lunedì 8 febbraio 2021

Tre colori - Film bianco (Kieslowski 1994)

Una splendida inquadratura in soggettiva dall'interno di una chiesa, dominata dal surcadrage della porta d'ingresso. Appena la mdp esce, ci accorgiamo che la soggettiva è quella della sposa, che si gira e, mentre i piccioni volano via in pieno sole, chiude gli occhi e bacia suo marito.
È indubbiamente l'immagine più bella e rasserenante della pellicola, un flashback (?) più volte ripetuto nel corso di un film che di rasserenante ha ben poco. Disturbante, ansiogeno, bellissimo, Film Bianco è il secondo segmento della trilogia dedicata agli ideali della Rivoluzione francese declinati in chiave intima e personale  da Krzysztof Kieslowski, così come i dieci mediometraggi del Decalogo (1988-89) lo erano stati per i comandamenti biblici (trailer).
Film bianco, Orso d'argento a Berlino per la regia, nel riproporre filmicamente tre colori della bandiera francese che a quegli ideali si riferiscono, è quello incentrato sull'uguaglianza-egalité, così come Film Blu (1993) sulla libertà-liberté Film rosso (1994) sulla fratellanza-fraternité.
Il maestro polacco racconta una complessa vicenda di coppia, intesa come rapporto di forze sempre ribaltabili nel tempo, e la ambienta tra Parigi e la sua Varsavia. Karol Karol (Zbigniew Zamachowski) è un parrucchiere polacco che sta divorziando dalla moglie, la bella Dominique (Julie Delpy), con la quale non sembra esserci stato un reale confronto prima della rottura. 
Davanti al giudice Karol, spaesato e ancora incredulo, con evidente imbarazzo e mortificazione, può solo riconoscere i problemi sessuali che lo attanagliano da prima del matrimonio, mai consumato, mentre Dominique dichiara, algida e triste allo stesso tempo, e forse meno risoluta di quanto vorrebbe mostrarsi, di avere amato il marito ma di non amarlo più.
Karol, così, si ritrova da solo con la sua grande valigia (protagonista della sequenza di apertura), letteralmente scaricato nel parcheggio del tribunale. Ora è costretto a ripensare la sua vita partendo da zero. 
Quello che accade da questo momento in poi è una narrazione incredibile, che porterà Karol a suonare un pettine nella metro di Parigi per racimolare un po' di denaro, a combattere per due soli franchi, a incontrare un conterraneo polacco, Mikolaj (Janusz Gajos), che in modo rocambolesco gli permetterà di tornare a Varsavia.
Tanti i momenti disturbanti, a partire dalla sequenza in tribunale e dal saluto freddo di Dominique, che atteggia la mano con le dita piegate - infastidiscono anch'esse - quasi come i personaggi di Wallace e Gromit, ma senza regalarci i loro sorrisi. Karol, poco dopo, avendo ancora le chiavi, dorme nel salone di bellezza dove fino ad allora ha lavorato con la moglie, che lì lo trova. I due provano a fare l'amore, ma è l'ennesima esperienza fallimentare della loro unione. La costernazione di Karol e le espressioni di Dominique dimostrano quanto i due siano ormai lontani; per chi guarda la sensazione di impotenza è totale, ma si trasforma persino in rabbia quando la donna dà fuoco alle tende minacciando il marito di denunciarlo pur di farlo andare via velocemente. 
Tutto questo non basta, però, poiché Karol andrà sempre più a fondo, riducendosi a guardare le finestre dell'appartamento della moglie (con le silhouette di persone che fanno sesso come nel cameo di Scorsese, marito tradito, in Taxi Driver, 1976) e poi ad ascoltare i mugolii di piacere della ex moglie al telefono, a cui non può non dichiarare il suo amore disperato. 
D'altronde lo stesso Kieslowski dichiarò che il soggetto principale della pellicola è l'umiliazione di un uomo da parte di una donna.
Solo dopo aver toccato il baratro, Karol inizierà la risalita che coinciderà con l'incontro con Mikolaj. Eppure la possibilità di guadagnare un po' di soldi passerà per una proposta di omicidio, ulteriore passo verso il personale inferno di Karol.
Di lì in poi tutto volgerà in positivo: il ritorno a casa, l'abbraccio con il fratello Jurek (Jerzy Stuhr), che si prenderà cura di lui, la ripresa del lavoro come parrucchiere, ma anche un impiego come guardaspalle di un boss di zona, che fa da cambiavalute nel circondario (Cezary Pazura), verosimilmente anche da usuraio, che Karol riuscirà a beffare e a ricattare. Questo porterà il protagonista a diventare molto ricco - "ho solo bisogno di denaro" sarà la sua spiegazione -, nella Polonia post-comunista, evidenziando un altro tema basilare del film, il contrasto tra l'Europa occidentale e orientale di quegli anni. 
A quel punto, la narrazione si spingerà fino alla messa in scena della morte di Karol, con cui l'uomo avrà quel privilegio capitato a pochi di assistere al proprio funerale, non a caso osservato a distanza con un binocolo da teatro. Il pensiero va subito alla letteratura e a Il fu Mattia Pascal di Pirandello, il cui protagonista lascia fiori sulla propria tomba per leggere l'epigrafe, ma ancora prima il riferimento è a L'amico americano (Wenders 1977), film in cui un corniciaio ha a che fare con la malavita mentre un mercante d'arte finge che uno dei suoi pittori sia morto per far levitare i prezzi delle opere
Tornando a Film bianco, il testamento di Karol in favore di Dominique permetterà di riportare tutto allo stesso livello, una vendetta cinica che condurrà a quella egalité che è dichiarato motivo centrale nel film e che trova la sua migliore sintesi in un orgasmo raramente così atteso al cinema.
Alcune battute della sceneggiatura, scritta dal regista e da Krzysztof Piesiewicz, restano in mente. Lo scambio tra Karol e Mikolaj è davvero un piccolo saggio sull'uguaglianza: "Tutti soffrono" dice Karol a Mikolaj, in un incredibile ribaltamento in cui è l'uomo apparentemente più disastrato a sostenere quello più fortunato, e quello risponde, con un sorriso, "ma io volevo soffrire di meno", ammettendo la sua debolezza.
Allo stesso modo, è ancora Mikolaj che, quando servirà un corpo da mettere nella bara per il finto funerale, insieme alla moneta da due franchi dell'inizio del film, dirà semplicemente "oggi si può comprare di tutto", con tono sardonico.
Merita un accenno la colonna sonora di Zbigniew Preisner, storico collaboratore di Kieslowski, per cui ha realizzato tutte le musiche de Il Decalogo, de La doppia di Veronica, ma anche quelle dei Tre colori. Per Film Bianco il musicista polacco compone brani bellissimi e spesso struggenti che accompagnano la narrazione, da The Beginning a The Court, da Return to Poland ad Attempted Murder, dalle tre Don Karol (I, II, III) fino all'allegra The End cui fanno da contrappunto gli intensi titoli di coda dominati dal flauto di Reprise, brano malinconico e morriconiano per la capacità di narrare con la sua essenziale semplicità.  
Un paio di curiosità, infine. La prima riguarda ancora la musica nel film: il brano che Karol suona con il pettine, quando Mikolaj si avvicina, è un brano tradizionale polacco, un tango composto da Jerzy Petersburski nel 1935, To Ostatnia Niedziela (The Last Sunday). La seconda è, invece, il particolare trait d'union che Kieslowski usa per legare i Tre colori: il personaggio di una vecchina che non riesce a gettare una bottiglia di vetro in una campana per la raccolta differenziata, che in Film blu non viene nemmeno vista da Julie (Juliette Binoche), qui Karol si limita a sorriderle e, infine, in Film rosso viene aiutata da Valentine (Irène Jacob).
Kieslowski mette in scena anche un po' di storia del cinema, oltre il già citato L'amico americano, e lo fa con un'altra consonanza tematica, stavolta mostrata in immagine: quando Mikolaj e Karol escono dalla metro, dietro di loro giganteggia il poster de Il disprezzo (Godard 1963) con il celeberrimo decollété di Brigitte Bardot, il cui personaggio nel corso del film sviluppa un sentimento di disprezzo per il marito del tutto simile a quello di Dominique per Karol, seppur per motivazioni differenti. 
La nostra attenzione, peraltro, è guidata dal braccio del protagonista, che indicando le finestra dell'appartamento della moglie, di fatto indica anche il manifesto del film di Godard.
Proprio la risalita dalla metro è un elemento simbolico di ritorno alla vita, un kieslowskiano "uscimmo a riveder le stelle", che avviene non solo nel caso appena descritto, ma anche più avanti, quando gli stessi Karol e Mikolaj, dopo il momento più difficile della loro amicizia, si ritrovano a correre sulla neve (la Vistola gelata?) in una meravigliosa scena di joie de vivre, in contrasto col pericolo scampato. 
C'è anche un po' di storia dell'arte in Film bianco, in due momenti molto significativi. Il primo è quello del colpo di fulmine di Karol per un busto visto nella vetrina di un antiquario, che con i primi soldi ricevuti da Mikolaj comprerà e porterà con sé. Si tratta del volto di una fanciulla caratterizzato da una cuffietta, un'immagine tipica della scultura francese, che a partire dalla metà del '700 conobbe un proliferare di busti di bambini e ragazzi, e che qui diventa il simbolo della rinascita del protagonista al pari del pettine con cui suona musiche polacche e la valigia, insospettabile strumento di viaggio. I tre oggetti seguiranno ovunque Karol, anche quando raggiungerà la fortuna economica, e la stessa cura con cui sistemerà i frammenti del busto rappresentano un altro simbolo dei pezzi di vita da mettere insieme per risollevarsi.
Ed è proprio mentre usa quel pettine, ma nella sua funzione originaria, che Karol si specchia nel vetro di una Madonna col Bambino appesa nella prima casa che acquisterà da un contadino per il suo progetto con cui ricattare il cambiavalute. Altro momento simbolico del film, nonché uno dei primi sorrisi di Karol.
Vedere, infine, Julie Delpy tra le coperte al mattino, in una delle ultime scene del film, non può non far pensare alla famosa sequenza iniziale ancora de Il disprezzo (vedi). 
E il cerchio si chiude, in un film circolare che, dal saluto terribile nel parcheggio del tribunale, giunge ad un altro saluto, di tutt'altra specie e con tutt'altro sentimento che Dominique compie verso Karol dal retro di una grata, e chissà, quello che per tutto il film abbiamo creduto essere un flashback, in realtà, potrebbe essere un flashforward...

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