martedì 21 agosto 2018

Il ritratto di Jennie (Dieterle 1948)

"Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma"... quella che Lavoisier stabilì per la fisica, guarda caso rifacendosi al "nulla viene dal nulla" del filosofo greco Empedocle, è un postulato che vale anche in arte. Ed è così che persino un capolavoro assoluto della storia del cinema come Vertigo (La donna che visse due volte, Hitchcock 1958) trova in un film come Il ritratto di Jennie un modello fondamentale.
La pellicola, girata dal tedesco William Dieterle, formatosi in patria negli anni dell'espressionismo tedesco (e si vede) prima di raggiungere gli Stati Uniti, è un adattamento dell'omonimo romanzo di Robert Nathan (Portrait of Jennie, 1940), che piacque molto a David O'Selznick, il quale, come per tutti i suoi film, fu ben più di un semplice produttore (si pensi ad esempio al più famoso di tutti, Via col vento, Fleming 1939).

Egli, infatti, non solo scelse il soggetto di Nathan per dare un ruolo a Jennifer Jones, alla quale aveva già assicurato un contratto con la 20th Century Fox - negli anni precedenti l'attrice aveva vinto un Oscar per Bernadette (King 1943) e interpretato l'indimenticabile Perla Suarez in Duello al sole (Vidor 1946) -, ma intervenne anche sulla sceneggiatura dopo le prime settimane di lavorazione che non lo avevano soddisfatto. Si ricordi che Jennifer Jones e Selznick ebbero una lunga relazione sin dall'inizio degli anni '40 e furono marito e moglie (la seconda volta per entrambi) dal 1949 al 1965.
Jennifer Jones e Joseph Cotten
Come in Duello al sole, la Jones fu affiancata da un magnifico Joseph Cotten, qui innamorato di un fantasma, di un ideale, di una donna che visse due volte, appunto (trailer).
New York 1934. Eben Adams (Joseph Cotten) è uno spiantato artista che dipinge paesaggi e nature morte convenzionali, come non manca di fargli notare Miss Spinney (Ethel Barrymore), l'anziana gallerista che lo prende in simpatia per i suoi modi eleganti e per l'avvenenza più che per le doti di pittore, consigliandogli l'imperfezione ma la passione di Raffaello piuttosto che l'algida perfezione di Andrea del Sarto (sic!). Comunque decisamente meglio del giudizio della sua padrona di casa, che aspetta le stentate rate dell'affitto ed è stufa di accettare i suoi dipinti che appende in bagno.
Joseph Cotten e Ethel Barrymore
Un giorno, passeggiando per l'innevato Central Park in cerca di ispirazione, Eben incontra una bellissima ragazzina che gli parla dell'Hammerstein, un teatro in cui lavorano come acrobati i suoi genitori, gli Appleton. Il teatro non esiste più da anni, la bambina a ben guardarla è vestita in una maniera ormai passata di moda da tempo e una sciarpa che ha lasciato su una panchina prima di andarsene è avvolta in un quotidiano del 1910 in cui tra gli altri si cita Sarah Bernhardt...
Quella fanciulla, ovviamente, è Jennie (Jennifer Jones), la cui immagine scuoterà il talento di Eben, che ne abbozzerà un ritratto a matita su cui Miss Spinney spenderà un ottimo giudizio e un'altrettanto ottima paga. Eben la incontrerà sempre più spesso, ma sempre da solo, e ogni volta Jennie sarà più grande, dato che per sua stessa ammissione deve far presto per raggiungere l'età adulta e poter fidanzarsi con il pittore, che non smetterà di cercarla e di seguirla persino in un convento, dove chiederà di lei alla madre superiora (Lilian Gish), e fino al faro di Cape Cod (in realtà quello di Boston), di cui gli ha parlato spesso...

Joseph Cotten e Lilian Gish
Le visioni di Eben sono reali? Jennie è un fantasma oppure il film è una fiaba e la verosimiglianza della vicenda va quindi ignorata? Tutto lascia supporre che Jennie sia una fantasia di Eben, stimolata dalla necessità di trovare una spinta, una musa che possa dare ispirazione alla sua arte e anche laddove la narrazione sembra dire il contrario, in fondo non fa che confermarlo: è il caso di Gus (David Wayne), l'amico di Eben che vede il giornale e la sciarpa, probabilmente le uniche cose realmente trovate dal pittore a Central Park, all'origine di tutta la storia d'amore al centro del film.
È pur vero che il cappello introduttivo della storia, lasciato alla voce off e alle didascalie, sembra condurre lo spettatore su tutt'altro avviso: il narratore, infatti, mentre scorrono le immagini delle nuvole, si lascia andare a riflessioni sul bisogno dell'uomo di farsi domande filosofiche sulla vita, sulla morte, sullo spazio e sul tempo, mentre in sovrimpressione si legge prima una citazione dal Polido di Euripide, "Chi sa se morire non sia vivere... e se ciò che i mortali chiamano vita non sia morte?", e poi una dalla Ode su un'urna greca di Keats, "La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere".
La stessa voce invita ancor di più a sospendere il giudizio: "per il resto la scienza insegna che nulla muore ma solo si trasforma, che il tempo stesso non trascorre ma si incurva attorno a noi, e passato e futuro ci sono accanto, assieme e per sempre. Oltre i limiti estremi di ogni conoscenza ha vita questa storia e la sua vera realtà è da ricercarsi piuttosto nei vostri cuori che nelle vicende che vi saranno narrate". E così, durante il film, lanche a signora Spinney dirà a Eben che "invecchiando si impara a credere a tante cose che non si vedono".
Comunque la si interpreti, resta il fatto che Eben riuscirà a dipingere un ritratto completo della sua amata e stavolta sarà un capolavoro tale da essere esposto al Metropolitan Museum di New York. La tela nella realtà venne realizzata dal pittore statunitense d'origine ucraina Robert Brackman e, altro vezzo di Selznick, fu quello di farlo apparire a colori, in un film in bianco e nero. Il produttore non si limitò a questo, ma nelle scene finali pretese il colore anche per i fulmini e per il mare ingrossato dalla tempesta, nonché una sorta di effetto "seppia" per gli interni.
Tante le curiosità su cui vale la pena porre l'atenzione. Tra queste l'ostentata origine irlandese di Eben che, grazie al suo amico Gus, ottiene la commissione di un affresco raffigurante l'eroe nazionale Michael Collins in un locale frequentato dalla comunità cui entrambi appartengono. Al Rialto, il cinema in cui si è trasformato il vecchio teatro Hammerstein, dietro l'anziano custode con cui parla Eben, vediamo proiettare sullo schermo uno dei primi cartoni animati di Mickey Mouse, che aveva fatto la sua prima apparizione cinematografica nel 1928. Durante la tempesta, uno dei marinai che hanno aiutato Eben a trovare una barca per raggiungere il faro, legge sulla Bibbia "e un grande forte vento spezzò le montagne e fece in pezzi le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento": si tratta di un passo del libro dei Re, in cui Dio mette alla prova il profeta Elia (1Re, 19, 11),  in evidente parallelo con la vicenda del protagonista che naufraga come Ulisse cercando di andare oltre le colonne d'Ercole, una delle più simboliche sfide ai limiti della conoscenza umana.
Il fulmine che introduce il colore nel film
Veniamo ora, però, alle forti tangenze della pellicola con Vertigo, che a sua volta Hitchcock derivò da da D’entre les morts, romanzo di Thomas Narcejac e Pierre Boileau del 1954. Eben si innamora di un fantasma, che di fatto è frutto della sua mente, così come Scottie si innamora di Judy dopo la "morte" di Madeleine; il personaggio di Joseph Cotten con il suo disorientamento rispetto allo strano innamoramento che vive è indubbiamente vicino a quello di James Stewart nel film di Hitch; entrambi i film sono caratterizzati dalla sospensione del tempo, quel tempo che per Jennie da una parte e per Scottie dall'altra può aver sbagliato...
Ad ulteriore riprova che sir Alfred ebbe molto presente la pellicola di Dieterle, in una delle ultime sequenze, Eben rincorre Jennie all'interno di un faro con una scala a chiocciola, che il regista tedesco riprende con un carrello all'indietro (ne usa molti durante il film) restituendo allo spettatore quel senso di profondità che Hitchcock porterà all'estremo attraverso l'artificio tecnico dei due carrelli incrociati con cui renderà la vertigine di Scottie, il disturbo che caratterizza il personaggio e che dà il titolo al film. 
Tornando, infine, al film del 1948, le interpretazioni di Cotten e della Jones sono sostenute da una fotografia magnifica di Joseph H. August, che ricorre spesso ad un filtro per l'effetto "telato" dei paesaggi, sorta di soggettiva pittorica di Eben, e soprattutto riesce a rendere un'atmosfera indefinita e sognante per tutto il film, con momenti di livello assoluto, come le brume notturne nei momenti che precedono il mare in burrasca, in cui le sagome degli attori appaiono appena riconoscibili tra la nebbia.
A tutto questo si aggiunga la musica di Dimitri Tiomkin, uno dei mostri sacri della Hollywood classica, che si avvalse soprattutto di melodie di Claude Debussy. Uno dei brani portanti, con lo stesso titolo del film, venne invece composto da Gordon Burdge & J. Russell Robinson, e divenne successivamente ancora più famoso grazie all'interpretazione che ne diede Nat King Cole (ascolta). Alla colonna sonora, va infine precisato, collaborò anche Bernard Herrmann (il suo finale non venne usato), collaboratore di Hitchcock in gran parte dei suoi capolavori, compreso ovviamente Vertigo.

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