Liberamente tratto dall'omonimo romanzo dello storico Enzo Striano (1986), un film completamente al femminile della regista Antonietta De Lillo, che racconta la rivoluzione napoletana del 1799 attraverso le vita della nobile portoghese Eleonora Pimentel Fonseca, interpretata da una bravissima Maria de Medeiros.
Il film è strutturato attraverso dei flashback, con la protagonista, a rivoluzione ormai terminata, imprigionata e in attesa dell'esecuzione della condanna a morte per impiccagione, unica cortesia concessa ai nobili. Ed è proprio questa la situazione che determina il titolo della pellicola, che riprende una tipica espressione napoletana che Eleonora ripete al sacerdote intenzionato a confessarla prima di rimettere l'anima a Dio, quando ormai né le preghiere né altri riti possono, appunto, "il resto di niente" per alleviarle quella infinita sofferenza (trailer).
Si rimonta al 1792, quando tutto è iniziato, in un momento in cui nella cerchia di intellettuali partenopei vicini a Eleonora si parla di filosofia, felicità, libertà e rivoluzione, anche se già due anni dopo, alla notizia della morte di Robespierre, vediamo la regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV e sorella di Maria Antonietta, tagliare con rabbia il ritratto del giacobino artefice del regime del terrore in Francia dopo averne maledetto la memoria, per aver ucciso sua sorella Maria Antonietta, aver "corrotto la nostra gioventù, sedotto le menti, diffuso in Francia, in America e nel nostro regno le idee perniciose".
Attraverso un continuo ricorso alla narrazione analettica, lo spettatore riparte con la storia dal momento dell'arrivo a Napoli da Roma dei Pimentel Fonseca, e quindi il terribile periodo del matrimonio di Eleonora con il conte partenopeo Pasquale Tria de Solis: picchiata, due aborti causati dal marito, tradita con la domestica, un figlio, Francesco, morto per una malattia esantematica, fino alla separazione, segno di una civiltà insospettata per i tempi. L'opposizione costante ai sovrani del regno, una volta fuori dalla protezione garantita dal matrimonio, le vale la prigione, da cui viene liberata proprio grazie all'arrivo dei francesi, che di lì a poco dichiareranno la Repubblica Napoletana, anche se a Napoli, con una lucida sintesi della condizione sociale dell'epoca, il popolo non esiste ancora e perché la plebe lo diventi c'è bisogno dell'istruzione, una frase che in molti casi si attaglierebbe perfettamente anche ai nostri giorni. Tanto più che alla libertà si opporranno i controrivoluzionari, quelli che i francesi inizieranno a chiamare i Sanfedisti, membri dell'Esercito della Santa Fede creato dal nobile Fabrizio Ruffo, riportando i Borbone al potere.
Eleonora, per chi sta ristabilendo l'ordine costituito, sarà soprattutto un simbolo della rivoluzione; ne è consapevole lei stessa, motivo per cui rifiuterà la fuga di soppiatto in Francia, anche se non potrà fare a meno di sottolineare che la storia le è passata sopra la testa, con un eloquente "e quando mai ho deciso io?"
La regia usa originali soluzioni visive. Tra queste, una transizione ottenuta senza stacco, ma semplicemente facendo passare davanti alla mdp due uomini che portano uno specchio oltre il quale la scena cambia. In diversi altri frangenti, invece, la stessa funzione viene svolta dai sipari a disegni animati di Oreste Zevola, che tanto fanno pensare agli analoghi di Terry Gilliam.
Tante le location napoletane e campane ben riconoscibili: la protagonista declama le sue poesie al cospetto del Marchese Vincenzo Sanges (Raffaele Di Florio) all'interno del Parco archeologico delle terme di Baia, a Bacoli; Castel Sant'Elmo viene conquistato dai rivoluzionari; il salone in cui Eleonora protesta con un ufficiale francese per la censura contro il Monitore Napoletano, il giornale da lei diretto, è Palazzo Doria d'Angri; anche la Reggia di Caserta viene sfruttata, sia per il criptoportico romano del giardino inglese, sia per la Peschiera grande; e, infine, il cortile in cui è in atto uno spettacolo di marionette, è quello di palazzo Sanfelice, recentemente usato sia da Igort per 5 è il numero perfetto che per la serie tv Gomorra.
Eleonora in Palazzo Carafa di Maddaloni |
Bellissime, nel loro tono disincantato, un paio di frasi sulla felicità pronunciate dalla protagonista: "E' necessario essere crudeli per avere la felicità", ma soprattutto "e se la felicità che vogliamo noi non è quella che vogliono loro?", riassumendo ancora una volta la distanza tra gli ideali propugnati dai nobili illuminati e il popolo-plebe.
Tali riflessioni vengono espresse da Eleonora in un ideale e onirico dialogo con Gaetano Filangieri, l'intellettuale i cui testi, al pari dell'Encyclopedie di Diderot e d'Alembert, in possesso della nobile portoghese, rappresentano uno dei principali appigli per la sua condanna da parte dei giudici. Anche in questo caso, l'ambientazione è pienamente partenopea, si tratta infatti di Palazzo Carafa di Maddaloni a Napoli.
La fotografia di Cesare Accetta, le musiche di Daniele Sepe e i costumi di Daniela Ciancio (vincitrice del David di Donatello), arricchiscono un film di indubbio valore storico, politico, filosofico e poetico.
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