Scontri generazionali che mettono a confronto la mentalità di genitori e figli, tradizione e modernità, nel Giappone degli anni cinquanta in questa splendida commedia di Yasuhiro Ozu, la prima opera a colori del maestro nipponico.
Il regista di Viaggio a Tokyo (1953), considerato un punto di riferimento imprescindibile per autori del calibro di Kurosawa e Mizoguchi, in Fiori d'equinozio affronta un tema sociale importante come il matrimonio e riesce a rendere leggere questioni esistenziali, con un tocco riconoscibile tra mille. L'autorialità in Ozu, infatti, è costantemente ravvisabile nell'uso dell'inquadratura fissa e dei campi vuoti, che sospendono la narrazione e lasciano spazio alla riflessione: è il concetto filosofico zen del mu, non a caso l'unico ideogramma inciso sulla tomba del regista.
Wataru Hirayama (Shin Saburi) è un direttore d'azienda sposato con Kiyoko (Kinuyo Tanaka), padre di due figlie, Setsuko (Ineko Arima) e Hisako (Miyuki Kuwano). Dall'inizio alla fine della storia il suo atteggiamento e i suoi discorsi sul matrimonio sono diametralmente opposti a seconda che parli di figlie di amici o della sua primogenita, Setsuko, liberale nel primo caso, estremamente conservatore nel secondo.
Ad un pranzo di nozze, ad esempio, in un discorso davanti a tutti gli invitati, dichiara di invidiare gli sposi, perché appartengono a un'epoca che gli permette di scegliere chi sposare, senza dover sottostare ai voleri delle famiglie d'origine. Eppure, subito dopo, lo vediamo parlare a casa con la moglie a cui segnala di avere un possibile pretendente per Setsuko, mentre Hisako interviene ribadendo che lei e la sorella sapranno trovare marito da sole.
Con Hirayama si confidano anche l'amico Shukiku Mikami (Chishū Ryū), la cui figlia, Fumiko (Yoshiko Kuga), in età da matrimonio, è andata via di casa da più di due mesi; e la signora Sasaki che, pur di sistemare la figlia Yukiko, è partita da Kyoto a Tokyo per farsi visitare da un medico che considera un ottimo pretendente. Mikami, data la situazione personale, ha preferito non presentarsi al matrimonio in cui Hirayama ha parlato, per non vedere sposi felici; Sasaki, invece, appare persino contenta di avere una malattia da farsi curare per poter vedere il medico che vorrebbe far sposare alla figlia. Tutto sembra ruotare attorno al matrimonio dei figli, una vera ossessione sociale per i genitori giapponesi appartenenti alle classi medio-alte.
Hirayama parlerà con entrambe le ragazze e in tutti e due i casi si mostrerà comprensivo, fino all'eccesso, sminuendo con Yukiko l'istituto del matrimonio con cui in fondo "pensi di aver trovato l'oro e invece è solo ottone". E così il contraddittorio atteggiamento di Hirayama sarà messo a nudo dall'amicizia di Yukiko e Setsuko, che orchestreranno un patto di reciproco aiuto per smascherarlo. Com'è ovvio che sia, anche Kiyoko avrà un ruolo determinante, nel difficile ruolo di moglie e madre amorevole, sostenitrice del marito davanti alla figlia e della figlia davanti al marito, in un gioco di sottili equilibri tra i suoi affetti. Questo, però, non le impedirà di sottolineare al marito "sei contento solo se gli altri fanno quello che dici tu", sentendosi rispondere che "l'uomo è contraddittorio, solo Dio è perfetto".
Tante le sequenze notevoli, caratterizzate da inquadrature perfette (in cui Ozu spesso gioca anche con la novità del colore spostando continuamente il bollitore rosso in casa Hirayama) e linee di sceneggiatura memorabili.
I toni della commedia sono chiari sin dalla premessa, che Ozu ambienta in stazione, dove due addetti delle pulizie commentano il passaggio di diverse spose pronte per il viaggio di nozze, divertendosi a giudicare le più belle.
Il tema portante della distanza generazionale è ravvisabile anche nella difficoltà dei più anziani con le apparecchiature moderne, come dimostra la paura per i macchinari medici che Sasaki rivela a Kiyoko in una visita di cortesia.
Tra i momenti più toccanti della pellicola, c'è sicuramente la gita al lago di Hakone, che permette un incredibile scambio di battute tra i signori Hirayama, durante il quale Kiyoko si mostra malinconica per gli anni della guerra, in cui a loro quattro capitava molto più spesso di stare insieme. L'orribile esperienza, però, pur se riconosciuta come tale dalla moglie, viene ripresa con molta più razionalità da Wataru, che non riesce proprio a vederla nello stesso modo.
Dopo aver ascoltato queste riflessioni, risultano ancora più assurde le parole di Setsuko, capace di dire alla madre che loro sono stati fortunati ("non raggiungerò mai il vostro tenore di vita"), dimostrando ancora una volta l'enorme e incolmabile distanza tra figli e genitori, affrontata nonostante tutto con sorrisi e spiegazioni ("gli innamorati non pensano mai alle difficoltà da superare") e non certo dagli scontri che sarebbe lecito aspettarsi ad altre latitudini.
Altrettanto sorprendente che dopo uno dei rari scontri verbali dell'intera storia, quello tra Wataru e Setsuko, il padre chieda alla figlia se sia già andata a letto con il fidanzato che si è scelta senza dire nulla in casa, generando l'inevitabile rabbia di Setsuko delusa dalla mancanza di fiducia di Wataru nei suoi confronti.
La rabbia della primogenita contrasta, invece, con la scanzonata durezza della sorella minore, che non si aspetta nulla dal padre, nessuna comprensione e nessuna sintonia, tanto da considerarlo senza mezzi termini un uomo che "vive ancora nel Medioevo".
Il punto di vista del regista, cinquantacinquenne all'epoca dell'uscita del film, è quello della vecchia generazione e, nonostante la capacità di rimanere equidistante per gran parte della pellicola, la frase pronunciata da Shukiku Mikami, "soffrire per i nostri figli è il destino di noi genitori", sembra davvero essere la sua, tanto più che nei panni di quel personaggio recita Chishū Ryū, presente in oltre trenta dei suoi film. Lo stesso Mikami, più avanti dirà che "fare il genitore è il mestiere più difficile del mondo [...] non l'avremo mai vinta con i figli" e sarà sempre lui a recitare, pur non considerandolo più adatto ai tempi moderni, il poema dell'addio di Kusunoki Masashighe, samurai suicida nella battaglia di Minatogawa (1336), che seguì i precetti del bushido.
La saggezza di cui è intrisa la sceneggiatura, infine, assume i toni ironici della commedia in una frase di un altro amico di Wataru che, ad una cena tra soli uomini, spiegherà con poche parole la reale motivazione delle contraddizioni di un padre: "nessun genero andrà mai bene, perché ti porta via la figlia che hai cresciuto". È per questo, in fondo, che il pensiero sul matrimonio di Wataru potrà ribaltarsi solo davanti a Yukiko, rimodulando la precedente associazione tra ottone e oro, "bisogna riuscire a trasformare l'ottone in oro, questo è il segreto di un buon matrimonio".
Tutto sembra facile in un film in cui la perfezione formale è in un bicchiere poggiato su un tavolo in asse con il centro dell'armadio retrostante o in un vaso di fiori colorati che si stagliano su una porta in carta di riso, nulla è lasciato al caso, ogni cosa è al posto giusto. Non c'è dubbio che vivere in un film di Ozu potrebbe essere uno dei migliori sogni possibili.
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