"Trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici degli argomenti che sono invece drammatici".
Questa la definizione che Mario Monicelli dava alla commedia all'italiana, di cui fu uno dei padri acclarati, e non solo per la frequenza con cui realizzò film che rientrassero in quella categoria, ma anche perché diresse I soliti ignoti, la prima pellicola della commedia all'italiana in termini cronologici e sicuramente tra i suoi massimi capolavori, che proprio in questo 2018 compie 60 anni (guarda il film).
Monicelli girò il film sulla base del soggetto di Age & Scarpelli ispirato al racconto Furto in una pasticceria di Italo Calvino (in Ultimo viene il carro, 1949), scrivendone la sceneggiatura insieme a loro e a Suso Cecchi D'Amico.
Basterebbero questi nomi per comprendere la caratura della pellicola prodotta da Franco Cristaldi, altro monumento del cinema italiano, e arricchita dal cupo e livido bianco e nero di Gianni di Venanzo, direttore della fotografia, tra gli altri, per Antonioni, Fellini, Pietrangeli, Rosi, Losey; ma naturalmente non si può sottovalutare un cast davvero stellare, che parte da Gassmann, al suo primo ruolo in una commedia, e arriva a Mastroianni, passando per Renato Salvatori, Tiberio Murgia, Claudia Cardinale, Memmo Carotenuto, Carlo Pisacane e, in una piccola quanto fondamentale parte, Totò.
Questa la definizione che Mario Monicelli dava alla commedia all'italiana, di cui fu uno dei padri acclarati, e non solo per la frequenza con cui realizzò film che rientrassero in quella categoria, ma anche perché diresse I soliti ignoti, la prima pellicola della commedia all'italiana in termini cronologici e sicuramente tra i suoi massimi capolavori, che proprio in questo 2018 compie 60 anni (guarda il film).
Monicelli girò il film sulla base del soggetto di Age & Scarpelli ispirato al racconto Furto in una pasticceria di Italo Calvino (in Ultimo viene il carro, 1949), scrivendone la sceneggiatura insieme a loro e a Suso Cecchi D'Amico.
Basterebbero questi nomi per comprendere la caratura della pellicola prodotta da Franco Cristaldi, altro monumento del cinema italiano, e arricchita dal cupo e livido bianco e nero di Gianni di Venanzo, direttore della fotografia, tra gli altri, per Antonioni, Fellini, Pietrangeli, Rosi, Losey; ma naturalmente non si può sottovalutare un cast davvero stellare, che parte da Gassmann, al suo primo ruolo in una commedia, e arriva a Mastroianni, passando per Renato Salvatori, Tiberio Murgia, Claudia Cardinale, Memmo Carotenuto, Carlo Pisacane e, in una piccola quanto fondamentale parte, Totò.
Nella Roma degli anni '50, una scalcagnata banda di individui abituati a vivere di espedienti e di piccoli furti ha la possibilità di effettuare un colpo che potrebbe garantire loro la serenità economica per il resto della vita...
Lo "sgobbo" è ideato da Cosimo (Memmo Carotenuto), a conoscenza di un appartamento vuoto confinante con un banco dei pegni con tanto di "comare", questo il vezzeggiativo con cui la malmessa brigata chiama la cassaforte. Del piano, però, se ne impossessa con un sotterfugio Peppe detto "er Pantera" (Vittorio Gassman), che inganna Cosimo riuscendo a farselo rivelare. Una volta fuori, però, Peppe e gli altri vedranno le cose complicarsi, perché quell'appartamento è in realtà occupato da due anziane signore presso cui lavora "a servizio" la bella Nicoletta (Carla Gravina). Inutile dire che, come sempre nei film di Mario Monicelli, l'impresa fallirà e, colmo dei colmi, alcuni personaggi preferiranno cercarsi un lavoro...
Tra gli imprescindibili punti di forza del film il lavoro sulla lingua (si pensi a quanto Age e Scarpelli faranno di lì a poco con Monicelli per L'armata Brancaleone - 1966), che è specchio di quell'insieme di regionalismi mescolati dal fenomeno migratorio che caratterizza il tessuto sociale italiano di quegli anni. Il romanesco la fa da padrone e così la filosofia di una vita costantemente improvvisata, giorno per giorno, priva di progettualità, di quella Roma sottoproletaria che presto racconterà anche Pier Paolo Pasolini evidenziandone la contraddizioni e la paradossale grandeur fatta di miseria, ma questo non impedisce alla sceneggiatura di dare spazio agli altri dialetti. Peppe, Cosimo, Mario (Renato Salvatori) e Tiberio (Marcello Mastroianni) parlano romanesco, e così fanno Teresa (Gina Rovere), la moglie di Tiberio, e Norma (Rosanna Roy), compagna di Cosimo che poi si avvicinerà a Peppe, la "pupa del gangster" in versione nostrana; Ferribotte (Tiberio Murgia) e Carmelina (Claudia Cardinale) sono siciliani; Capannelle è bolognese; Dante Cruciani è ovviamente napoletano; Nicoletta è veneta.
C'è persino lo spazio per un cameo del fidanzato di questa, dallo spiccato accento pugliese, che si limita a criticare la ragazza quando la vede parlare con Peppe ("Nicolètt', Nicolètt ... quello là che cόs' mi rappresenta?"). Infine, il personaggio interpretato da Gassman, per darsi un tono con la "giovane servetta", prova ad improvvisare uno stentato quanto esilarante milanese che non riesce a non alternare al suo romanesco.
C'è persino lo spazio per un cameo del fidanzato di questa, dallo spiccato accento pugliese, che si limita a criticare la ragazza quando la vede parlare con Peppe ("Nicolètt', Nicolètt ... quello là che cόs' mi rappresenta?"). Infine, il personaggio interpretato da Gassman, per darsi un tono con la "giovane servetta", prova ad improvvisare uno stentato quanto esilarante milanese che non riesce a non alternare al suo romanesco.
Se la commedia dell'arte, infatti, aveva le sue maschere regionali, la commedia all'italiana trovò i suoi equivalenti nei grandi attori del tempo, da Gassman a Sordi, da Manfredi a Tognazzi e, a cascata, tutti gli altri. Anche ne I soliti ignoti tutti i personaggi, per esplicita volontà del regista, hanno caratteri grotteschi e al tempo stesso realistici: il mondo narrato dal neorealismo di De Sica e Rossellini non sparisce affatto dal panorama cinematografico italiano, ma si stempera nella commedia, senza perdere alcuni dei suoi elementi identitari.
Il Peppe interpretato da Gassman è il primo ruolo comico per l'attore, che fino ad allora si era distinto a teatro e al cinema con parti serie e da cattivo (es. Riso amaro - De Santis 1949). La scelta di Monicelli non venne facilmente accettata dalla produzione, che al suo posto avrebbe voluto Alberto Sordi, eppure con opportuni accorgimenti al trucco, tra cui un naso più largo, una fronte meno spaziosa, labbra più gonfie, diventò un perfetto pugile suonato di periferia, piacione e vanaglorioso.
Proprio quest'ultimo aspetto lo rende molto simile al suo Brancaleone dell'omonimo film del 1966, di cui condivide l'analoga entrata in scena. Peppe, infatti, viene avvicinato dagli altri membri della banda per fare la "pecora" per Cosimo, sostituendosi a lui permettendogli di uscire di galera, in modo da partecipare al colpo: come Brancaleone, che sulle prime si rifuterà di seguire il gruppo per Aurocastro delle Puglie poiché convinto di vincere il torneo e la mano della principessa, Peppe si vanta di come la sua carriera di pugile stia ormai per decollare. In entrambi i casi le sue disfatte lo contraddiranno immediatamente costringendolo ad accettare le proposte ricevute.
La locandina di Kean. Genio e sregolatezza |
Tiberio e la pappa "rubata" da Capannelle |
Anche Mario ha un animo buono: è stato un trovatello allevato in orfanotrofio ed è scineramente affezionato a tre donne che ancora ci lavorano e che considera sue mamme (Lella Fabrizi, Gina Amendola, Pina Tonelli); si innamora al primo sguardo della bellissima Carmelina, tenuta nascosta dal gelosissimo fratello Ferribotte, e per questo non parteciperà al grande colpo preferendo lavorare come maschera in un cinema (quello in cui compare la locandina di Kean). Le gag che lo riguardano prevedono l'acquisto di tre ombrelli a Porta Portese - che non apre sotto la pioggia "sennò si bagnano" - da portare alle sue mamme, che indossano tre grembiuli con Qui Quo Qua (evidentemente un altro suo regalo); ma soprattutto i ripetuti inganni con cui finge di essere il fratello di Carmelina abbozzando un accento siciliano, con tanto di mano sul naso, per farsi aprire la porta dalla ragazza.
Anche Ferribotte, tipico soprannome romano che denuncia il mezzo di trasporto con cui ogni siciliano approdava nel "continente", è un uomo povero. Vive in un piccolissimo appartamento di un quartiere popolare con la sorella, conservando usi e mentalità d'origine. Parla poco, perlopiù per sentenze, di cui la più famosa è certamente "femmina piccante, pigghiala per amante, femmina cuciniera, pigghiala per mugliera", e per il resto il suo ruolo è fatto soprattutto di presenza scenica e di un volto immoto, simile ad una maschera, orgogliosamente tenuto alto e sempre privo di espressione. Tiberio Murgia, qui all'esordio (scoperto da Monicelli come semplice cameriere al Re degli amici in via della Croce), in seguito girerà decine di film come caratterista siciliano, ma è sardo e fu doppiato da Renato Cominetti.
E poi c'è lui... Capannelle (Carlo Pisacane), morto di fame tra i morti di fame, fuor di metafora: non c'è scena o quasi in cui non tenta di mangiare, a conferma della dichiarata discendenza della commedia all'italiana dalla commedia dell'arte (si pensi allo Zanni veneziano, da cui origina l'altrettanto affamato Arlecchino). Mangia un panino mentre Dante Cruciani spiega; assaggia la pappa del "pupo" di Tiberio e, soprattutto, dopo il fallimento del colpo, si accontenta di mangiare la pasta e ceci che trova nel frigo (sostituzione dei dolci che tutti mangiavano nel racconto di Calvino). Un simpaticissimo e meraviglioso miserabile.
Il suo bolognese (frutto dell'azzeccato doppiaggio di Nico Pepe, Carlo Pisacane, che da giovane aveva esordito nel muto con Tina Pica, è napoletano - vedi provino), caratterizza alcune indimenticabili battute del film: colpito da una pietra in un campo in cui dei bambini giocano a "nizza", dopo le imprecazioni del caso, chiede ad uno di loro "dimmi un po' ragazzolo, tu conosci un certo Mario che abita qua intorno?" "qui de Mario ce ne so' cento" "oh sì, va bene, ma questo l'è uno che ruba" "sempre cento so'" (vedi); urla preoccupato a Gassman, che entra in un cantiere di uno dei tanti palazzi in costruzione nella città in pieno boom economico, "Peppe, ma ti fanno lavorare, sai?"; ma soprattutto indossa quello che considera un abbigliamento "sportivo", che Peppe non esita a definire una "divisa da ladro". I suoi caratteri torneranno ne L'audace colpo dei soliti ignoti, sequel del film girato da Nanni Loy (1959), che citerà lo "sportivo" Capannelle e la sua proverbiale fame in quella che forse è la sequenza più famosa, ancora una volta ambientata in un commissariato, dove i protagonisti provano a giustificare la loro presenza a Milano per una partita di calcio e non per un colpo (vedi).
"Si lavicchia" |
Dante Cruciani e il metodo "Fu Cimin" |
Tornando al personaggio di Totò, infine, è sempre lui che fornisce alla banda una "batteria completa" in una valigia contenente tutto il necessario per scassinare la "comare", mentre Capannelle, in un altro momento degno di una pittorica scena di genere, segna la lista degli oggetti spuntandoli su un foglio poggiato su una vecchia padella (vedi).
Peppe "uomo di lettere" |
Se in Italia al suo titolo si arrivò per avvicinamenti progressivi, dopo Le madame (a Roma le forze dell'ordine, così chiamate poiché nella seconda metà del '700 la polizia dello Stato pontificio aveva sede a Palazzo Madama), rifiutato dalla censura, Rufufu, O di riffe o di raffe (denunciando l'influenza del francese Rififi - Dassin 1955), La commare, La banda del buco, in Francia si diede centralità all'assunzione di colpevolezza di Peppe al posto di Cosimo, cosicché il film venne distribuito come Le pigeon, che in francese ha più o meno il significato di capro espiatorio.
Via Alesia |
Diversi, invece, sono stati i remake o comunque i dichiarati e massicci omaggi statunitensi al film: da Crackers (Malle 1984), con Donald Sutherland e Sean Penn, a Criminali da strapazzo (Allen 2000), in cui la parete di un appartamento comunicante con una banca viene perforata; fino a Welcome to Collinwood (A. e J. Russo 2002), con George Clooney che interpreta un ruolo didattico molto simile a quello di Dante Cruciani.
Il commissariato al cinema Quirinale |
La sensazione del risultato poco convincente di tutte le derivazioni, in fondo, è che il soggetto, portato via dal suo contesto, l'Italia degli anni '50, fatta di illusioni e di crescita economica con cui i protagonisti non hanno nulla a che vedere, perda gran parte del suo fascino.
I soliti ignoti è uno dei migliori film di sempre del nostro cinema e, mutuando una frase che Monicelli ha utilizzato per paragonare la commedia italiana a quella hollywoodiana degli anni '30-'40, è uno di quelli che restituisce perfettamente "l'immagine dell'Italia e degli italiani agli italiani stessi".
La scena in via delle Tra Cannelle |
Il tentativo di furto di un'auto da parte di Cosimo, che apre il film con il titolo ancora in sovraimpressione, si svolge a via Alesia, in zona San Giovanni, a poche decine di metri da porta Metronia.
Il commissariato dove va in scena la farsa di Peppe e Cosimo è in realtà la grande loggia finestrata sopra al cinema Quirinale, in via Nazionale, ad un passo dal Palazzo delle Esposizioni; l'uscita di prigione di Peppe è girata sulla salita di Sant'Onofrio al Gianicolo, di fronte all'ospedale Bambin Gesù; la casa di Ferribotte e Carmelina è sui ballatoi di uno dei condomini di Piazza dei Sanniti, in pieno San Lorenzo. E, ancora, la terrazza dove i soliti ignoti osservano e filmano i movimenti del banco dei pegni è quella di uno dei palazzi su via Liberiana, di fianco a Santa Maria Maggiore, di cui infatti si vede bene la cupola della cappella Paolina, voluta da Paolo V Borghese all'interno della basilica romana e progettata da Flamino Ponzio tra 1606 e 1612.
La scalinata di via Sebastiano Venier |
L'uscita di galera sulla salita di Sant'Onofrio |
Il funerale di Cosimo, con il bellissimo scambio di battute sulla morte già descritto, si svolge davanti all'Accademia di scherma del Foro Italico progettata da Luigi Moretti (1934), dal 1981 maggiormente nota come Aula Bunker del Ministero di Grazia e Giustizia.
La scena in piazza Armenia |
Il cantiere in cui entra Peppe alla fine del film è, invece, a via dei Campi Flegrei, affacciato sull'Aniene, a un passo da via delle Valli.
Come ultima curiosità, Monicelli sostituì con questo il primo finale girato, che non lo convinse, con Peppe che incontra padre e fratello, che quasi non gli parlano, mentre lui si giustifica dicendo di essersi alzato presto per andare a lavorare e Capannelle, che raccoglie una cicca a terra per fumare.
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