lunedì 27 agosto 2018

Lincoln (Spielberg 2012)

Chi avrebbe potuto dirigere un film sugli ultimi mesi di vita di Lincoln, incentrato sulla storica abolizione della schiavitù negli Stati Uniti, se non Steven Spielberg? Sono le sue corde, magniloquenza, epica, battute aforistiche, inquadrature celebrative; ma se altre volte tutto questo può essere risultato stucchevole, in Lincoln, per l'importanza del personaggio e della materia scelta, il tono retorico è quantomai appropriato (trailer).
Eppure in questo caso il regista di Cincinnati, grazie anche all'adattamento che lo sceneggiatore Tony Kushner fa del libro di Doris Kearns Goodwin Team of Rivals: the Political Genius of Abraham Lincoln, dà alla pellicola un significato ben poco enfatico, sottolineando soprattutto come persino un provvedimento così giusto e così rilevante, per essere approvato, ebbe bisogno dei peggiori sotterfugi.
Sono diversi i film sul sedicesimo presidente degli Stati Uniti, ma tutti con un taglio differente da questo. Se, infatti, il pioneristico Il cavaliere della libertà (Griffith 1930) rappresenta una biografia completa del personaggio; Alba di gloria (Ford 1939), Abramo Lincoln in Illinois (Cromwell 1940) e il più recente The better angels (Edwards 2014), ne raccontano l'infanzia, la giovinezza e l'attività di avvocato prima dell'elezione; The Conspirator (Redford 2010) è incentrato invece sulla difesa di Mary Surratt, la donna accusata di aver cospirato all'assassinio del presidente e impiccata per questo il 7 luglio 1865. Persino La leggenda del cacciatore di vampiri (Bekmambetov 2012), con la trama fantasy, attraversa l'intera vita di Lincoln. Quello di Spielberg, quindi, è l'unico ad aver scelto un'unità di tempo così ridotta, limitata di fatto al gennaio del 1865 e con un'appendice che si spinge fino ad aprile.
Il film inizia con un'introduzione altisonante in cui la voce off parla di democrazia e schiavitù e contestualizza l'epoca della Guerra civile statunitense, che imperversava dal 1861 per la secessione di 7 stati del sud oppostisi all'abolizione della schiavitù, fondamento della propria economia.
Siamo all'inizio del 1865 e Lincoln, da poco rieletto per il suo secondo mandato presidenziale, punta ad abolire la schiavitù in tutto il paese e a far approvare al Congresso il 13° emendamento alla Costituzione, già passato nell'aprile dell'anno precedente al Senato. L'idea è che si riesca a votare prima della fine della guerra, in modo da farlo percepire come un espediente per raggiungere la pace, ma sarà una lotta contro il tempo, poiché ormai la guerra volge al termine e il generale nordista Ulysses Grant (Jared Harris) scrive al presidente sulla sincera volontà dei sudisti nel voler chiudere le ostilità.
Lincoln, il suo segretario di Stato, William Sewaard (David Strathairn), e il partito repubblicano (fino agli anni '50 del XX secolo considerato l'ala più progressista della Camera), però, hanno bisogno di ottenere almeno 20 voti tra i rappresentanti per avere la certezza del successo, mentre una pace troppo veloce eliminerebbe in molti l'urgenza dell'emendamento...
Ad aiutare Lincoln nell'impresa, avranno un ruolo di rilievo Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones), anche lui repubblicano ma con posizioni più estremiste del presidente, e il gruppo di lobbisti guidato da Bilbo (James Spader), addetto a convincere i rappresentanti necessari alla vittoria finale, tra cui George Yeaman (Michael Stuhlbarg), Clay Hawkins (Walton Goggins) e Alexander Coffroth (Boris McGiver).

La sceneggiatura è davvero ottima.
Lincoln alterna frasi e monologhi di alto profilo, e naturalmente la recitazione di Daniel Day Lewis - che vinse l'Oscar per l'interpretazione (vedi) - non può che rendere tutto perfetto (se ne consiglia la visione in lingua originale per apprezzarne a pieno anche la trasformazione dell'accento britannico in statunitense).
La prima apparizione di Lincoln lo mostra a colloquio con due soldati neri nordisti, che in poche battute riassumono la storia presente e futura della loro gente, affermando che i bianchi si sono prima abituati a vederli combattere come soldati al loro fianco, poi dovranno accettare il diritto alla stessa paga, quindi la nomina di alcuni di loro a ufficiali, e infine il diritto al voto, magari dopo un secolo (vedi).
Lincoln, più avanti, cita il guscio di noce shakespeariano, "potrei essere rinchiuso in un guscio di noce e tuttavia ritenermi Re di uno spazio infinito, se non fosse che faccio brutti sogni" (Amleto), e, in una sequenza onirica molto suggestiva, sogna una nave che al risveglio la moglie Mary (Sally Field) interpreterà quest'ultima come metafora dell'emendamento.
Diversi sono i monologhi degni di nota: da quello sull'uguaglianza e la giustizia partendo dalle regole matematiche di Euclide, a quello sull'importanza dell' "ora", inteso come hic et nunc, senza pensare troppo alle eventuali conseguenze; fino al cosiddetto discorso di Gettysburg, che vediamo in flashback e che resta uno dei momenti simbolo della nascita dei moderni Stati Uniti.
Risultano avvincenti le sequenze ambientate all'interno dell'aula della Camera dei rappresentanti, in cui le due fazioni politiche combattono a colpi di eloquenza. Qui, data l'inevitabile assenza di Lincoln, è proprio Stevens a fare la parte del leone, spesso ironizzando su quanto affermano i democratici guidati da George Pendleton (Peter McRobbie) e Fernando Wood (Lee Pace). Proprio quest'ultimo, in una delle battute più felici, viene deriso da Stevens, che ironizza sul suo "legnoso" ostruzionismo, degno del cognome che porta.
Anche il presidente della Camera deciderà di votare alla seduta del 31 gennaio 1865 e, alle rimostranze dei democratici sull'insolita scelta, risponderà che quella votazione non è come le altre, perché con quella decisione si sta facendo la storia.

Diverse le gag con cui Spielberg alleggerisce la pellicola. La prima è sulle "mazzette" offerte ai rappresentanti della camera: Bilbo urta uno di loro in banca facendogli cadere i soldi appena ritirati... aiutandolo a raccoglierli, quei soldi diventeranno molti di più! Il primogenito di Lincoln, Robert (Joseph Gordon-Levitt), si lamenta col padre poiché tutti gli uomini oltre i quindici anni hanno una divisa e lui vorrebbe partecipare alla guerra: il fratello minore, Tad (Gulliver McGrath) ampiamente sotto quell'età, camminando per casa in divisa si fa vedere e protesta. Lincoln, invece, indossando dei guanti non esattamente comodi, prorompe: "questa pelle sarebbe stato meglio lasciarla al vitello". Il segretario alla guerra, Edwin M. Stanton (Bruce McGill), infastidito dalla propensione di Lincoln all'aneddoto, si allontana con preoccupazione esclamando "no, volete raccontare una storia... non posso sopportare una vostra storiella proprio ora!"
Non certo una gag, ma una sequenza rilevante e che dimostra l'arte di sorprendere lo spettatore posseduta da Spielberg, quella in cui, dopo l'approvazione dell'emendamento (119 voti contro i 56 contrari), sarà proprio Stevens a prendere il documento per portarlo a casa e mostrarlo alla propria governante, che lo accoglie togliendogli il cappotto per riporlo sull'appendiabiti. Solo nel corso della scena e con gran stupore piacevolmente indirizzato, la mdp ci mostrerà i due sdraiati a letto insieme, una coppia di fatto ante litteram, a leggere quel foglio storico.
La morte di Lincoln arriverà dopo la pace e dopo una toccante sequenza in cui il presidente passa a cavallo tra le vittime sul campo di battaglia di Petersburg, che fa da contraltare alla sequenza d'esterno iniziale, in cui Spielberg, maestro delle scene di guerra, condensa in pochi secondi e alcuni scontri cruenti l'idea di una guerra che per gli Stati Uniti comportò seicentomila morti e novecentomila feriti.
Il momento dell'assassino di Lincoln, avvenuto a teatro (15 aprile 1865) non ha il peso che ci si aspetterebbe, evidentemente per salvaguardare la materia principale del film, ma anche qui Spielberg lavora perfettamente al disorientamento dello spettatore: ambienta la scena in un teatro, infatti, ma non si tratta del Ford's Theatre di Washington, ma di un altro dove lo spettacolo viene interrotto per dare la triste notizia ai presenti, tra i quali è Tad, il figlio minore del presidente. Questa volta, a differenza della relazione di Stevens con la governante, la vicenda è documentata, ma entrambe funzionano benissimo drammaturgicamente...
Alle interpretazioni e alla regia si uniscono la splendida fotografia Janusz Kaminski, storico collaboratore di Spielberg sin da Schindler's List (1993); la scenografia di Jim Erickson e Rick Carter (unico Oscar vinto dal film oltre quello a Day Lewis su 12 nomination) e i costumi di Johanna Johnston, entrambi ovviamente fondamentali per un film come questo, per gran parte girato in interni. Diverso il discorso per la musica di John Williams, ormai davvero indistinguibile da tante altre sue colonne sonore precedenti.
Non mancano le citazioni dall'immaginario storico artistico: Lincoln appare spesso seduto, con le braccia distese ai lati, come nella statua del Lincoln memorial di Washington, dichiarato punto di riferimento iconografico del regista; la figura di Francis Preston Blair (Hal Holbrook) sembra una copia del Ritratto di monsieur Bertin di Ingres (Parigi, Louvre).
Tra i rimandi, anche quello cinefilo: quando Lincoln e sua moglie Mary litigano sulla volontà di arruolarsi del loro primogenito Robert, lo scontro e soprattutto la donna che si lascia cadere nello sbuffo della gonna, inquadrata dall'alto, fa pensare alla Scarlett-Vivien Leigh di Via col vento (Fleming 1939), capolavoro ambientato negli stessi anni in cui infuriava la guerra di secessione.
Lincoln-Day Lewis, infine, viene immortalato con il figlio Tad in braccio, su una sedia a dondolo: una delle più belle immagini del film, che restituisce l'idea di un presidente uomo nella sua vita privata oltre che politico intraprendente e pronto al rischio, peraltro su uno degli oggetti iconici dell'Ottocento statunitense...

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