Christopher Nolan si confronta con un genere classico come il film bellico e, non c'è dubbio, realizza una pellicola di grande impatto, con un'ottima fotografia, una musica (o meglio un sonoro) avvincente, una regia di assoluto livello e una struttura narrativa complessa e affascinante resa tale da un buon montaggio. Eppure allo scorrere dei titoli di coda ci si chiede perché qualcosa non quadri, cosa non ci abbia convinto, come mai non si esca dalla sala con la certezza di aver assistito ad un grande film...
Manca qualcosa, l'insoddisfazione resta, la sceneggiatura è impalpabile e superflua, e questa è sicuramente una delle componenti che contribuiscono a tale sensazione, ma c'è di più.
In Dunkirk non ci si identifica con nessuno dei personaggi e nessuno degli attori ha un ruolo (né una battuta) che merita la chiamata del grande nome, il film resta freddo nella sua perfezione formale, che lungi da queste pagine condannare (l'uso della mdp IMAX a mano è un vero spettacolo), ma quando prova ad andare oltre, ciò che si percepisce è sola retorica, una retorica che trasforma il londinese Nolan nello Spielberg più retrivo, con una pellicola che, dopo aver evidenziato gli orrori della guerra, assurge a simbolo di propaganda sul coraggio e sulla solidarietà del popolo inglese (da cui le polemiche transalpine per l'assenza pressoché totale dei francesi). Questo cortocircuito rende il film contraddittorio, seppur tecnicamente inappuntabile.
Parlare poi di capolavoro del genere bellico dell'intera storia del cinema appare davvero fuori luogo: Dunkirk funziona nel complesso, nonostante le contraddizioni, ma metterlo al fianco di mostri sacri come Orizzonti di gloria, Full metal jacket, Apocalypse now o La sottile linea rossa è impensabile!
In Dunkirk non ci si identifica con nessuno dei personaggi e nessuno degli attori ha un ruolo (né una battuta) che merita la chiamata del grande nome, il film resta freddo nella sua perfezione formale, che lungi da queste pagine condannare (l'uso della mdp IMAX a mano è un vero spettacolo), ma quando prova ad andare oltre, ciò che si percepisce è sola retorica, una retorica che trasforma il londinese Nolan nello Spielberg più retrivo, con una pellicola che, dopo aver evidenziato gli orrori della guerra, assurge a simbolo di propaganda sul coraggio e sulla solidarietà del popolo inglese (da cui le polemiche transalpine per l'assenza pressoché totale dei francesi). Questo cortocircuito rende il film contraddittorio, seppur tecnicamente inappuntabile.
Parlare poi di capolavoro del genere bellico dell'intera storia del cinema appare davvero fuori luogo: Dunkirk funziona nel complesso, nonostante le contraddizioni, ma metterlo al fianco di mostri sacri come Orizzonti di gloria, Full metal jacket, Apocalypse now o La sottile linea rossa è impensabile!
Il titolo indica, con rigorosa pronuncia inglese, la città normanna di Dunkerque, a 70 chilometri di mare dall'Inghilterra, dove nel 1940, all'inizio della Seconda guerra mondiale, venne evacuato un numeroso contingente di soldati britannici assediati dall'aeronautica tedesca.
Dunkirk inizia con una sequenza bellissima e poetica: un soldato inglese, Tommy (Fionn Whitehead), raccoglie uno dei tanti volantini che stanno piovendo dal cielo e che intimano la resa a Inghilterra e Francia da parte della Germania nazista; il ragazzo avanza nella città deserta e, dopo aver rischiato di essere ucciso dal fuoco "amico", all'uscita dall'ennesimo vicolo, la sua vista, e quindi la mdp in soggettiva, si apre su una spiaggia ricolma di soldati.
Questo filone narrativo, intitolato Il molo - una settimana, è il principale dei tre che costituiscono la particolarissima narrazione, completata da Il mare - un giorno e da Il cielo - un'ora: tre luoghi, terra, mare, aria; tre tempi; un solo avvenimento in cui si raccolgono, in un sistema di scatole cinesi che rappresentano l'elemento più schiettamente nolaniano dell'intero film, e forse il migliore.
Le dichiarazioni rilasciate dal regista dicono che questa complessa struttura narrativa è stata ispirata dalla scala Shepard (ascolta), illusionismo acustico che finge un'intensità ascendente infinita, un trucco che aggiunge tensione alle scene e che, soprattutto nella descritta sequenza iniziale, è indicata dal ticchettio di un orologio che è anche il battito del cuore del soldato inglese che cammina impaurito per Dunquerke, assecondando un motivo tipico di Hans Zimmer, autore della colonna sonora.
Le dichiarazioni rilasciate dal regista dicono che questa complessa struttura narrativa è stata ispirata dalla scala Shepard (ascolta), illusionismo acustico che finge un'intensità ascendente infinita, un trucco che aggiunge tensione alle scene e che, soprattutto nella descritta sequenza iniziale, è indicata dal ticchettio di un orologio che è anche il battito del cuore del soldato inglese che cammina impaurito per Dunquerke, assecondando un motivo tipico di Hans Zimmer, autore della colonna sonora.
Lo spettatore segue, quindi, la storia di Tommy che vive le peripezie di tutti i soldati in attesa di imbarcarsi dal molo, dove a guidare le operazioni c'è il capitano Bolton (Kenneth Branagh); quella del signor Dawson (Mark Rylance) che, seguendo le indicazioni della Royal Navy che chiede ai civili di mettere a disposizione le proprie barche per la causa, parte con il suo piccolo yacht da diporto e con a bordo suo figlio minore, Peter, e un amico di questo, George, punta ad arrivare a Dunkerque per aiutare i soldati inglesi a tornare in patria, anche se durante il viaggio soccorre uno di loro sopravvissuto e sotto schock (Cilllian Murphy), che in quell'inferno non vorrebbe proprio tornarci; e, infine, quella di tre Spitfire della RAF che provano a difendere il cielo soprastante dagli attacchi tedeschi.
La guerra non ha umanità, le persone sono numeri (i 335 mila uomini dei titoli dei giornali), l'istinto di sopravvivenza può mettere tutti contro tutti, come dimostra la sequenza di un gruppo di soldati inglesi che impongono ad un francese di sacrificarsi "volontariamente", mentre le pallottole dei nazisti bucano lo scafo e i fasci luminosi tagliano lo schermo come accadeva in una sequenza memorabile di Blood simple (Coen 1984; vedi).
In condizioni come queste, rimanere vivi è il più grande dei risultati - "e vi pare poco?" dice un uomo anziano ad un giovane soldato convinto di aver deluso l'intera nazione - ma questo, soprattutto all'inizio di una guerra, non dà nessuna garanzia, poiché la gloria è fugace: i sopravvissuti scoprono dagli stessi giornali che li incensano che Churchill li rimanderà a combattere appena possibile.
Chi davvero ha contribuito alla salvezza dei più, come il pilota interpretato da Tom Hardy (perché scegliere un attore come lui per tenerlo sempre a volto coperto e praticamente senza una battuta?), subito dopo essere stato acclamato per le sue imprese, si ritrova nelle mani dei nazisti, i cui elmetti sono di fatto l'unico dettaglio mostrato da Nolan del "nemico", che aleggia per tutto il film senza mai apparire, una scelta voluta e che fa pensare all'essenza della paura come veniva intesa dal maestro dell'horror Jacques Tourneur ("in tutti i miei film non si vede mai ciò che causa l'orrore"); e, alla fine, l'eroismo rischia di essere attribuito a chi muore casualmente, come accade ad uno dei ragazzi dello yacht, pur di dare un volto alla gloria dell'impresa.
Nulla ha senso e quando si prova a darne uno, si tratta di menzogna...
Eppure tutto questo senso di disfatta umana svanisce in un battibaleno quando, in un enfatico primo piano, il capitano Bolton, guardando in mare le barche dei civili, pronuncia la più stucchevole delle metonimie: "vedo la patria!".
Nolan ha dichiarato che avrebbe voluto girare Dunkirk senza l'ausilio di una sceneggiatura, dopo la battuta pronunciata da Kenneth Branagh ci si chiede perché la moglie, nonché produttrice Emma Thomas, l'abbia convinto a fare il contrario, per giunta senza il consueto aiuto del fratello Jonathan Nolan (impegnato nella seconda stagione della serie tv Westworld), lasciando allo stesso Christopher la realizzazione di uno script di sole 76 pagine....
Un buon film nel complesso, non un capolavoro.
Chi davvero ha contribuito alla salvezza dei più, come il pilota interpretato da Tom Hardy (perché scegliere un attore come lui per tenerlo sempre a volto coperto e praticamente senza una battuta?), subito dopo essere stato acclamato per le sue imprese, si ritrova nelle mani dei nazisti, i cui elmetti sono di fatto l'unico dettaglio mostrato da Nolan del "nemico", che aleggia per tutto il film senza mai apparire, una scelta voluta e che fa pensare all'essenza della paura come veniva intesa dal maestro dell'horror Jacques Tourneur ("in tutti i miei film non si vede mai ciò che causa l'orrore"); e, alla fine, l'eroismo rischia di essere attribuito a chi muore casualmente, come accade ad uno dei ragazzi dello yacht, pur di dare un volto alla gloria dell'impresa.
Nulla ha senso e quando si prova a darne uno, si tratta di menzogna...
Eppure tutto questo senso di disfatta umana svanisce in un battibaleno quando, in un enfatico primo piano, il capitano Bolton, guardando in mare le barche dei civili, pronuncia la più stucchevole delle metonimie: "vedo la patria!".
Nolan ha dichiarato che avrebbe voluto girare Dunkirk senza l'ausilio di una sceneggiatura, dopo la battuta pronunciata da Kenneth Branagh ci si chiede perché la moglie, nonché produttrice Emma Thomas, l'abbia convinto a fare il contrario, per giunta senza il consueto aiuto del fratello Jonathan Nolan (impegnato nella seconda stagione della serie tv Westworld), lasciando allo stesso Christopher la realizzazione di uno script di sole 76 pagine....
Un buon film nel complesso, non un capolavoro.
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