venerdì 5 ottobre 2018

L'uomo che uccise don Chisciotte (Gilliam 2018)

Un grande regista ha finito un film su don Chisciotte! 
Per la storia del cinema la notizia è questa, la maledizione è finita. Dopo il tentativo di Orson Welles, che lo iniziò nel 1964 senza mai completarlo (la pellicola fu poi portata a termine da Jess Franco nel 1992), e quello dello stesso Terry Gilliam, iniziato nel 1989, e che pure ha regalato al cinema uno dei più bei documentari degli ultimi decenni, incentrato su un magnifico fallimento (Lost in la Mancha, Fulton - Pepe 2002), l'ex Monty Python torna sul romanzo di Cervantes e gira una pellicola surreale, in cui gioca con i piani del racconto, che spesso annulla del tutto, dando spazio a idee e invenzioni sceniche in alcuni casi pienamente inserite nella narrazione, in altri vicine alla "logica" del romanzo, in altri ancora totalmente fuori contesto.
L'obiettivo non è un semplice adattamento de El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha - questo il titolo originale del capolavoro cervantesco di inizio Seicento -, ma in qualche modo la messa in scena di un'ossessione realizzata attraverso un'opera metacinematografica. Che il progetto abbia un'intenzione autobiografica lo chiarisce subito la frase posta ad esergo della pellicola: "dopo 25 anni di fare e disfare".

Toby (Adam Driver) è un regista affermato alle prese con una pubblicità dal grande budget che occhieggia al capolavoro letterario spagnolo, ma sul set le cose non vanno per il meglio, complice anche il suo incontro con la bella Jacqui (Olga Kurylenko), che dovrà controllare durante l'assenza del marito, il produttore della pellicola (Stellan Skarsgard). Questa richiesta tanto hitchcockiana, non condurrà a nessuna evoluzione misteriosa come in Vertigo, ma creerà diverse situazioni comiche.
Toby ha già lavorato a un progetto sul don Chisciotte anni prima, quando ne fece un adattamento per il film della sua tesi di laurea. Ripensando a quel lavoro, che rivede in un dvd ricevuto da un losco gitano (Óscar Jaenada), torna negli stessi luoghi e ricorda o ritrova le persone coinvolte allora: Xavier (Jonathan Pryce), il ciabattino che aveva interpretato don Chisciotte, Angelica (Joana Ribeiro), allora Dulcinea, la bella cameriera per cui Toby aveva un debole, figlia del padrone della trattoria, Raul. Anche Sancho Panza era stato scelto tra gli avventori del locale, ma oggi Pedro lo Smilzo è passato a miglior vita...
Questa trama fa da base ad un film che parte da qui per enormi voli pindarici, esuberanti sequenze spettacolari che, come detto, sono solo in parte giustificate dal genio di Cervantes, acuite dalla fantasia di Gilliam che ricorre al suo passato più lontano, quello dei Python, ma anche ai film da regista successivi, cosicché non è difficile riconoscere motivi che ricordano Le avventure del barone di Munchausen (1988) o situazioni degne di Paura e delirio a Las Vegas (1998).

Gilliam dà il via alla sua opera con la tradizionale apertura del volume, inizio canonico di molti film classici tratti da romanzi, e naturalmente sceglie una copia illustrata da Gustave Dorè (1861), le cui acqueforti sono quelle certamente più identitarie del don Chisciotte nell'immaginario collettivo (anche più della litografia di Picasso del 1955, che immortala le silhouette dei protagonisti del romanzo), ma dopo questo momento di tradizionale non c'è davvero più nulla.
Il mondo dei Python è ravvisabile ovunque, a partire dalle grandi mani e l'enorme testa presenti sul set dove Toby sta girando, e che palesano il tratto stilistico di Terry Gilliam, tante volte presente nei film del celebre gruppo di comici inglese. E così, più avanti, don Chisciotte ingaggia un duello contro un cavaliere dall'elmo con le corna (molto poco seicentesco) e un altro personaggio avanza su dei trampoli: due figure che rimandano immediatamente ad altrettanti indimenticabili personaggi di Monty Python e il Sacro Graal (1975) come il Cavaliere nero e l'altissimo capo dei Cavalieri che dicono Ni (vedi 1 e 2).
C'è spazio anche per altra letteratura e Ariosto in primis: la donna diventata Dulcinea nel primo film di Tobey, come visto, si chiama Angelica, ma anche Xavier, che monta in groppa ad un cavallo di legno, non solo rimanda ovviamente ad Omero ma, dato l'obiettivo dichiarato di voler raggiungere la luna, fa pensare anche al John Neville de Il barone di Munchausen dello stesso Gilliam, e soprattutto ad Astolfo che nell'Orlando Furioso volava verso la luna cavalcando l'Ippogrifo, anche se qui, come Icaro, finirà rovinosamente a terra...
La regia non passa certo inosservata e, basti su tutte, la resa del primo flashback, che mostra il ciabattino Xavier che lavora nella sua bottega, mentre dalla finestra compare prima il Toby di oggi  e poi quello di tanti anni prima, che sceglie l'anziano artigiano per il ruolo di don Chisciotte. Che sia questo il contesto, però, viene rivelato allo spettatore solo alla fine della breve sequenza, attraverso un carrello all'indietro che, dal surcadrage della finestra, allarga l'inquadratura fino a mostrare Xavier-Jonhatan Pryce a lavoro.
Xavier, inizialmente riluttante, si era calato perfettamente nel ruolo e, con gran sorpresa di Toby, non è più uscito dal personaggio, cosicché si aggira per le strade del piccolo paesino di Los Sueños con la sua armatura strampalata, facendo persino da attrazione turistica in un tendone, in cui peraltro a fargli da sfondo c'è il Colosso di Francisco Goya (Madrid, El Prado, 1808). "Quijote vive" e, come allora combatteva contro camerieri che si difendevano con vassoi-scudo, oggi chiama i poliziotti "le forze delle tenebre", salva semplici donne in bicicletta dalla furia dei giganti, i celeberrimi mulini a vento. Questa immancabile immagine, forse la più famosa del libro, ancora oggi usata come frase antinomastica, naturalmente c'è e si ripete, e viene raddoppiata dalle pale eoliche dell'odierna Mancia. Gilliam dando corpo alle strambe fantasie di don Chisciotte ci mostra i mulini anche nella soggettiva distorta del personaggio, e li vediamo davvero diventare tre giganti, degni di quelli che Dante pone nel pozzo tra ottavo e nono cerchio dell'Inferno.
Xavier, inoltre, confonde il belato di una pecora con il canto del muezzin, laddove in Cervantes vedeva in pecore e montoni eserciti di musulmani e cristiani; e proprio aderendo a questa associazione di don Chisciotte, il personaggio del film si chiede "perché parlarne male solo perché adorano un dio pagano?".
Nella sovrapposizione dei piani narrativi, Gilliam gira anche la sequenza di don Chisciotte che affronta i sacchi pieni di vino rosso, ma invece che essere nel sogno del personaggio stesso, come avviene in Cervantes (cap. XXXV), la trasforma in un sogno di Toby.
Le disavventure iniziali, porteranno Toby ad essere il novello Sancho Panza al fianco di Xavier che lo chiama imperterrito "il mio sparviero" invece di "scudiero", rigorosamente a cavallo di un asino. Xavier lo tratta come un contadino ignorante e, anche quando c'è da leggere il romanzo, è lui a farlo docendogli "io declamerò i versi e tu guarderai le figure", e poco importa che il don Chisciotte non sia scritto in versi (errore dell'edizione italiana o della sceneggiatura?).
Tra gli altri attori compaiono, in una sezione gitana del film, anche l'almodovariana Rossy de Palma, che la fantasia di Xavier vede come "angelica creatura", e suo marito, il fattore interpretato da Sergi Lopez. Persino quest'ultimo viene coinvolto in quella percezione liminale tra realtà e finzione, centrale nel romanzo, che Gilliam riproduce continuamente: si avvicina a Toby per posare una bottiglia e il regista ci mostra la scena nella soggettiva di quest'ultimo, che percepisce il tutto come l'attacco di un nemico che vuole colpirlo.
Gli attori sono azzeccati, anche se è impossibile non pensare ai tanti che prima di loro si sono succeduti negli stessi ruoli. Gilliam, infatti, prima di Jonathan Pryce e Adam Driver, aveva iniziato il suo progetto con Jean Rochefort come don Chisciotte (davvero un'incarnazione del personaggio di Dorè) e Johnny Depp come Toby; ma poi vi si erano rispettivamente avvicendati Robert Duvall, Michael Palin e John Hurt per il primo, e Ewan McGregor, Jack O'Connell per il secondo. Il film, peraltro, viene dedicato, prima dei titoli di coda, proprio a Rochefort e Hurt, nel frattempo morti.
La produzione ha coinvolto ben quattro paesi, Spagna, Belgio, Francia e Portogallo, mentre tra le location si segnalano il convento di Cristo della città portoghese di Tomar, dove è ambientata l'intera parte finale, ma soprattutto, come è ovvio che sia, la Spagna, dove sono state girate sequenze nella zona di Madrid, alla Cartuja de Talamanca e al castello di Viñuela; a Segovia, dov'è stata scelta la foresta Valsain; nei pressi di Avila, ad Alto de Ojos Albos, per le pale eoliche; a Toledo per i castelli Oreja e Almonacid; al monastero di Pietra di Saragozza; in Navarra, a Gallipienzo per il suo antico borgo medievale, e a San Martín de Unx; e infine alle Canarie, dove la troupe si è fermata a Fuerteventura.
Terry Gilliam ha recentemente parlato del film facendo un personale distinguo tra la "pazzia" (negativa) e la "follia" (positiva). Stando a questa lettura di uno dei registi più visionari di sempre, la sua follia non conosce pause e chi ama il cinema non può che sperare ci siano altre occasioni per metterla in mostra...

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