giovedì 21 marzo 2019

Copia originale (Heller 2018)

L'incredibile storia di Lee Israel, scrittrice che per anni superò le difficoltà economiche improvvisandosi falsaria, raccontata in un film che utilizza come sceneggiatura le sue memorie, secondo l'adattamento di Jeff Whitty e di Nicole Holofcener, quest'ultima regista nel progetto iniziale in cui la protagonista avrebbe dovuto essere interpretata da Julianne Moore.
La pellicola di Marielle Heller, al suo secondo lungometraggio, è una buona commedia che strizza l'occhio, soprattutto all'inizio e alla fine, a Woody Allen.
A suggerirlo non c'è solo l'ambientazione newyorchese, ma anche la fotografia di Brandon Trost, che immortala la città alla Carlo Di Palma, e soprattutto un'atmosfera intellettuale e letteraria condita da brani soft come I thought of you last night cantata dalla dolce voce di Jeri Southern, che ascoltiamo proprio nelle prime battute, mentre la mdp inizia a seguire Lee Israel (Melissa McCarthy).
Lee è una donna scontrosa, dal pessimo carattere, lontanissima da ogni pur minima idea di politically correct - la vediamo bere in biblioteca, persino con un drink on the rocks! - e, per sua stessa ammissione, ama più i gatti delle persone. Non a caso vive con un bel felino bianco e nero, così come le vecchie pellicole che ama guardare sul divano e che conosce a memoria.
La sua attività di scrittrice è ai minimi termini e Marjorie, la sua editrice, costretta a vederla sbraitare nel suo studio perché Tom Clancy "prende tre milioni di dollari per scrivere robaccia di destra", è molto chiara sul da farsi: o diventare una persona amabile, educata e sorridente, o almeno migliorare il proprio aspetto e rimanere sobria.
Naturalmente Lee non farà nulla di tutto questo e, in aggiunta, l'incontro fortuito con un vecchio amico, Jack Hock (Richard E. Grant), la renderà ancora meno socievole. I due si faranno compagnia, uniti nella loro solitudine e sostanziale misantropia, una coppia di "misfits", lontani da quelli di houstoniana memoria, ma altrettanto "spostati"! Nonostante le analogie, Lee e Jack sono agli antipodi: insicuri entrambi, palesano le proprie incertezze in maniera opposta, lei, a seconda dei casi, con aggressività e timidezza, lui con la sfacciata gaiezza di un'ostentata omosessualità, un atteggiamento che gli riserva qualche complicazione.
Jack, che si presenta come "Jack Hock, Big Cock", è sempre allegro o quasi, e dà grande importanza all'aspetto esteriore, si sbianca i denti, veste e si muove con stile, denunciando modi da dandy; Lee è trasandata, sciatta e costantemente intrattabile.
Per pagare l'affitto e le cure del proprio gatto, la scrittrice è costretta a tentare di vendere vecchi libri, accettare qualsiasi collaborazione, finché vendere una vecchia lettera di Katharine Hepburn a buon prezzo, le fa scoprire il mercato che ruota attorno a tali cimeli, spingendola a crearne tanti altri.
Scrivere potenziali lettere di celebri personaggi dello spettacolo, come Fanny Brice, Noël Coward, Dorothy Parker, Marlene Dietrich non solo le risolve i problemi economici, ma anche quelli di insoddisfazione professionale, poiché l'apprezzamento della scrittura e delle frasi argute la riempe d'orgoglio. Perfeziona stile e tecnica, e per farlo meglio acquista diverse macchine da scrivere che utilizza a seconda del personaggio da "interpretare" o mette fogli in forno per invecchiarli meglio e aggirare l'occhio degli esperti. In fondo, come dirà a Jack, quelle lettere "ci portano indietro nel tempo [...] in un mondo migliore!" e il periodo passato a delinquere secondo questa modalità sarà il più felice della sua vita.
Melissa McCarthy e Richard E. Grant, non a caso entrambi candidati all'Oscar, sono perfetti nei rispettivi ruoli ed esaltano l'ottima sceneggiatura, anch'essa meritevole di una nomination per l'Academy Awards. La regia di Marielle Heller, invece, non sorprende, anche se si fa notare per il frequente uso della doppia messa a fuoco con fini piuttosto retorici, che comunque raggiungono lo spettatore. Si veda come caso paradigmatico il momento in cui dopo la prima giornata trascorsa insieme, Jack accompagna Lee a casa, dicendole di abitare nella stessa zona: da queste poche parole è chiaro a tutti che Jack stia dicendo una bugia, ma il dubbio diventa certezza quando una volta che Lee è entrata nel portone, il suo amico va nella direzione opposta di quella che aveva dichiarato, alzandosi il bavero del cappotto, un gesto che rivela che quella notte è fredda e la passerà all'addiaccio. Ebbene, proprio in quel momento, sfocata sullo sfondo, vediamo la sagoma di Lee dietro il vetro smerigliato che si ferma a guardare dove stia andando Jack...
Tra le pochissimi relazioni umane instaurate da Lee, rappresenta un'eccezione quella con Anna (Dolly Wells), una delle sue acquirenti, a cui si affeziona silenziosamente, e che, dal canto suo, sembra stimarla davvero, tanto da chiederle di giudicare le proprie velleità letterarie leggendo un racconto breve che ha scritto. Proprio al loro più che ambiguo rapporto, che il film lascia sfumato, si riferisce evidentemente quel Can you ever forgive me? del titolo originale, completamente cancellato dall'edizione italiana, che ha preferito il bell'ossimoro che rivela il nodo indubbiamente più centrale nello sviluppo della pellicola.... mai avrei pensato che per una volta un titolo italiano potesse essere preferibile a quello originale!

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