L'allegoria, profondamente politica, di una società condensata in una piccola comunità forzosamente creata da una crisi inaspettata e l'angoscia conseguente sono perfettamente resi in questo adattamento del romanzo del premio Nobel José Saramago Ensaio sobre a Cegueira (1995; ed. it. Cecità, 1996).
La pellicola si mantiene fedele al libro e non dà nome alla città in cui si svolge la vicenda, né ai protagonisti, che vengono definiti dalla loro occupazione o in base ad un elemento caratteristico: l'oculista (Mark Ruffalo), la moglie dell'oculista (Julianne Moore), il barista (Gael García Bernal), l'uomo con la benda sull'occhio (Danny Glover), la donna con gli occhiali scuri (Alice Braga). Il luogo può essere ovunque e i personaggi chiunque (trailer).
L'azione prende avvio ad un incrocio urbano in un momento di intenso traffico, quando un uomo asiatico alla guida diventa improvvisamente cieco (Yûsuke Iseya). Quello che sembra un caso isolato, magari frutto di stress o di un disturbo psicologico, in poche ore diventa una vera e propria epidemia che coinvolge sempre più individui, che il governo decide di mettere in quarantena in un ex manicomio. Alla solidarietà iniziale, s'imporrà la prevaricazione di pochi che gestiranno il cibo a disposizione chiedendo diverse forme di pagamento, generando di fatto un girone infernale...
Gli "occhi" dei semafori nella prima sequenza, le soggettive dagli spioncini delle porte, le vedute a cannocchiale, i fish eye non fanno altro che aumentare visivamente il senso di straniamento e di inquietudine della vicenda. La mdp viene usata, quando possibile, in funzione narrativa, come quando inquadra più volte un paio di forbici appese che diverranno strumento di catarsi poco dopo.
La moglie dell'oculista, che per amore del marito entra in quarantena pur avendo conservato la vista, è l'indubbia protagonista e Julianne Moore è magnifica come sempre nell'interpretarla. È il suo personaggio a guidare il gruppo iniziale, è lei a prendere le decisioni più difficili, a subire le umiliazioni più cocenti e a reagire nella maniera più furente, ma anche quella su cui vengono spese le parole maggiormente significative: "siamo fortunati ad avere una guida che ci vede".
Una frase che viene pronunciata quando ormai in città sono tutti ciechi e l'ex manicomio non è più custodito da guardie, mentre i vari gruppi di malati combattono per la sopravvivenza - notevole la sequenza dell'assalto al supermercato -, in uno scenario, fisico ed etico, che li accomuna ai tanti "morti viventi" che vagano per le strade nel capolavoro di Romero (La notte dei morti viventi, 1968) o alle tante serie tv catastrofiche e apocalittiche degli ultimi anni (si pensi, tra le altre, a Lost e a The Walking Dead).
La stessa frase va naturalmente letta anche in chiave politica: una guida illuminata dalla ragione, quella dovrebbe governare una società, che altrimenti rischia la dittatura, quella del re/barista della storia, ma ovviamente soprattutto quella di Salazar in Portogallo, contro cui si è sempre schierato il dissidente Saramago come giornalista, scrittore, poeta e drammaturgo.
La progressione verso l'abbrutimento dell'uomo, fino allo stato di natura teorizzato da Thomas Hobbes (homo homini lupus), è inesorabile: i malati vengono isolati per paura del contagio, la sporcizia e la violenza aumentano senza soluzione di continuità, la dignità degli individui pian piano scompare per lasciar posto ai più bassi istinti; il dittatore di questa assurda società, oltre a ricattare i più deboli, in un'evidente aggiunta del film, si rende insopportabile anche cantando, con sgradevole ironia, I just called to say I love you, imitando i movimenti della testa del non vedente Stevie Wonder.
Tutto è egoismo, sin dal primo istante, persino chi aiuta il primo cieco lo farà per rubargli l'auto (il ladro - Don McKellar); il governo che accantona i malati senza più curarsene, tanto da lasciare a loro la gestione della vita, dell'igiene e, soprattutto, del razionamento del cibo all'interno del manicomio; e sarà così anche nel momento della prima guarigione, quando la felicità degli altri nasconderà la speranza di un processo inverso a quello iniziale, che garantirà il ritorno della vista a tutti.
Anche lo stesso "mal bianco", come viene chiamata questa strana forma di cecità, che invece del buio fa vedere a chi ne è affetto una luce accecante, è simbolo dell'irrazionale uso della ragione, nonché, per stessa ammissione di Saramago, una metafora del mancato esercizio del diritto di voto: "votare scheda bianca è una manifestazione di cecità altrettanto distruttiva dell'altra".
Nella sua claustrofobia, infine, il film regala anche un'immagine di grande sentimento ed emozione, quando una delle donne, uccisa dalla violenza di quegli oligarchi improvvisati e senza meriti, viene riportata indietro dalle compagne della stessa sventura, che la stendono e le lavano il corpo tra le lacrime, in una sequenza direttamente mutuata dalle numerose scene di Compianto su Cristo morto della storia dell'arte.
La pellicola si mantiene fedele al libro e non dà nome alla città in cui si svolge la vicenda, né ai protagonisti, che vengono definiti dalla loro occupazione o in base ad un elemento caratteristico: l'oculista (Mark Ruffalo), la moglie dell'oculista (Julianne Moore), il barista (Gael García Bernal), l'uomo con la benda sull'occhio (Danny Glover), la donna con gli occhiali scuri (Alice Braga). Il luogo può essere ovunque e i personaggi chiunque (trailer).
L'azione prende avvio ad un incrocio urbano in un momento di intenso traffico, quando un uomo asiatico alla guida diventa improvvisamente cieco (Yûsuke Iseya). Quello che sembra un caso isolato, magari frutto di stress o di un disturbo psicologico, in poche ore diventa una vera e propria epidemia che coinvolge sempre più individui, che il governo decide di mettere in quarantena in un ex manicomio. Alla solidarietà iniziale, s'imporrà la prevaricazione di pochi che gestiranno il cibo a disposizione chiedendo diverse forme di pagamento, generando di fatto un girone infernale...
Gli "occhi" dei semafori nella prima sequenza, le soggettive dagli spioncini delle porte, le vedute a cannocchiale, i fish eye non fanno altro che aumentare visivamente il senso di straniamento e di inquietudine della vicenda. La mdp viene usata, quando possibile, in funzione narrativa, come quando inquadra più volte un paio di forbici appese che diverranno strumento di catarsi poco dopo.
La moglie dell'oculista, che per amore del marito entra in quarantena pur avendo conservato la vista, è l'indubbia protagonista e Julianne Moore è magnifica come sempre nell'interpretarla. È il suo personaggio a guidare il gruppo iniziale, è lei a prendere le decisioni più difficili, a subire le umiliazioni più cocenti e a reagire nella maniera più furente, ma anche quella su cui vengono spese le parole maggiormente significative: "siamo fortunati ad avere una guida che ci vede".
Una frase che viene pronunciata quando ormai in città sono tutti ciechi e l'ex manicomio non è più custodito da guardie, mentre i vari gruppi di malati combattono per la sopravvivenza - notevole la sequenza dell'assalto al supermercato -, in uno scenario, fisico ed etico, che li accomuna ai tanti "morti viventi" che vagano per le strade nel capolavoro di Romero (La notte dei morti viventi, 1968) o alle tante serie tv catastrofiche e apocalittiche degli ultimi anni (si pensi, tra le altre, a Lost e a The Walking Dead).
La stessa frase va naturalmente letta anche in chiave politica: una guida illuminata dalla ragione, quella dovrebbe governare una società, che altrimenti rischia la dittatura, quella del re/barista della storia, ma ovviamente soprattutto quella di Salazar in Portogallo, contro cui si è sempre schierato il dissidente Saramago come giornalista, scrittore, poeta e drammaturgo.
La progressione verso l'abbrutimento dell'uomo, fino allo stato di natura teorizzato da Thomas Hobbes (homo homini lupus), è inesorabile: i malati vengono isolati per paura del contagio, la sporcizia e la violenza aumentano senza soluzione di continuità, la dignità degli individui pian piano scompare per lasciar posto ai più bassi istinti; il dittatore di questa assurda società, oltre a ricattare i più deboli, in un'evidente aggiunta del film, si rende insopportabile anche cantando, con sgradevole ironia, I just called to say I love you, imitando i movimenti della testa del non vedente Stevie Wonder.
Tutto è egoismo, sin dal primo istante, persino chi aiuta il primo cieco lo farà per rubargli l'auto (il ladro - Don McKellar); il governo che accantona i malati senza più curarsene, tanto da lasciare a loro la gestione della vita, dell'igiene e, soprattutto, del razionamento del cibo all'interno del manicomio; e sarà così anche nel momento della prima guarigione, quando la felicità degli altri nasconderà la speranza di un processo inverso a quello iniziale, che garantirà il ritorno della vista a tutti.
Anche lo stesso "mal bianco", come viene chiamata questa strana forma di cecità, che invece del buio fa vedere a chi ne è affetto una luce accecante, è simbolo dell'irrazionale uso della ragione, nonché, per stessa ammissione di Saramago, una metafora del mancato esercizio del diritto di voto: "votare scheda bianca è una manifestazione di cecità altrettanto distruttiva dell'altra".
Nella sua claustrofobia, infine, il film regala anche un'immagine di grande sentimento ed emozione, quando una delle donne, uccisa dalla violenza di quegli oligarchi improvvisati e senza meriti, viene riportata indietro dalle compagne della stessa sventura, che la stendono e le lavano il corpo tra le lacrime, in una sequenza direttamente mutuata dalle numerose scene di Compianto su Cristo morto della storia dell'arte.
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