venerdì 1 novembre 2019

Ninotckha (Lubitsch 1939)

La Garbo ride!
Non si può iniziare ad analizzare questo capolavoro della commedia hollywoodiana senza questa premessa, che fu anche il tormentone pubblicitario che l'accompagnò ovunque, riutilizzato per poster, locandine e trailer, in cui infatti veniva precisato che non solo riderà, ma che "tutto il mondo riderà con lei" (trailer). Non c'è dubbio che la grande rivoluzione del film fu proprio questa: il mito della diva imperturbabile che veniva dai ghiacci annullato all'improvviso, per trasformarla in una donna affabile e sorridente.
Attorno a quell'evento, infatti, ruota l'intera pellicola, perché la mutazione avviene durante la storia che, non a caso, inizialmente ci presenta una Garbo assolutamente canonica, semmai ancora più dura e algida del solito, in versione di ispettore sovietico, seriosa e incapace di tradire qualsiasi emozione (fattore comico già di per sé).
Greta Garbo nel 1939, appena trentaquattrenne, è alla fine della sua carriera e al penultimo film (dopo ci sarà un'altra commedia, Non tradirmi con me - Cukor 1941), e può evidentemente lasciarsi andare all'ironia, complice un grandissimo Ernst Lubitsch e un'impeccabile sceneggiatura, in cui compare il nome di un certo Billy Wilder, che non dovette faticare ad adattare l'omonimo divertente romanzo dello scrittore ebreo ungherese Melchior Lengyel (1939). 
Da Ninotchka, inoltre, quasi venti anni dopo, verrà realizzato un musical diretto da Robert Mamoulian e con Fred Astaire e Cyd Charisse nei panni dei protagonisti, dal titolo La bella di Mosca (1957).

La pellicola è introdotta da una significativa didascalia iniziale, pienamente intrisa del tocco di Lubitsch, come lo chiamò lo stesso Billy Wilder, che ci proietta e allontana subito dopo dal contesto storico del momento, precisando che c'è stato un tempo in cui Parigi non era preoccupata dalla guerra, "quei tempi favolosi in cui una sirena era una donna bruna e non un allarme, e se un francese spegneva la luce non era per un'incursione aerea".
Il tempo dell'azione, infatti, pur se imprecisato, è collocato negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione russa del 1917. Tre russi, Iranoff, Buljanoff e Kopalski (Sig Ruman, Felix Bressart, Alexander Granach) sono nella Ville Lumière per vendere per conto dello stato sovietico una parure confiscata ad una granduchessa dopo la rivoluzione d'ottobre. Il loro approccio alla città e agli agi di un grande albergo sono esilaranti e il loro trio rimanda immediatamente ai fratelli Marx: buffi e impacciati, provano a giocare d'astuzia, ma non fanno che peggiorare la propria situazione.
Cosicché, quando il conte Leon d'Algout (Melvyn Douglas), amico della granduchessa Swana (Ina Claire), proprietaria di quei gioielli, viene a sapere della loro presenza in città, per i tre le cose si complicano e la questione finirà a processo. È questo il momento in cui l'Unione Sovietica invierà Nina Ivanovna Yakushova, detta Ninotchka, a controllare le operazioni, per poi relazionare a Razinin (Bela Lugosi).
In una delle tante sequenze comiche che vedono protagonisti Iranoff, Buljanoff e Kopalski, i tre, lasciatisi affascinare dalla ricchezza e dalle comodità contravvenendo alle "proprie convinzioni" e accettando la "suite "imperiale" giustificandola con la necessità di una cassaforte in cui conservare i preziosi gioielli, sono letteralmente eccitati dalla possibilità di chiamare nella stanza le belle cameriere che portano le sigarette in costumi succinti (ricordate la Mia Farrow di Radio days?). Lubitsch gira gran parte della scena tenendo la mdp fuori dalla porta e tutto ciò che sentiamo sono le reazioni sempre più entusiaste degli uomini all'arrivo delle ragazze, per poi entrare nella stanza solo alla fine a farci godere lo spettacolo di quella festa improvvisata, quando ormai stiamo già ridendo da un po'.
Il clamoroso MacGuffin della collana e il relativo processo permettono l'arrivo di Ninotchka (diciotto minuti dopo l'inizio del film!), in un'altra sequenza da manuale, con tanto di gag a sfondo politico: i tre sovietici, dopo aver dismesso i vestiti borghesi già acquistati in città, corrono ad accoglierla alla stazione ferroviaria, ma sulla banchina credono di dover attendere un uomo. Ne vedono uno, ha l'aria del "compagno", dice uno di loro, e stanno per salutarlo, quando invece gli vedono fare il saluto nazista in direzione opposta... e, proprio mentre succede tutto questo, dietro di loro compare Ninotchka, che da quel momento in poi si segnalerà per la sua seriosità e per la totale assenza di umorismo.
Anche il primo incontro tra il personaggio di Greta Garbo e quello di Melvyn Douglas è perfetto: Ninotchka si rivolge a Leon in strada per avere qualche informazione sulla città, e lui, vedendola in difficoltà con la mappa di Parigi, prova a darle una mano e a sedurla al tempo stesso. Le risposte fin troppo razionali di Ninotchka sono divertentissime e non tradiscono alcun trasporto, ma allo stesso tempo non si oppongono a quel palese flirt che non manca di far notare a Leon ("deve proprio fare il dongiovanni?") che incassa ma continua ("è questo approccio che ha reso Parigi quello che è"). Ogni romanticheria dell'uomo viene mortificata da Ninotchka che, pur ammettendo che il proprio interlocutore "non ha un brutto aspetto", chiede se è quello il modo con cui di solito in Francia ci si avvicina ad una ragazza, e accetta di seguirlo a casa per analizzare come sia fatta una casa borghese.
Inutile dire che i due, invece, nonostante la rigidità di Ninotchka, si baceranno su un sottofondo musicale, ma la scoperta della connessione tra la donna e il processo sulla collana segnerà una netta battuta d'arresto su quella relazione incipiente.
Leon, però, non si fermerà nemmeno questa volta e, incontrandola "per caso" in un ristorante, proverà in tutti i modi a farla ridere, anche con barzellette e freddure che Ninotchka non sembra apprezzare. Vedendolo cadere dalla sedia, però, la donna esploderà in una fragorosa e lunghissima risata che contagerà tutti i presenti, vittima inclusa (vedi). 
Come i tre sottoposti, anche Ninotchka, dopo questo episodio, si farà affascinare da Parigi, acquistando cappellini all'ultima moda e accettando inviti da Leon in contesti altoborghesi.
Proprio in uno di questi, un'altra scena madre è rappresentata dall'incontro tra le due donne della vicenda, condito di politica e più semplice gelosia nei confronti di Leon: la granduchessa Swana, che si aspettava tutt'altro tipo di donna, sicuramente meno avvenente, prova a colpirla con una battuta sferzante sull'abito che indossa, "è la moda di Mosca di quest'anno?", ma Ninotchka, in maniera ancora più tagliente e con uno sguardo indescrivibile, le risponde "no, dell'anno scorso".
Ovvio che in quel momento storico e con ebrei fuggiti dall'Europa negli Stati Uniti come Ernst Lubitsch, Billy Wilder e lo stesso Melchior Lengyel, il film risulti anche una celebrazione indiretta della libertà statunitense, con una condanna a tutti i totalitarismi del vecchio mondo.
La filosofia sottesa al film è evidente e trasforma in macchiette tutte le rigidità sovietiche nei confronti del lusso e degli agi borghesi: Ninotchka si vergogna di esporre una foto di Lenin all'interno della suite imperiale dell'albergo; non ritiene accettabili impieghi da facchino o da maggiordomo che considera "un'ingiustizia sociale"; tornata in Russia, parla con un'amica degli abiti che indossava a Parigi, ma la distanza tra i due mondi appare incolmabile quando l'amica non riesce a capire cosa sia un vestito da sera, sentendosi rispondere tautologicamente "un vestito che si indossa la sera".
Una sequenza è ancora più eloquente di tutte queste: i protagonisti tornano ubriachi da una serata di festa e pensano ad un nuovo partito da fondare, uno che non abbia braccio teso o il pugno chiuso come saluto, ma semplicemente il bacio.
La leggerezza del proverbiale Lubitsch touch!

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