Secondo adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo d'appendice di Guy de Maupassant (1883), dopo il film di Alexandre Astruc (1958), anche quello di Stéphane Brizé (trailer), inevitabilmente, mette al centro della vita del titolo Jeanne, con cui lo spettatore condivide per tutta la durata della pellicola sentimenti, gioie e soprattutto delusioni, nei suoi diversi ruoli di figlia, moglie, madre e nonna...
Dopo La legge di mercato (2015), storia del dramma lavorativo di un uomo contemporaneo, Stéphane Brizé passa ad una tragedia ottocentesca virata completamente al femminile.
La regia segue costantemente la protagonista, il cui istinto di autodistruzione rimanda inevitabilmente a tante altre eroine femminili della letteratura romantica e, cinematograficamente parlando, all'autolesionismo antonomastico di Adele H. (Truffaut 1975). Il film, però, non alza mai i toni, ha una leggerezza che contrasta con il melodramma, una serena accettazione degli eventi, intriso di quella poesia e soprattutto di quella pacata lentezza degna di Eric Rohmer.
Anche i momenti più drammatici, come la morte violenta, vengono resi senza azione, con semplici immagini statiche, fotogrammi che si limitano a far cronaca, ad immortalare, per dirla con lo stesso Brizé, "le conseguenze delle cose, non il modo con cui si sono verificate". Ed è ancora più significativo che a quelle facciano da contrappunto dei campi vuoti, con il vento che passa tra le foglie degli alberi e tra le piante, testimonianza della vita che scorre, comunque, senza sosta...
Jeanne (Judith Chemla) è l'unica figlia dei baroni Le Perthuis di Vauds (Yolande Moreau e Jean-Pierre Darroussin). I tre vivono in una grande casa di campagna in Normandia, in una condizione di agiatezza garantita dalla proprietà di numerose fattorie sparse sul territorio. La loro vita, però, viene sconvolta dall'arrivo di Julien (Swann Arlaud), un giovane nobile rimasto orfano e spiantato a causa dei debiti di gioco contratti dal padre, a caccia di un matrimonio che possa dargli stabilità economica, e di cui, fatalmente, Jeanne si innamora ben presto.
La situazione familiare del ragazzo non dispiace alla mamma di lei, felice che la figlia possa rimanere lì con lei e il marito, autorizzando un matrimonio di questo tipo forse più per egoismo che per reale liberalità.
I due si sposano, ma dopo l'idillio iniziale, scoprono le profonde differenze di gestione del quotidiano (a Jeanne viene contestato persino l'uso della legna per il camino) e, a peggiorare le cose, si aggiungono i tradimenti di Julien. Dalla coppia nasce Paul, ma i problemi di Jeanne non finiscono e, anzi, prima il forzoso allontanamento della domestica Rosalie, con cui è cresciuta sin dall'infanzia, e poi la morte di marito e madre, la costringeranno a rimodulare continuamente le proprie abitudini di vita. Paul, nel frattempo, crescerà con pochissima voglia di fare e vivrà affidandosi completamente alle sostanze familiari e facendo leva sull'amore materno...
Nella vita di Jeanne tutto è forma e tradizione. Il matrimonio va sempre salvaguardato e, anche quando l'incompatibilità tra lei e Julien raggiunge l'acme dell'evidenza, tutti intorno a lei, il parroco, i genitori, le consigliano di mantenere salda l'unione.
Cresciuta con l'ideale di una famiglia perfetta, scopre che la realtà è diversa, non solo dovendo fronteggiare i propri problemi sentimentali, ma anche scoprendo vecchie lettere della madre che testimoniano una lunga relazione avuta dalla donna quando era già sposata. Sono indicative, rispetto agli effetti che tutto questo genera sulla ragazza, le sue parole al confessore, "tutti mentono, padre", "mi aspettavo un'altra cosa", che denunciano tutte le sue difficoltà con la vita reale.
Anche lei, in fondo, si adatterà a questo pragmatismo etico rifiutando di anteporre la verità a tutto ed evitando di portare alle estreme conseguenze la conoscenza delle relazioni di Julien, consapevole di poter causare solo altro dolore. E poco importa se, durante la confessione, il sacerdote le imputerà di far prevalere il peccato alla verità, tanto più che anche lo stesso religioso dimostrerà di non rispettare le regole impostegli dal ruolo che ricopre.
Jeanne passa la vita a vedere abbattere le proprie illusioni, ma nonostante tutto conclude che "la vita non è bella né brutta come si crede": in ogni situazione, anche nella peggiore, c'è qualcosa che può e deve darci la forza di trovare un nuovo entusiasmo...
Dopo La legge di mercato (2015), storia del dramma lavorativo di un uomo contemporaneo, Stéphane Brizé passa ad una tragedia ottocentesca virata completamente al femminile.
La regia segue costantemente la protagonista, il cui istinto di autodistruzione rimanda inevitabilmente a tante altre eroine femminili della letteratura romantica e, cinematograficamente parlando, all'autolesionismo antonomastico di Adele H. (Truffaut 1975). Il film, però, non alza mai i toni, ha una leggerezza che contrasta con il melodramma, una serena accettazione degli eventi, intriso di quella poesia e soprattutto di quella pacata lentezza degna di Eric Rohmer.
Anche i momenti più drammatici, come la morte violenta, vengono resi senza azione, con semplici immagini statiche, fotogrammi che si limitano a far cronaca, ad immortalare, per dirla con lo stesso Brizé, "le conseguenze delle cose, non il modo con cui si sono verificate". Ed è ancora più significativo che a quelle facciano da contrappunto dei campi vuoti, con il vento che passa tra le foglie degli alberi e tra le piante, testimonianza della vita che scorre, comunque, senza sosta...
Jeanne (Judith Chemla) è l'unica figlia dei baroni Le Perthuis di Vauds (Yolande Moreau e Jean-Pierre Darroussin). I tre vivono in una grande casa di campagna in Normandia, in una condizione di agiatezza garantita dalla proprietà di numerose fattorie sparse sul territorio. La loro vita, però, viene sconvolta dall'arrivo di Julien (Swann Arlaud), un giovane nobile rimasto orfano e spiantato a causa dei debiti di gioco contratti dal padre, a caccia di un matrimonio che possa dargli stabilità economica, e di cui, fatalmente, Jeanne si innamora ben presto.
La situazione familiare del ragazzo non dispiace alla mamma di lei, felice che la figlia possa rimanere lì con lei e il marito, autorizzando un matrimonio di questo tipo forse più per egoismo che per reale liberalità.
I due si sposano, ma dopo l'idillio iniziale, scoprono le profonde differenze di gestione del quotidiano (a Jeanne viene contestato persino l'uso della legna per il camino) e, a peggiorare le cose, si aggiungono i tradimenti di Julien. Dalla coppia nasce Paul, ma i problemi di Jeanne non finiscono e, anzi, prima il forzoso allontanamento della domestica Rosalie, con cui è cresciuta sin dall'infanzia, e poi la morte di marito e madre, la costringeranno a rimodulare continuamente le proprie abitudini di vita. Paul, nel frattempo, crescerà con pochissima voglia di fare e vivrà affidandosi completamente alle sostanze familiari e facendo leva sull'amore materno...
Nella vita di Jeanne tutto è forma e tradizione. Il matrimonio va sempre salvaguardato e, anche quando l'incompatibilità tra lei e Julien raggiunge l'acme dell'evidenza, tutti intorno a lei, il parroco, i genitori, le consigliano di mantenere salda l'unione.
Cresciuta con l'ideale di una famiglia perfetta, scopre che la realtà è diversa, non solo dovendo fronteggiare i propri problemi sentimentali, ma anche scoprendo vecchie lettere della madre che testimoniano una lunga relazione avuta dalla donna quando era già sposata. Sono indicative, rispetto agli effetti che tutto questo genera sulla ragazza, le sue parole al confessore, "tutti mentono, padre", "mi aspettavo un'altra cosa", che denunciano tutte le sue difficoltà con la vita reale.
Anche lei, in fondo, si adatterà a questo pragmatismo etico rifiutando di anteporre la verità a tutto ed evitando di portare alle estreme conseguenze la conoscenza delle relazioni di Julien, consapevole di poter causare solo altro dolore. E poco importa se, durante la confessione, il sacerdote le imputerà di far prevalere il peccato alla verità, tanto più che anche lo stesso religioso dimostrerà di non rispettare le regole impostegli dal ruolo che ricopre.
Jeanne passa la vita a vedere abbattere le proprie illusioni, ma nonostante tutto conclude che "la vita non è bella né brutta come si crede": in ogni situazione, anche nella peggiore, c'è qualcosa che può e deve darci la forza di trovare un nuovo entusiasmo...
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