martedì 27 novembre 2018

Saluto a Bernardo Bertolucci (16/3/1941 - 26/11/2018)

Dopo anni di lotta contro la malattia, Bernardo Bertolucci se ne è andato a 77 anni per colpa di un maledetto tumore ai polmoni che non gli ha permesso di tornare dietro la mdp, come aveva dichiarato di voler fare pochi mesi fa, in occasione del restauro di Ultimo tango a Parigi, quando parlò di un possibile soggetto incentrato su "l’amore, la comunicazione, e quindi anche l’incomunicabilità", ispirato ad un fatto di cronaca. Fa effetto pensare che ne avesse parlato anche con Terry Gilliam che lo ha ricordato (leggi).
Purtroppo non potremo vederlo mai, ma ci restano i suoi sedici lungometraggi, con alcuni capolavori assoluti, un paio di episodi in film a più mani, qualche documentario, che costituiscono una carriera formidabile, fatta di amore per il cinema, politica e soprattutto poesia.
Bertolucci sul set di Accattone al fianco di Pasolini
Perché Bernardo con la poesia ci era nato, figlio di Attilio, poeta "antinovecentista" con vocazione per la narrativa e poi ci era cresciuto, iniziando a scriverne in adolescenza e poi diventando assistente alla regia per Accattone (1961) di Pier Paolo Pasolini.
Dopo il traumatico trasferimento della famiglia da Parma a Roma, fu proprio l'incontro col grande poeta, che frequentava casa Bertolucci come amico di Attilio, a cambiare la vita di Bernardo.
Fu lui l'amico e maestro che gli fornì il soggetto per il suo esordio alla regia, da appena ventunenne, con La commare secca (1962), storia di una prostituta romana morta e trovata lungo il Tevere, che sembra tanto riprendere quella della morte di Anna Bianchini, la modella raffigurata nei panni di Maria ne La morte della Vergine da Caravaggio, autore fondamentale negli studi di Roberto Longhi, il maestro "prima uomo che professore" sempre ricordato da Pasolini.
Un scatto di Mario Dondero sul set di
Prima della rivoluzione 
Dal film successivo, Prima della rivoluzione (1964), Bertolucci passò a dare un taglio prettamente politico alle sue opere - una politica intesa come ideale e mai come istituzione - che caratterizzò infatti anche i soggetti letterari Partner (1968), tratto da Il sosia di Dostoevskij; Il conformista (1970), capolavoro dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia, ambientato durante il ventennio fascista, con Jean Luis Trintignant e Elisabetta Sandrelli; e, nello stesso anno, la Strategia del ragno (1970), liberamente ispirato al racconto di Borges Tema del traditore e dell'eroe, con Giulio Brogi e Alida Valli.
Fu poi la volta della grande polemica e del conseguente successo popolare con Ultimo tango a Parigi (1972), film erotico che ha fatto la storia di quegli anni, condannato al rogo nel 1976 dalla censura e riabilitato solo nel 1987, ancora oggi troppo ricordato per la scena di sesso col burro, probabilmente il dettaglio che fece più scalpore, tanto da essere citato persino nella versione comica e parodistica di Ultimo tango a Zagarol (Cicero 1973) in cui l'affamato Franco Franchi preferiva mangiare il panetto di burro.
Poco sensato limitare il giudizio su quel film con gli occhi di oggi e sulle recenti polemiche su un Marlon Brando rapace nei confronti della giovane Maria Schneider.
Bertolucci sul set di Ultimo tango a Parigi
La pellicola resta soprattutto un capolavoro per la sua capacità di mettere in scena l'incomunicabilità e di raccontare una storia che vede nel sesso la soluzione al conformismo imperante, con la fotografia di Vittorio Storaro, la musica jazz di Gato Barbieri e soprattutto l'interpretazione di un gigante come Brando, pur se scelto dopo i rifiuti di Volonté, Belmondo, Delon, e sconsigliato da Pasolini ("come fai a fare il film con quelli lì?"), che poco dopo, però, pensò di fargli impersonare san Paolo, e da Gillo Pontecorvo che lo aveva diretto, tra mille difficoltà, in Queimada (1969). In Italia, per vedere il film, probabilmente molto più per partecipare alla polemica che per apprezzarne il valore, vennero strappati oltre quindici milioni e mezzo di biglietti, un record secondo solo a Guerra e pace (Vidor 1956), che fa di Bertolucci l'autore del film italiano più visto di tutti i tempi.
Bertolucci sul set di Novecento con Depardieu e Sanda
Dopo e anche grazie al grande clamore, Bernardo era pronto ed ebbe la possibilità di realizzare il suo massimo capolavoro, che giunse  a quattro anni di distanza con Novecento (1976), meraviglioso affresco della storia d'Italia dei primi cinquant'anni del secolo, con un cast eccezionale, Lancaster, De Niro e Depardieu su tutti, in una vicenda fatta di storia, lotta di classe, amicizia, e una forma magnifica, sempre consapevole della storia dell'arte, con citazioni da Caravaggio, Van Gogh, Morandi, Fattori, i pittori veneti, i fiamminghi, come gli aveva insegnato Pier Paolo Pasolini. Senza dubbio uno dei più grandi film del cinema italiano dell'ultimo scorcio del XX secolo e non solo.
Bertolucci sul set de L'ultimo imperatore
Dopo La luna (1979), road movie tra incesto e tossicodipendenza, negli anni successivi è la volta prima del bellissimo La tragedia di un uomo ridicolo (1981), con un Tognazzi straordinario nei panni di un industriale parmense sequestrato dai terroristi, fotografia di Carlo di Palma e musiche di Morricone, e poi del colossal L'ultimo imperatore (1987). Sicuramente non fu la migliore pellicola di Bertolucci per la critica, ma quella che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo, capace di vincere 9 Oscar, tra cui regia, sceneggiatura non originale, fotografia di Vittorio Storaro e colonna sonora di Ryuchi Sakamoto.
Se con L'ultimo imperatore Bertolucci toccò il punto più alto della sua fama, ma non della sua poetica, il cui acme è indubbiamente rappresentato da Novecento, gli ultimi vent'anni sono stati costellati da film buoni, che hanno mantenuto il taglio internazionale, con opere prodotte ancora da Jeremy Thomas, come Il tè nel deserto (1990) e Piccolo Buddha (1993), ambientate tra Egitto, Tibet e India, e Io ballo da sola (1996), in cui la campagna senese faceva da sfondo ad una storia di artisti e intellettuali tra creatività e dolore, in un film corale altmanianamente inteso interpretato, tra gli altri, da Jeremy Irons e da Liv Tyler.
Bertolucci e Liv Tyler sul set di Io ballo da sola
Il regista emiliano è poi tornato progressivamente ad un cinema più europeo e soprattutto fortemente influenzato dalla Francia della Nouvelle Vague, con il claustrofobico L'assedio (1998), particolarissimo intreccio amoroso girato nell'appartamento nei pressi di Piazza di Spagna in cui D'Annunzio aveva scritto Il piacere, con una giovanissima Thandie Newton, e poi The dreamers (2003), il bellissimo e sentito omaggio di un grande regista cinefilo all'età dell'oro del cinema di Godard e Truffaut, quella che in gioventù gli permetteva "di pensare di essere diventato francese anch'io".
L'ultimo film è stato, infine, Io e te (2012), tratto dall'omonimo romanzo di Ammaniti, che gli ha permesso di tornare su tematiche già affrontate in passato come la solitudine, la tossicodipendenza e le difficoltà di coppia ed esistenziali.

La corsa godardiana nel Louvre di The Dreamers
Bernardo Bertolucci muore sei anni dopo il fratello Giuseppe, anche lui regista (si pensi all'indimenticata commedia Berlinguer ti voglio bene - 1977, con un Roberto Benigni sottoproletario politicamente scorretto). Per chi resta c'è la sensazione che stiano sparendo gli ultimi rappresentanti di una rilevante generazione della cinematografia italiana, come ha dichiarato l'addolorato Marco Bellocchio che di quella generazione ne è un altro illustre membro (leggi), così come Dario Argento, che con Bertolucci condivise l'esperienza del set con Sergio Leone in C'era una volta il west (1968), in cui contribuirono al soggetto.
Bertolucci, Godard e Pasolini
Bertolucci era anche questo, una liaison tra due epoche cinematografiche: la sua, con i suoi grandi film, e quella appena precedente, rappresentata nella sua stessa biografia da grandi registi nati una decina d'anni prima di lui, come Pasolini, Leone e Godard.
Ci mancano loro, ci mancherà lui con la sua sensibilità, la sua curiosità, la sua cinefilia che in Prima della rivoluzione gli faceva scrivere che senza Howard Hawks, Alain Resnais, Nicholas Ray, Il grande sonno, il Rossellini di Viaggio in Italia, «non si può mica vivere!»

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