La fotografia livida di Oleg Mutu, la scenografia essenziale di Katarzyna Sobanska-Strzalkowska e di Marcel Slawinski, l'asciuttezza della regia di Tomasz Wasilewski sono le principali caratteristiche di un film formalmente molto valido, eppure nel complesso non convince a pieno, forse perché resta piuttosto distante dallo spettatore e, in fondo, rischia di essere ricordato soprattutto come un esercizio di stile.
Il muro di Berlino è appena caduto e, in un quartiere suburbano di un'imprecisata città polacca, seguiamo le storie di quattro donne che hanno in comune amori insoddisfacenti e la residenza in un terribile agglomerato-dormitorio per gli operai della vicina fabbrica. Persino la chiesa sembra ricavata da una struttura dismessa dello stabilimento.
Marzena, Agata, Iza, Renata, le cui vicende si incrociano grazie ad una narrazione che passa da una all'altra attraverso sequenze che ne vedono in scena almeno due per volta, hanno una vita pubblica e una privata, come tutti. La mdp le segue entrambe senza soluzione di continuità e, soprattutto, senza pudori moralistici, evidenziandone, oltre ad una malinconia di fondo, le debolezze, le incoerenze e gli umanissimi cedimenti.
A completare questo quadro ironico contribuisce anche qualche inserto del regista, che ammicca al pubblico attraverso il dettaglio della locandina di Uccelli di rovo, con padre Ralph-Richard Chamberlain in bella mostra, che compare nella videoteca sui generis che Agata gestisce con Marzena, nella quale noleggiano videocassette pornografiche.
Iza (Magdalena Cielecka), bellissima ma dal volto triste, è una preside di scuola e frequenta, in un rapporto insoddisfacente e autolesionistico, un uomo da poco vedovo, già visto come cliente della videoteca di Agata. La figura di Iza è spesso associata allo specchio, una relazione che la rende automaticamente un'emanazione bergmaniana: la vediamo allo specchio mentre parla a telefono; fa sesso meccanico, davanti allo specchio di un bagno pubblico, con un giovane sconosciuto che si rivelerà essere un suo vecchio studente, il quale non mancherà di ricordarle, trionfante, "mi ha bocciato". È ancora Iza a rispondere seccamente alla sorella che le chiede se è felice con un "sì" così duro da dimostrare il contrario, confermato dalla successiva replica di Marzena, "anch'io", pronunciata tra le lacrime.
Proprio Marzena è l'oggetto dell'amore inconfessato e inconfessabile di Renata (Dorota Kolak), professoressa di scuola spinta al pensionamento dalla stessa Iza. Il suo goffo corteggiamento genera alcuni momenti comici e amari: penso allo sfogo contro la segretaria della palestra che non le permette di iscriversi al corso tenuto da Marzena ("vaffanculo tu e aprile!") e, soprattutto, all'espediente della caduta sulle scale inscenata per ottenere un primo avvicinamento con la ragazza. Renata è quindi legata a tutte le altre donne del film, compresa Agata, di cui ascolta attentamente i litigi col marito nell'appartamento soprastante.
La ritrosia di Marzena, naturalmente, trasformerà i sentimenti di Renata che inizierà a chiamarla "fottuta puttanella", ma l'amore tornerà presto in versione protettiva e premurosa, quando Renata si prenderà cura della giovane ragazza dopo la scena di sesso più fallimentare tra tutte quelle, pur non esaltanti, viste in precedenza: un fascinoso fotografo che, sedotto da Marzena, al sesso condiviso preferirà quello solipsistico sul corpo nudo della ragazza, nell'apoteosi dell'incomunicabilità relazionale che aleggia sull'intera pellicola di Wasilewski.
Tante le inquadrature a prospettiva centrale, in grado di conferire senso estetico persino allo spazio interno del palazzo in cui abitano le donne, centro narrativo nevralgico del film che così lo diventa anche dal punto di vista stilistico.
Contrasta con questa tendenza estetizzante, in cui rientra a pieno titolo anche il bel nudo diafano di Marzena, il crudo realismo della mdp, che trova la sua massima espressione nell'indugiare sui corpi vecchi e grinzosi di Renata e delle altre signore attempate e non più in forma nello spogliatoio della piscina.
La sequenza di Iza che si scontra verbalmente con la figlia del compagno, Viola, merita di essere descritta: il regista riprende dall'esterno le due mentre discutono animatamente nell'abitacolo, in quello che è probabilmente l'unico momento in cui la mdp resta discreta e non invade lo spazio privato dei protagonisti.
La rabbia della bambina, con la conseguente fuga dall'auto e la rincorsa sul lago ghiacciato da parte di Iza, ripresa con un'espressionistica camera a mano, fa della scena il capolavoro del film reso ancora più solenne dal suo silenzioso e inesorabile finale.
Tomasz Wasilewski è al suo terzo lungometraggio e nel suo film ci sono molte cose da salvare, per il futuro gli auguriamo riesca a coinvolgere maggiormente lo spettatore, cercando di annullare quello spazio che per ora lo separa algidamente dal suo cinema...
Marzena (Marta Nieradkiewicz) è sposata con un uomo che lavora in Germania e non vede mai, è una tonica insegnante di aerobica. A dimostrare che siamo a inizio anni '90 basterebbe I wanna dance with somebody di Whitney Houston (di cui Marzena ha anche un poster sopra il letto) che si sente durante una delle lezioni, praticamente l'unico inserto musicale dell'intero film.
Anche Agata (Julia Kijowska) è sposata e ha una figlia, ma è ormai palesemente stanca del suo matrimonio. Fa sesso sempre meno coinvolgente con il marito che è diventato una presenza noiosa verso il quale prova insofferenza. In questo stato di cose appare naturale il suo invaghimento per il giovane sacerdote di zona: seguirlo e vederlo nudo le ridà un'eccitazione che sorprende il marito e, allo stesso tempo, la sua infatuazione genera momenti divertenti che non necessitano di dialoghi, culminanti nell'accortezza nel vestirsi e truccarsi per il giorno della benedizione della casa, che ricorda gli eloquenti silenzi del miglior Kaurismaki.A completare questo quadro ironico contribuisce anche qualche inserto del regista, che ammicca al pubblico attraverso il dettaglio della locandina di Uccelli di rovo, con padre Ralph-Richard Chamberlain in bella mostra, che compare nella videoteca sui generis che Agata gestisce con Marzena, nella quale noleggiano videocassette pornografiche.
Iza (Magdalena Cielecka), bellissima ma dal volto triste, è una preside di scuola e frequenta, in un rapporto insoddisfacente e autolesionistico, un uomo da poco vedovo, già visto come cliente della videoteca di Agata. La figura di Iza è spesso associata allo specchio, una relazione che la rende automaticamente un'emanazione bergmaniana: la vediamo allo specchio mentre parla a telefono; fa sesso meccanico, davanti allo specchio di un bagno pubblico, con un giovane sconosciuto che si rivelerà essere un suo vecchio studente, il quale non mancherà di ricordarle, trionfante, "mi ha bocciato". È ancora Iza a rispondere seccamente alla sorella che le chiede se è felice con un "sì" così duro da dimostrare il contrario, confermato dalla successiva replica di Marzena, "anch'io", pronunciata tra le lacrime.
Proprio Marzena è l'oggetto dell'amore inconfessato e inconfessabile di Renata (Dorota Kolak), professoressa di scuola spinta al pensionamento dalla stessa Iza. Il suo goffo corteggiamento genera alcuni momenti comici e amari: penso allo sfogo contro la segretaria della palestra che non le permette di iscriversi al corso tenuto da Marzena ("vaffanculo tu e aprile!") e, soprattutto, all'espediente della caduta sulle scale inscenata per ottenere un primo avvicinamento con la ragazza. Renata è quindi legata a tutte le altre donne del film, compresa Agata, di cui ascolta attentamente i litigi col marito nell'appartamento soprastante.
La ritrosia di Marzena, naturalmente, trasformerà i sentimenti di Renata che inizierà a chiamarla "fottuta puttanella", ma l'amore tornerà presto in versione protettiva e premurosa, quando Renata si prenderà cura della giovane ragazza dopo la scena di sesso più fallimentare tra tutte quelle, pur non esaltanti, viste in precedenza: un fascinoso fotografo che, sedotto da Marzena, al sesso condiviso preferirà quello solipsistico sul corpo nudo della ragazza, nell'apoteosi dell'incomunicabilità relazionale che aleggia sull'intera pellicola di Wasilewski.
Tante le inquadrature a prospettiva centrale, in grado di conferire senso estetico persino allo spazio interno del palazzo in cui abitano le donne, centro narrativo nevralgico del film che così lo diventa anche dal punto di vista stilistico.
Contrasta con questa tendenza estetizzante, in cui rientra a pieno titolo anche il bel nudo diafano di Marzena, il crudo realismo della mdp, che trova la sua massima espressione nell'indugiare sui corpi vecchi e grinzosi di Renata e delle altre signore attempate e non più in forma nello spogliatoio della piscina.
La sequenza di Iza che si scontra verbalmente con la figlia del compagno, Viola, merita di essere descritta: il regista riprende dall'esterno le due mentre discutono animatamente nell'abitacolo, in quello che è probabilmente l'unico momento in cui la mdp resta discreta e non invade lo spazio privato dei protagonisti.
La rabbia della bambina, con la conseguente fuga dall'auto e la rincorsa sul lago ghiacciato da parte di Iza, ripresa con un'espressionistica camera a mano, fa della scena il capolavoro del film reso ancora più solenne dal suo silenzioso e inesorabile finale.
Tomasz Wasilewski è al suo terzo lungometraggio e nel suo film ci sono molte cose da salvare, per il futuro gli auguriamo riesca a coinvolgere maggiormente lo spettatore, cercando di annullare quello spazio che per ora lo separa algidamente dal suo cinema...
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