mercoledì 24 febbraio 2021

Hiroshima mon amour (Resnais 1959)

Nella città della tragedia della bomba atomica Alain Resnais ambienta un film d'amore rarefatto, tragico e necessario, dal quale lo spettatore rimane affascinato ma allo stesso tempo annichilito.
Due corpi si abbracciano, si avvinghiano, si stringono... la loro pelle è ricoperta di quella che sembra essere polvere, sabbia, o meglio, cenere: il paragone immediato è con i corpi ritrovati a Pompei e Hiroshima è, in effetti, l'evento più simile a quello, con la differenza che duemila anni dopo la causa non fu naturale ma umana... Come considerare progresso il semplice trascorrere del tempo?
Durante quell'abbraccio non vediamo i volti dei due protagonisti (Emmanuelle Riva e Eiji Okada), ma le loro parole sono l'occasione per dare inizio a un documentario sulle conseguenze di Hiroshima (trailer).
Va ricordato, peraltro, che Hiroshima mon amour nacque proprio come un documentario, commissionato nel 1957 dal produttore Anatole Dauman al regista francese, che già nel 1956 aveva realizzato cortometraggi sulle conseguenze della Seconda guerra mondiale (in Notte e nebbia, ad esempio, aveva portato la mdp ad Auschwitz e Birkenau), cambiando poi idea e facendone un film di finzione. Una gestazione che si percepisce ancora oggi guardando la pellicola.
"Tu non hai visto niente a Hiroshima, niente" dice l'uomo, mentre la donna prende a descrivere tutto ciò che ha visto tra ospedali, musei, film, cinegiornali che raccontano quanto avvenuto; deformazioni fisiche, figli malnati, sterilità, pioggia di cenere, cibo contaminato e tanto altro: "io so, so tutto, e so che ciò si ripeterà", risponde lei, ma lui ribadisce "niente, tu non sai niente". I duecentomila morti e gli ottantamila feriti in nove secondi sono la terribile certezza della donna, che precisa "queste sono le cifre ufficiali", mentre ripete più volte "accadrà di nuovo", con una voce triste e inesorabile.
Hiroshima mon amour è un film sulla memoria, una memoria da difendere, per cui lottare, poiché quel ricordo non può essere dimenticato, è necessario. E in questo continuo parallelo tra amore e guerra, anche l'amore, fatalmente, è fatto di ricordi e di oblìo.
In questo contesto i due giovani, senza nome, lei un'attrice francese in Giappone per girare un film sulla pace, lui un architetto giapponese, parlano e vivono il loro amore, improvviso, senza passato, estemporaneo, su cui è incentrata la seconda parte della pellicola. "Tu mi uccidi, tu mi fai del bene", dice la donna che si meraviglia toccando la schiena del suo amante: "è pazzesco che tu abbia una bella pelle", chiaro riferimento a quanto abbiamo visto fino a quel momento nelle devastanti immagini dei corpi di chi sopravvisse alla bomba atomica. 
Tutto accade in un giorno, in pieno rispetto dell'unità di tempo e di luogo. Lei, infatti, il giorno dopo ripartirà per la Francia, ma questo non impedisce ai due di incontrarsi di nuovo e a chi guarda di conoscere qualcosa delle loro vite: sono entrambi sposati, hanno dei figli, ma mentre di lui non sappiamo nient'altro, la donna racconta in un bel flashback il suo amore per un soldato tedesco morto durante la guerra, quando lei era appena diciottenne a Nevers. Sono passati quattordici anni da allora e fu proprio lì che la donna sentì parlare per la prima volta di Hiroshima, perché lì visse la fine della guerra.
La cattedrale di St. Etienne a Nevers immortalata da Resnais
Durante quel racconto la sceneggiatura di Marguerite Duras, autrice anche del soggetto, esprime uno dei concetti più significanti della storia narrata, poiché l'uomo, tra le migliaia di cose della vita della sua amante, sceglie proprio Nevers, perché "è là, mi sembra d'aver capito, che tu fosti così giovane, così giovane da non appartenere oggi ancora a nessuno ... e là, mi sembra d'aver capito, che io ho rischiato di perderti, che ho rischiato di mai più rincontrarti, e là, mi sembra d'aver capito, che tu hai dovuto cominciare a essere così come sei ancora oggi".
Il passato è la chiave per il presente, questo vale per la guerra, vale per Hiroshima, ma vale anche per le storie personali di ognuno e, non a caso, le due figure principali del film andranno a identificarsi con le due città, Nevers e Hiroshima.
Eppure, nonostante la densità di senso nelle linee di sceneggiatura, il tono della pellicola non perde la sua leggerezza, che si esplicita nelle parole della protagonista: "bisogna evitare di pensare a tutte le difficoltà che il mondo presenta, talvolta... senza questo tutto diverrebbe insopportabile".
Resnais alterna carrelli, panoramiche a schiaffo, riprese di architetture moderne, indugia su spazi che rimangono vuoti, alla Ozu, utilizza primi piani che si posano sui volti dei personaggi, analizzandoli fino ai minimi dettagli espressivi, che spesso rivelano allo spettatore più dettagli delle loro stesse parole. Tra queste, la sceneggiatura mette sulle labbra della protagonista la frase "se potessimo pubblicizzare la pace come un detersivo, chissà...", che la dice lunga sul senso di un film sulla pace girato proprio ad Hiroshima, pensato più per l'effetto mediatico che per la sostanza.
Tra le caratteristiche portanti del film va, inoltre, annoverata la musica di Georges Delerue e Giovanni Fusco, spesso dissonante, disturbante, che contribuisce a generare effetti non certo rasserenanti nello spettatore (ascolta). E, in quest'ottica, che venne scelto anche Fusco, collaboratore storico di Michelangelo Antonioni, non può sorprendere.
La pellicola sprizza cinema ad ogni sequenza, paradossalmente anche quando non può prevederlo. Rientra in una di quelle coincidenze fortuite, evidentemente, ma impossibile da non notare, che tra le specie di fiori citati da Emmanuelle Riva, all'inizio del film, ci sia la bella di giorno e che Belle de jour (1967) sarà girato solo alcuni anni dopo da Luis Buñuel, al quale però si pensa anche qualche fotogramma dopo, perché tra le immagini che raccontano come un documentario i fatti di Hiroshima si vedono le palpebre di un uomo completamente divaricate, proprio come avveniva in L'age d'or (1930), capolavoro e manifesto del cinema surrealista del regista spagnolo.
Simile, ma chissà, forse non esattamente, il caso della scena della doccia: la ragazza poggia una mano sulla parete, mentre il suo amante giapponese si avvicina, e la mdp con lui. 
Le dita tese, aperte sulle piastrelle, nello stesso modo, un anno dopo diverranno una delle immagini più celebri dell'intera storia del cinema, quando Alfred Hitchcock farà compiere lo stesso gesto a Janet Leigh, nell'iconica sequenza di Psycho (1960). Che sia stato proprio il film Resnais a fare da modello iconografico della scena più hitchcokiana di sempre? Nulla nasce dal nulla e al momento non so se questa domanda venne mai fatta al grande Alfred, sicuramente non c'è tra le pagine del libro-intervista di François Truffaut Il cinema secondo Hitchcock, caposaldo della critica sul regista britannico. 
Continuando con le suggestioni cinefile, i due protagonisti, a cena, interpretano la storia d'amore di anni prima dell'attrice francese, cosicché l'architetto parla in prima persona come se fosse il soldato tedesco defunto, una finzione dei ruoli, un gioco catartico del tutto simile a quello che Wong Kar Wai farà interpretare anni dopo ai protagonisti del bellissimo In the mood for love (2000).
La donna, ancora nel flashback, distrutta dopo la morte del fidanzato, viene considerata pazza e le vengono rasati i capelli - anche perché ha amato un nemico della Francia -, come accadeva, su tutte, alle Giovanna d'Arco impersonate da Renée Falconetti (Dreyer, 1930) e Ingrid Bergman (Fleming 1948). Infine, va aggiunto che Resnais fra i luoghi di Hiroshima fa vedere un cinema, il Ritz, e più avanti dà ad un locale il nome di Casablanca (Curtiz 1942).
Hiroshima mon amour da quel "Tu non hai visto niente a Hiroshima" è entrato di diritto nella storia del cinema, pur avendo perso la Palma d'oro a Cannes 1959, perché di fronte ebbe un gigante altrettanto enorme come I quattrocento colpi (Truffaut 1959), probabilmente più narrato, più completo, sicuramente più "facile" del film di Resnais, che, anche a causa della sua origine documentaristica, mostra una struttura non perfettamente organica.
Il film, nonostante questo, resta bellissimo, storico, simbolico, intellettuale, e forse per questo un pò freddo. Eppure la sua dolcezza è indiscutibile, ed è totalizzante la sua visione eterna dell'amore, colto nella sua intensità, a prescindere dal tempo trascorso insieme, in cui si cela in maniera perfetta l'amour fou, tanto amato dal surrealismo (quel riferimento a Buñuel sembra ancora meno peregrino ora!) e fatto proprio dalla Nouvelle Vague, di cui Resnais fu uno dei primi ispiratori e che qui sembra voler rassicurare chi guarda, poiché poesia e amore non si arrestano nemmeno dopo un evento così mortifero come Hiroshima.

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