro un grande quadro.
La vita di Gillis, oltre che dal soggiorno nella villa della Desmond, è improvvisamente scossa da Betty, una ragazza che appartiene alla terza generazione di Hollywood - sia i nonni che i genitori lavoravano nel cinema - e lei stessa è impiegata nella Paramount, non a caso la major che produsse Viale del tramonto. Proprio a Betty, lo sceneggiatore deve le stroncature dei suoi soggetti, ma questo non ostacolerà la loro conoscenza, che infatti darà la spinta a Joe per allontanarsi, o meglio provare ad allontanarsi, da Norma, sempre più decisa a dimostrare che "le stelle non hanno età".
Tanti i momenti che rimandano al cinema, inteso sia come storia delle sue opere e dei suoi interpreti, sia come industria delle immagini.
Oltre la famosa battuta di Norma già citata, ad esempio, la stessa Betty riflette sul ruolo di chi non lavora nel cinema, affermando che "non c'è niente di male nello stare dall'altra parte della cinepresa".
Durante il dialogo con il produttore, ovviamente della Paramount, viene citato Via col vento, come capolavoro rifiutato con pessima lungimiranza. Nello sfogo contro il nuovo cinema, il personaggio della Swanson nomina Douglas Fairbanks, John Gilbert e Rodolfo Valentino come idoli frantumati dal sonoro, per poi aggiungere "cosa ci è restato? Il vuoto assoluto", e infine colpire proprio il mestiere di Joe, colpevole di essere uno sceneggiatore, colui che scrive i dialoghi di un cinema che lei non riconosce come tale: "avete fabbricato un capestro di parole per strangolare il cinema". Appare significativo, quindi, che in uno spettacolino improvvisato in casa, l'attrice imiti un'altra maschera del muto, l'indimenticato Charlot di Chaplin con tanto di baffi, bombetta e bastone.
Norma adora ballare nel suo salotto piastrellato, e non manca di precisare a Gillis che Rodolfo Valentino diceva come le mattonelle siano il fondo migliore su cui ballare il tango (nell'edizione italiana invece si parla di "marmo"). Con Valentino, peraltro, la Swanson recitò davvero, in L'età di amare (Wood 1922).
Diversi gli attori della storia del cinema del passato, a partire dalla stessa Gloria Swanson, che dal 1914 al 1931 lavorò in moltissimi pellicole dirette tra gli altri da Charley Chase, Clarence G. Badger, Sam Wood, e anche da Cecil DeMille, con cui girò ben sei film tra il 1919 e il 1921, e Eric Von Stroheim, per il quale recitò ne La regina Kelly (1928-32). L'avvento del sonoro, però, non la ridusse in depressione e alla mitomania, come la protagonista della pellicola, e passò con profitto a radio, televisione e imprenditoria. Oltre a lei, si misero in gioco, interpretando se stessi nella malinconica partita di bridge a casa di Norma, altri tre divi del muto, Anna Q. Nilsson, H.B. Warner e, soprattutto, il grande Buster Keaton.
Un discorso a parte meritano Cecil DeMille e Von Stroheim che, come visto, avevano diretto in carriera l'attrice e partecipano, in vesti diverse, a Viale del tramonto. Il cineasta de I dieci comandamenti (1923 e 1956) appare nei propri panni nella fondamentale sequenza in cui Norma Desmond arriva agli studi della Paramount, inopinatamente convinta di essere stata chiamata per partecipare a qualche nuovo progetto, mentre in realtà il vero obiettivo di quella telefonata è chiederle di poter affittare la sua automobile per un film ambientato decenni prima. DeMille accoglie l'attrice, la fa sedere persino sulla sua sedia all'interno dello studio, e risolve l'equivoco, chiedendo allo scenografo di rinunciare alla richiesta dell'auto come accortezza nei confronti della diva.
Proprio mentre è seduta sulla sedia del regista, Billy Wilder ci regala un tocco magnifico, poiché l'attrice si guarda intorno e respira con pienezza l'atmosfera del set che tanto le è mancata, ma proprio in quel momento il microfono, massimo simbolo dell'avvento del sonoro al cinema, le urta contro la testa infastidendola.
Von Stroheim, invece, diventa Max Von Mayerling (non rinuncia alla particella nobiliare), il fedele e premuroso maggiordomo della donna, nonché primo dei suoi ex mariti: la coccola, la fa sentire ancora una star ed è lui a scrivere le lettere che lei crede arrivino dai suoi fan, oltre a spiegare tutto a Gillis, anche perché in quella casa non ci siano più le serrature alle porte... Max, nel suo ruolo di tuttofare, si ritroverà anche a interpretare il regista, quando l'arrivo della polizia, con tutte quelle luci, gli permetterà di inscenare l'ultimo inganno in favore di Norma, quello di farle credere di essere improvvisamente su un set diretto da lui.
Tutto è decadente e in rovina nella villa della Desmond: il campo da tennis, su cui getta lo sguardo Gillis dalla finestra della stanza-tugurio in cui viene ospitato; la piscina, vuota; l'architettura stessa segue lo stile che andava di moda negli anni d'oro della carriera dell'attrice, con tanto di magniloquente serliana rinascimentale in facciata.
Il segno dei tempi cambiati a Hollywood, a proposito di simboli, è ben visibile anche nella sequenza agli studios della Paramount, dove improvvisamente compare un uomo che sta portando su un set un robot: sono appena iniziati gli anni '50 e la fantascienza è il genere che spopolerà per tutto il decennio.
In chiusura, va ricordato che, per il ruolo di Norma Desmond, Gloria Swanson venne scelta dopo che la produzione aveva pensato a Greta Garbo, Mae West e Mary Pickford. La sua prova eccellente, però, non bastò a farle guadagnare il primo Oscar della sua vita, dato che quell'anno si imbatté in un'altra stratosferica prova, quella di Bette Davis in Eva contro Eva (Mankiewicz 1950).
Il film, nonostante avesse irritato più di qualcuno ad Hollywood, infatti, ottenne undici nomination agli Oscar, ma vinse solo tre statuette, per la sceneggiatura originale, che Wilder scrisse insieme a Charles Brackett e D.M. Marshman Jr.; per la scenografia di Hans Dreier, John Meehan, Sam Comer e Ray Moyer; per la colonna sonora, di Franz Waxman, già candidato più volte dall'Academy per film come Rebecca e Il sospetto (Hitchcock 1940 e 1941), o Il dottor Jekyll e mr. Hyde (Fleming 1941).
Viale del tramonto, a oltre settant'anni di distanza, resta un caposaldo della storia del cinema e, anche se il titolo italiano ci fa perdere la connessione con la reale Sunset Boulevard, una delle strade più famose di Hollywood, gli va riconosciuto di essere entrato nei dizionari della nostra lingua, perché è proprio grazie ad esso che si è diffusa l'espressione tuttora comunemente usata come sinonimo di declino... "essere sul viale del tramonto".
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