L'inconfondibile tocco di Kore-eda, fatto di poesia e relazioni familiari, si conferma nella sua prima esperienza lontano dal Giappone e, nonostante qualche inevitabile disagio nel passaggio ad un mondo così diverso, la cinematografia francese sembra la più adatta per tentare questa sortita.
Stavolta la famiglia narrata dal regista è davvero sui generis e ruota tutta attorno ad un'anziana attrice, Fabienne Dangeville (Catherine Deneuve, all'anagrafe Catherine Fabienne Dorléac), che ha sempre anteposto la carriera a tutto il resto, come non mancano di farle notare la figlia, Lumir (Juliette Binoche), sceneggiatrice, il suo assistente, Luc (Alain Libolt), l'ex marito, Pierre (Roger Van Hool), il suo cuoco personale Jacques (Christian Crahay), e come forse le avrebbe fatto notare l'amica e collega Sara, purtroppo morta da anni... (trailer).
Fabienne è dura con tutti, si relaziona agli altri come uno schiacciasassi e ne fanno le spese non solo gli affetti di sempre, ma anche quelli acquisiti, come il compagno di Lumir, Hank (Ethan Hawke), colpevole di essere un attore di serie tv statunitensi mal considerate dalla suocera, che nemmeno riesce a definirlo attore ("tutti oggi possono fare gli attori").
Con Lumir e Hank, che arrivano da New York, c'è anche la figlia Charlotte (Clémentine Grenier), l'unica con cui Fabienne mostra la sua dolcezza, nonché immancabile presenza infantile per un regista che oggi è probabilmente il migliore in assoluto nello sviluppo dei personaggi interpretati da bambini e nella loro direzione. Tra le tante sequenze che vedono emergere Charlotte, si pensi soprattutto a quella in cui si ritrova a competere con una coetanea che recita in un film con la nonna e in cui, pur di non soccombere alla momentanea rivale, vanta una professione da baby attrice ad Hollywood, sotto lo sguardo divertito di Luc oltre che, ovviamente, dello spettatore. Straordinariamente nipponica la gag tra Fabienne, che ha chiamato Pierre la testuggine che tiene in giardino, facendo credere alla nipote si tratti di un incantesimo degno di una strega, e che, naturalmente, come fossimo in un film di Miyazaki, scompare quando Pierre arriva a casa e si rivede solo quando lui riandrà via.
L'occasione del viaggio di Lumir, Hank e Charlotte è data dall'uscita del libro di memorie di Fabienne, a quanto pare poco fedele alla realtà. Tra una scena e l'altra del nuovo film a cui l'attrice settantatreenne sta lavorando, sul set e a casa, correranno ricordi, emozioni, litigi e riappacificazioni, dimostrando che la verità è solo quello che ognuno di noi ricorda sia accaduto, concetto su cui gioca anche il titolo e che, nell'edizione italiana, è ancora più chiaro passando da La verité a Le verità.
L'occasione del viaggio di Lumir, Hank e Charlotte è data dall'uscita del libro di memorie di Fabienne, a quanto pare poco fedele alla realtà. Tra una scena e l'altra del nuovo film a cui l'attrice settantatreenne sta lavorando, sul set e a casa, correranno ricordi, emozioni, litigi e riappacificazioni, dimostrando che la verità è solo quello che ognuno di noi ricorda sia accaduto, concetto su cui gioca anche il titolo e che, nell'edizione italiana, è ancora più chiaro passando da La verité a Le verità.
L'ottima sceneggiatura, infatti, è incentrata sul potere della memoria e sulla soggettività della stessa, come Fabienne fa notare a Lumir alla quale, ora che è una donna e non più una bambina, gli studi cinematografici in cui lavora la madre sembrano rimpiccioliti ("mai fidarsi della memoria, nemmeno per recitare").
Fabienne è una donna rigida, costantemente dominata dal suo ruolo di diva, dal quale non abdica mai, nemmeno al cospetto della figlia, che dopo le critiche al libro si sente rispondere dalla madre "io sono un'attrice, non posso dire la verità nuda e cruda", ma è costretta anche a sentirsi chiedere di non chiamarla mamma sul set. Persino una spontanea e commossa manifestazione d'affetto nei confronti della figlia per Fabienne è inutile se non viene messa a disposizione del cinema ("che spreco non usare queste emozioni per girare una scena"). Anche quando si difende e colpisce Fabienne, dichiarando che avrebbe preferito essere la figlia di Sara, Lumir alla fine soccombe alle parole della madre, che replica "meglio essere una cattiva madre, una cattiva amica, ma una buona attrice". Verità o parole dettate da una guerra madre-figlia senza esclusione di colpi?
Fabienne non si cura di ferire gli altri, va dritta per la sua strada, è convinta che "le buone intenzioni senza tatto sono le cose che fanno più male", e che quindi l'ostentata verità non sia sempre così necessaria; dice a Jacques che "due qualità sono più di quanto serve per vivere" e alla figlia che "non ho mai chiesto scusa a un uomo", chiedendole di scrivere poche righe per far pace con Luc, anche lui offeso dal libro di memorie.
Il suo egocentrismo viene fuori anche nei momenti di difficoltà sul lavoro e, di fronte alla domanda "ami te stessa o ami il cinema?", la risposta più naturale è "amo i film in cui recito", ça va sans dire! Non per questo non prova sentimenti ma, appunto, sembra semplicemente incapace di comunicarli se non sul set.
In tutta questa durezza, però, non manca l'ironia e l'autoironia del suo personaggio, che in alcuni frangenti viene sovrastato dalla vera Catherine Deneuve. Spetta proprio a lei, infatti, ricordare che molte ottime attrici del passato hanno la stessa iniziale per il nome e il cognome, come Michèle Morgan, Simone Signoret, Greta Garbo, Anouk Aimée, ma quando le viene citata Brigitte Bardot, la sua reazione mimica è fantastica, tanto più pensando alla loro antica rivalità; e così è lei, oggi ambasciatrice UNICEF, a sostenere che le attrici che si danno alla beneficenza o alla politica sono quelle ormai in parabola discendente. Altro riferimento autobiografico per la Deneuve, il personaggio di Sara, attrice in ascesa scomparsa in un incidente stradale, proprio come la sorella di Catherine, Françoise Dorléac.
Fabienne è una donna rigida, costantemente dominata dal suo ruolo di diva, dal quale non abdica mai, nemmeno al cospetto della figlia, che dopo le critiche al libro si sente rispondere dalla madre "io sono un'attrice, non posso dire la verità nuda e cruda", ma è costretta anche a sentirsi chiedere di non chiamarla mamma sul set. Persino una spontanea e commossa manifestazione d'affetto nei confronti della figlia per Fabienne è inutile se non viene messa a disposizione del cinema ("che spreco non usare queste emozioni per girare una scena"). Anche quando si difende e colpisce Fabienne, dichiarando che avrebbe preferito essere la figlia di Sara, Lumir alla fine soccombe alle parole della madre, che replica "meglio essere una cattiva madre, una cattiva amica, ma una buona attrice". Verità o parole dettate da una guerra madre-figlia senza esclusione di colpi?
Fabienne non si cura di ferire gli altri, va dritta per la sua strada, è convinta che "le buone intenzioni senza tatto sono le cose che fanno più male", e che quindi l'ostentata verità non sia sempre così necessaria; dice a Jacques che "due qualità sono più di quanto serve per vivere" e alla figlia che "non ho mai chiesto scusa a un uomo", chiedendole di scrivere poche righe per far pace con Luc, anche lui offeso dal libro di memorie.
Il suo egocentrismo viene fuori anche nei momenti di difficoltà sul lavoro e, di fronte alla domanda "ami te stessa o ami il cinema?", la risposta più naturale è "amo i film in cui recito", ça va sans dire! Non per questo non prova sentimenti ma, appunto, sembra semplicemente incapace di comunicarli se non sul set.
In tutta questa durezza, però, non manca l'ironia e l'autoironia del suo personaggio, che in alcuni frangenti viene sovrastato dalla vera Catherine Deneuve. Spetta proprio a lei, infatti, ricordare che molte ottime attrici del passato hanno la stessa iniziale per il nome e il cognome, come Michèle Morgan, Simone Signoret, Greta Garbo, Anouk Aimée, ma quando le viene citata Brigitte Bardot, la sua reazione mimica è fantastica, tanto più pensando alla loro antica rivalità; e così è lei, oggi ambasciatrice UNICEF, a sostenere che le attrici che si danno alla beneficenza o alla politica sono quelle ormai in parabola discendente. Altro riferimento autobiografico per la Deneuve, il personaggio di Sara, attrice in ascesa scomparsa in un incidente stradale, proprio come la sorella di Catherine, Françoise Dorléac.
Oltre l'elenco di attrici, sono diversi i riferimenti cinematografici, a partire dalla somiglianza di Luc con il John Gielgud di Assassinio sull'Orient Express (Lumet 1974), notata da Fabienne, che più avanti si rammarica per essere stata ad un passo dal recitare per Alfred Hitchcock, un sogno interrotto dalla morte del grande regista; e così, anche tra le locandine dei suoi successi, impossibile non notare un Belle de Paris, che sa di gioco enigmistico per Belle de Jour (Bunuel 1967).
Molto divertente anche la critica sulla tecnica cinematografica da parte di Fabienne, che non tollera la mdp in costante movimento e che nel suo "costa così tanto un cavalletto?" sembra nascondere un amore per la camera fissa di Yasuhiro Ozu, di cui Kore-Eda è considerato l'erede contemporaneo.
Le Verità è a tutti gli effetti una pellicola metacinematografica che, oltre a trattare di legami familiari, tema prediletto da Kore-Eda, racconta di cinema e di una diva sul viale del tramonto, lontana da Gloria Swanson, ma tutto sommato con le stesse ossessioni per il tempo che passa.
Non sfugga in quest'ottica il soggetto del film di fantascienza che Fabienne sta girando e in cui recita una piccola parte anche Ludivine Sagnier, nei panni di Amy: la madre del personaggio di Fabienne è vissuta per anni nello spazio e per questo non invecchia e appare più giovane di lei. Un dettaglio non poco rilevante è che l'attrice, Manon (Manon Clavel), è stata più volte paragonata a Sara, una presenza che aleggia per tutto il film, sia nei racconti di Lumir che in quelli di Fabienne, naturalmente con differenti verità a riguardo. Un dettaglio: il film in lavorazione, dal titolo I ricordi di mia madre, è tratto da un racconto di Ken Liu sulla base del quale, pochi anni fa, è stata realizzata la pellicola Beautiful dreamer (Gaddie 2016).
Lumir, in fondo, comprenderà le esigenze della madre suggerendo a Charlotte di dire alla nonna "vorrei che salissi su una nave spaziale per potermi vedere quando diventerò un'attrice", forse la più bella delle frasi possibili nell'ottica di Fabienne, e poco importa se sia la verità o meno, come suggerisce il sorriso sornione di Lumir alla figlia, troppo piccola per comprendere che quella bugia sia un gran regalo per la nonna.
Se vedrete questo film, però, oltre alle tante schermaglie verbali, a una rasserenante scena di danza (davvero francese) che coinvolge tutti i personaggi, lasciatevi emozionare dalle inquadrature degli alberi e dai loro colori autunnali, che tra l'altro aprono e chiudono circolarmente la storia e nelle quali c'è tutta l'essenza di Kore-Eda!
Lumir, in fondo, comprenderà le esigenze della madre suggerendo a Charlotte di dire alla nonna "vorrei che salissi su una nave spaziale per potermi vedere quando diventerò un'attrice", forse la più bella delle frasi possibili nell'ottica di Fabienne, e poco importa se sia la verità o meno, come suggerisce il sorriso sornione di Lumir alla figlia, troppo piccola per comprendere che quella bugia sia un gran regalo per la nonna.
Se vedrete questo film, però, oltre alle tante schermaglie verbali, a una rasserenante scena di danza (davvero francese) che coinvolge tutti i personaggi, lasciatevi emozionare dalle inquadrature degli alberi e dai loro colori autunnali, che tra l'altro aprono e chiudono circolarmente la storia e nelle quali c'è tutta l'essenza di Kore-Eda!
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