giovedì 6 luglio 2017

Saluto a Paolo Villaggio (30/12/1932 - 3/7/2017)

Paolo Villaggio è morto dopo una vita estremamente più felice e di successo del suo Ugo Fantozzi, un successo che ha sempre amato e calvinisticamente rincorso; come Alberto Sordi ha raccontato e preso in giro la mediocrità dell'Italia figlia del boom economico.
Era nato a Genova da una famiglia dell'alta borghesia 84 fa, fratello gemello eterozigote di Piero, poi diventato professore di fisica alla Normale di Pisa, e dopo un'infanzia e un inizio dell'adolescenza segnati dalla guerra, abbandonò gli studi e lavorò come cameriere, speaker e cabarettista, fino a ritrovarsi al fianco di Fabrizio de' André, di cui era amico sin dal 1948, come intrattenitore sulle navi da crociera. I due rimasero legati anche in seguito, quando Paolo venne assunto dall'Italsider di Genova, impiego che fatalmente segnerà la sua carriera ma in tutt'altro campo...

L'amicizia con De Andrè, tra l'altro, portò alla realizzazione di due brani con i testi di Paolo e le musiche di Fabrizio, Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers e Il fannullone, usciti in uno stesso 45 giri nel 1963 e poi confluiti nell'album Nuvole barocche del cantautore ligure (1969). È curioso notare come i due brani per tematiche si avvicinino a due momenti fondamentali della carriera cinematografica di Paolo Villaggio. Se l'ambientazione medievale del secondo può essere connessa al primo film di successo a cui partecipò, Brancaleone alle crociate (Monicelli 1970), prosieguo del capolavoro del 1966, il primo è indubbiamente considerabile "il necessario fratello, quello che non si è piegato" di Fantozzi, la risposta silenziosamente anarchica ("non si risenta la gente per bene se non mi adatto a portar le catene") al sistema che stritola il ragioniere più famoso del cinema italiano.
Il binomio Villaggio-Fantozzi inizia nel 1971, con la pubblicazione del libro che aprirà una serie andata avanti per quarant'anni, così come la saga cinematografica, iniziata con i capisaldi Fantozzi (1975) e Il secondo tragico Fantozzi (1976), girati da Luciano Salce e che riprendevano, anche nei titoli, i primi due libri, proseguita con Fantozzi contro tutti (Villaggio-Parenti 1980) e, poi, con altri sette episodi, via via sempre più lontani dallo spirito cinico e ribelle iniziale (Fantozzi subisce ancora - 1983; Superfantozzi - 1986; Fantozzi va in pensione - 1988; Fantozzi alla riscossa - 1990; Fantozzi in paradiso - 1993; Fantozzi. Il ritorno - 1996: tutti diretti da Neri Parenti; Fantozzi 2000. La clonazione - Saverni 1999). 
Prima del successo di Fantozzi, Villaggio aveva esordito al Sette per Otto, un noto cabaret romano, su consiglio di Maurizio Costanzo, e dove ebbe tra i primi spettatori personaggi come Garinei e Giovannini, Ugo Tognazzi e Ennio Flaiano. Poi venne il successo radiofonico, con Il sabato del villaggio (1967), in cui l'attore raccontava le storie di un impiegato tragicomico, e quindi quello televisivo, con Quelli della domenica (1968), con i personaggi di Kranz, un mago scalcagnato e fallimentare con un buffissimo accento tedesco (lingua insegnata dalla madre di Villaggio), e Giandomenico Fracchia, un ragioniere vessato, che anticipa il più celebre Ugo, rispetto al quale però è più nevrotico e più vigliacco.
Come attore, però, non si è limitato a ruoli comici e dissacranti, ma ha interpretato film d'autore con Marco Ferreri in Non toccare la donna bianca (1974), con il quale avrebbe potuto girare anche La carne (1991), poi rifiutato e sostituito da Castellitto.  I due ruoli più rilevanti sono stati probabilmente quelli per Federico Fellini, con cui recitò la parte del prefetto Gonnella nella sua ultima pellicola, La voce della luna (1989), al fianco di Roberto Benigni, e per Ermanno Olmi, Il segreto del bosco vecchio (1993), che gli valsero il David di Donatello e il Nastro d'Argento. Tra i due gli venne assegnato nel 1992 il Leone d'oro alla carriera, nell'anno in cui interpretò il maestro Marcello d'Orta in Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmuller. 

Paolo Villaggio, però, è e sarà sempre soprattutto Ugo Fantozzi, a buon diritto una delle maschere del cinema italiano, erede di una comicità slapstick che ha origine con Mack Sennet, sfortunato come Buster Keaton o Paperino, non più appartenente di quel popolo che vive di espedienti, come Totò, ma membro peggiore del ceto medio che, frustrato dal mondo che lo circonda e oppresso dal capitalismo in ascesa, motivo per cui fu particolarmente amato nei paesi sovietici, tira i remi in barca.
Sono tantissime le sequenze e i luoghi della Roma anni '70-'80 che potrebbero essere citati per ricordare i migliori momenti Fantozzi: dalla primissima di tutta la serie, con il ragioniere murato da un tramezzo all'interno dei bagni del proprio posto di lavoro, la mitica ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica (in realtà il Palazzo della Regione sulla Cristoforo Colombo); all'autobus preso al volo dall'altrettanto famoso balcone che affaccia sulla tangenziale est della capitale, in zona Casilina; dal lotto di via Bodoni 79, a Testaccio, dove Fantozzi sale nel suo appartamento ossessionato dalla tv e dal potere del telecomando, e al cui angolo c'è anche il fornaio di cui s'innamora sua moglie Pina (quello impersonato da un giovanissimo Diego Abatantuono). 
E poi gli innumerevoli fallimenti, quelli amorosi con la signorina Silvani (Anna Mazzamauro); quelli sportivi, con le indimenticabili partite di calcio finite nel nubifragio con visioni mistiche, quelle di tennis scandite da uno dei tanti congiuntivi sbagliati della sceneggiatura, il "batti lei" del ragionier Filini; e l'immancabile salita in bicicletta "alla garibaldina". L'unico caso in cui Fantozzi eccelle in una disciplina, il biliardo, la punizione arriva puntuale nell'anziana mamma del direttore sconfitto che si invaghisce di lui. E come non citare la crocifissione in sala mensa da parte dei colleghi, simbolico ricorso iconografico al martirio per antonomasia, costante conclusione di ogni ribellione fantozziana.
Ugo Fantozzi, inoltre, è implacabile anche nei confronti del cinema, cosicché uno degli episodi entrati maggiormente nell'immaginario collettivo italiano resta il cineforum del professor Giulio Maria Riccardelli, che lo costringe a vedere La corazzata Potemkin, per l'occasione ribattezzata Kotiomkin, propinata agli impiegati durante uno storico Inghilterra-Italia, ma le cui sequenze in realtà vennero girate da Salce sulla scalinata romana di via delle Belle Arti.
Anche in questo caso la ribellione di Fantozzi dura poco e il nostro ragioniere, che guida persino la rivolta con tanto di basco in testa, dopo la fugace libertà distruttiva (come tutte le libertà di chi è stato sottomesso con l'imposizione), diverrà per contrappasso il poppante nella carrozzina durante la punizione organizzata dalla restaurazione: lo status quo viene ristabilito e i ribelli, che hanno distrutto la pellicola del film, sono obbligati ad interpretarne la scena madre! Molti cinefili si chiedono ancora oggi, quasi indispettiti, perché sia stato scelto il capolavoro di Ejsenstein (anche lui trasformato in Einstein) come simbolo di un certo intellettualismo della sinistra di allora, quello che fa gridare Fantozzi alla "cagata pazzesca", pur se ci sarebbero state ben altre pellicole, più lunghe e dal ritmo più lento, ma sembra chiaro che quel film e quella scena, che raccontano di una rivolta di marinai piegata con la forza dagli ufficiali, fosse quanto più adatto all'interno di una saga che con cinismo ha sempre narrato questo...
Voglio però chiudere con un ruolo che va aldilà di Fantozzi, forse il ruolo più "cattivo" della carriera di Paolo Villaggio, e sicuramente quello più profetico in assoluto, che lo vede nei panni del presentatore di un quiz nell'episodio Il disgraziometro, nel feroce capolavoro a più mani Signore e signori buonanotte (Comencini, Magni, Loy, Scola, Monicelli, 1976), con cui venne anticipato il futuro successo della televisione del dolore. In soli quattro minuti, con una parodia del perfetto presentatore alla Mike Bongiorno, che saluta con "malinconia" al posto dell'identitario "allegria", Villaggio si mostra sempre più raggiante alle tristi vicende dei suoi concorrenti, ricorda al pubblico che "la vostra felicità sono le disgrazie del vostro prossimo" ed esulta al finale clamorosamente grottesco della puntata.
Ciao Paolo!

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