Girato in Norvegia con capitali tedeschi, è un kammerspiel di grandissima intensità, in cui recitazione e sceneggiatura dominano su tutto il resto. I dialoghi sono taglienti, profondi, Liv Ullmann e Ingrid Bergman, allora già malata di tumore, e qui alla sua ultima apparizione al cinema (morirà nel 1982, anno in cui partecipò al film tv Una donna di nome Golda - Gibson), sono magnifiche.
Il titolo italiano è un clamoroso errore frutto di un'eccessiva semplificazione che sconfina in superficialità. L'originale Höstsonaten, infatti, in realtà 'sonata di autunno', viene trasformato in 'sinfonia', cosicché l'idea di una composizione eseguita da più strumenti - i pochi personaggi in scena in un film paragonabile alla musica da camera - si perde completamente immaginandone una sinfonica e quindi concepita per un'orchestra.
La storia è raccontata in flashback dalla voce narrante di Viktor (Halvar Björk), pastore protestante che ha sposato Eva (Liv Ullmann), figlia di Charlotte Andergast (Ingrid Bergman), appena ripartita dopo aver trascorso un soggiorno nella casa tra i fiordi norvegesi in cui vive la coppia. Le due non si vedevano da sette anni e questa lunga distanza ha aumentato rancori, silenzi, sentimenti covati e taciuti, che deflagrano con tutta la forza tipica di ciò che esplode dopo tanta repressione.
Ad acuire tutto questo contribuiscono altri elementi. Uno di questi è la presenza in casa di Helena, l'altra figlia di Charlotte, che la madre aveva rinchiuso in un istituto perché malata e costretta a letto, ma che Eva da due anni ha portato a vivere con lei e il marito, senza dire nulla alla madre che si ritrova costretta ad affrontare dei sentimenti che aveva accantonato. La cupezza che attanaglia Eva e Viktor, invece, è causata dalla perdita di Erik, il loro bambino di quasi quattro anni, annegato poco tempo prima e che Charlotte non aveva mai visto, poiché sempre impegnata in tournée in giro per il mondo.
La donna interpretata dalla Bergman, infatti, è una pianista di successo internazionale che ha sempre anteposto la propria carriera alla famiglia e agli affetti e che ora, dopo la morte del compagno con cui viveva da tredici anni, Leonardo, ha deciso di andare da Eva.
Lo scontro verbale tra le due donne è progressivo: dopo i primi abbracci e il piacere di ritrovarsi dopo tanto tempo, ogni azione, ogni atteggiamento di Charlotte inizia ad infastidire Eva; tutto è ipocrisia e formalità, persino l'abbigliamento che la donna sceglie per la cena casalinga è di un rosso sfolgorante che ha l'intenzione di provocare la figlia, che peraltro prevede tutte le sue azioni.
I primi scricchiolii si avvertono al pianoforte, dove dopo la cena Charlotte si siede istintivamente: si tratta di uno dei simboli del loro rapporto conflittuale, quello che più di ogni altro oggetto le ha tenute separate. La tastiera diventa terreno di scontro, perché fatalmente Charlotte, dopo aver ascoltato un preludio di Chopin suonato dalla figlia ed essersi commossa e complimentata con lei, si sente chiedere un giudizio più vero e inizia un'analisi puntuale di tutti gli errori commessi, completata da una propria esecuzione del brano.
Qui il cineasta svedese inizia ad arricchire la pellicola di primi piani "alla Bergman", con inquadrature che riuniscono i volti delle due donne, perpendicolari tra loro, uno frontale, uno di profilo, come fatto più volte nella sua carriera e soprattutto dodici anni prima, in Persona (1966), dove le attrici erano la stessa Liv Ullmann e Bibi Anderson.
Dopo un altro momento di amore filiale, con Eva che dà la buonanotte alla madre preannunciandole di volerla coccolare al mattino portandole la colazione a letto, la notte di Charlotte è turbata da un incubo e, alzatasi, si ritrova a parlare con la figlia accorsa per sapere cosa stia accadendo. Il climax delle rivelazioni, la rabbia di Eva cresciuta all'ombra di una madre costantemente assente diventano reale disprezzo di fronte alla donna a cui non resta da dire altro che "Eva, ma tu mi odi!"
La serie di battute recitate da una Liv Ullmann perfetta, capace di passare dal ruolo della figlia sottomessa a quello della carnefice della propria madre è impressionante: "per te ero un giocattolo con cui ti divertivi quando non avevi niente da fare"; "sapevo che qualsiasi cosa tu dicessi non era vera"; "le persone come te distruggono tutto. Dovresti essere isolata, solo così saresti inoffensiva".
Dal canto suo, Charlotte abbozza un "non volevo essere madre" e chiede un perdono a cui Eva non solo non è disposta, ma è di nuovo pronta a colpire: "devi prenderti la responsabilità delle tue colpe".
Charlotte partirà... e a Eva rimarranno i sensi di colpa per non aver concesso repliche, per aver chiesto perdono senza darne, cosicché in una lettera che le invia ammette che "è doloroso riconoscere i propri errori" e auspica di "vivere ciò che resta e volerci bene".
Il film è completamente girato in interni, fatta eccezione per l'arrivo di Charlotte e per la sequenza finale in cui Eva passeggia nel piccolo cimitero vicino la chiesa, in cui è sepolto anche il piccolo.
Bergman, inoltre, si concede altre sequenze analettiche in quello che è già una storia interamente narrata in flashback. Le gira per dare immaginare al racconto di Charlotte sull'agonia di Leonardo, il suo compagno, morto in ospedale, e per delineare con pochi tocchi l'infanzia di Eva (la bambina è interpretata da Lynn Ullmann, figlia dell'attrice e del regista) e il peggioramento della malattia di Helena. Alcune di queste sono realizzate come tableaux vivants, a camera fissa: nella prima la stanza d'ospedale è invasa dalla luce proveniente da un'enorme serliana che occupa l'intera parete opposta alla mdp; nella seconda Eva bambina aspetta fuori dalla porta della sala in cui la madre sta suonando; l'apertura delle due ante regala lo stesso effetto di luminosità mentre la piccola Eva corre a servire una caffè alla mamma, che per tutta risposta la allontana dicendole che ora deve rimanere sola. E poi il racconto di una Pasqua trascorsa tutti insieme, in famiglia, con Leonardo, Helena, Eva e Charlotte, ennesima storia rivangata dalla figlia per accusare e punire la madre che apparentemente non si è mai resa conto di nulla...
Sinfonia d'autunno è bellissimo nella sua essenzialità, proprio quella che all'uscita fu in parte criticata. La stessa concisione scenografica, degna del più grande regista scandinavo precedente a Bergman, Carl Theodor Dreyer, permette di non distogliere l'attenzione dai volti di Liv Ullmann e Ingrid Bergman, il vero soggetto del film, di cui la mdp sottolinea ogni espressione, ogni minimo dettaglio. Allo stesso modo le loro parole e le loro riflessioni entrano nella mente dello spettatore e non lo lasciano molto presto...
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