sabato 15 ottobre 2016

La parmigiana (Pietrangeli 1963)

Il settimo lungometraggio di Antonio Pietrangeli è uno di quei film per cui sono sufficienti pochi secondi di pellicola per riconoscerne l`autore. La parmigiana, infatti, tratto dall'omonimo romanzo di Bruna Piatti (1910-1979), è perfettamente inserito nella filmografia del suo regista, riprende motivi già affrontati e ne anticipa altri che si vedranno nelle pellicole successive.
La protagonista è una giovane ragazza, Dora (Catherine Spaak), che vive la vita con leggerezza, priva di quella morale da benpensanti che la circonda, e che in fondo tutti contravvengono. Questo, però, non toglie nulla alla sua capacità di amare e di soffrire come tutti. Già da questa breve descrizione è facile capire che Dora ha moltissimo in comune con l'Adriana-Stefania Sandrelli che due anni dopo sarà la protagonista di Io la conoscevo bene (1965).

Dora è nata a Parma, ha perso la madre quando era solo una bambina, del padre non sappiamo nulla; il suo tutore è lo zio sacerdote, don Camillo, da cui ha vissuto per un po', ma ora è tornata in città per trasferirsi da una coppia di amici di famiglia, Scipio (Salvo Randone), un uomo silenzioso che sembra aver abdicato da tempo alla felicità, e Amneris (Didi Perego), che considera Dora una seconda figlia e ogni volta che la guarda piange pensando alla mamma, una sua cara amica.
La prima sequenza del film mostra l`arrivo di Dora a Parma: la mdp la accompagna davanti al palazzo del Governatore in piazza Garibaldi, alla cattedrale e al battistero, in maniera del tutto simile a come seguirà Ugo Tognazzi l`anno dopo al centro di Brescia nella parte iniziale de Il magnifico cornuto (1964).
La pellicola ha un'intrigante struttura narrativa grazie alla quale, attraverso un montaggio che alterna presente e passato, lo spettatore conosce le due vite completamente diverse di Dora (non a caso bionda in una e mora nell`altra) e le segue finché i numerosi flashback raggiungono quello che per lo spettatore era stato l'inizio della vicenda.
Nella prima, dopo essere fuggita a Riccione con Giacomo (Vanni De Maigret), un giovane seminarista in preda ad una crisi di vocazione che l'abbandona presto, scopre che la sua bellezza può permetterle di sfruttare la corte degli uomini a proprio vantaggio e superare le difficoltà economiche; nella seconda è invece una perfetta ragazza di provincia, passa le sue serate con gli zii, a casa, in gelateria e qualche volta va a ballare in un locale dove Scipio suona la tromba, mentre Amneris pensa di poterle dare preziosi consigli sui rapporti di coppia...
Gli uomini che a Riccione si propongono di aiutare Dora sono laidi e biechi, dall'albergatore che le fa credito nella speranza di ottenere qualcosa in cambio, al passante che le offre di regalarle un bikini a patto che lo indossi davanti a lui. Con Nino Meciotti (Nino Manfredi), un giovane fotografo spiantato, va diversamente: lui la avvicina solo perché uno dei suoi clienti, un ingegnere restio alle sue proposte pubblicitarie (Umberto d`Orsi), non riesce a staccarle gli occhi di dosso in una sequenza divertente, in cui Nino le impone il nome Silvana, per dimostrare di conoscerla da tempo. Dora dovrà diventare il volto nuovo per la pubblicità dell'imprenditore di turno, ma quando la situazione si complica sbotta con entrambi...
A Parma invece si innamora di lei un poliziotto siciliano, Michele Patanò (Lando Buzzanca), un ragazzo tradizionalista oltre ogni immaginazione, goffo e imbranato, che non può nemmeno immaginare il passato di Dora, un passato su cui Pietrangeli non indugia e che con pochi dettagli suggerisce essere non troppo diverso da quello di Adua e le compagne (1960).
La parmigiana, però, non solo ha forti punti di contatto con la filmografia del suo autore, ma dimostra di essere pienamente all'interno della stagione d'oro della commedia italiana grazie ad alcuni elementi che fatalmente si ritrovano altrove. Nino è sì un fotografo, ma ha l'ossessione degli slogan pubblicitari, come il Luciano-Ugo Tognazzi copywriter de La vita agra (Lizzani 1964); Amneris non perde occasione pubblica per sparlare dei concittadini, un luogo comune della vita in provincia che negli anni immediatamente successivi sarà alla base di altri capolavori, dello stesso regista (Il magnifico cornuto1964) e non (Signore e signori, Germi 1965).
La sceneggiatura, scritta da Pietrangeli insieme a  Ruggero Maccari, Ettore Scola e Stefano Strucchi, è davvero bellissima, e le battute taglienti e d'impatto sono ben distribuite tra i personaggi, tutti perfettamente delineati.
Amneris è una donna disincantata e qua e là mostra tendenze che esulano dall'idea di moglie fedele imprescindibile, almeno in superficie, nei piccoli centri. Basta, così, una semplice domanda di Dora su eventuali tradimenti per farla balbettare; ha una malcelata eccitazione quando un ragazzo le chiede di ballare; flirta e fa la ritrosa con un paziente allettato da cui lavora come infermiere; sottolinea continuamente al marito quanto la loro relazione abbia perso la passione e, a tratti, sembra volerlo scuotere persino incuriosendolo con il corpo di Dora. Il suo cinismo traspare nelle sue frasi, tra cui non può essere tralasciata quella con cui abbatte ogni tipo di impiego che prevede molti spostamenti: "Non si lavora mica viaggiando, sono tutte invenzioni della gente che c'ha tanti soldi"; e poi, naturalmente, quelle con cui si mostra una donna di mondo, dalle tante esperienze, con la pretesa di insegnare a Dora - che in realtà ne sa molto più di lei - come comportarsi con i rappresentanti dell`altro sesso: "l'uomo va sempre incoraggiato, discretamente s'intende"; "la tranquillità è l'uomo, piova o nevichi il 27 arriva tutti i mesi... bè certo, ci vuole anche l'amore: ma l'amore presto o tardi, se non c'è viene e se c'è se ne va".
Scipio è palesemente intrigato da Dora e alterna momenti in cui l`allontana per evitare la tentazione ad altri in cui, invece, vorrebbe avvicinarla, in un continua lotta interiore che non fa che aumentare la sua repressione, un sentimento che Salvo Randone traduce perfettamente con la sua recitazione.
Nino è il tipico romano che la commedia italiana ha contribuito a cristallizzare: bugiardo e sornione come un personaggio di Alberto Sordi, vigliacco come uno di quelli interpretati da Franco Fabrizi, non raggiunge mai i loro estremi, soprattutto grazie alla dolcezza del volto e delle espressioni di Manfredi. Usa termini romaneschi come sbiosse (50.000 per la precisione, quelle che gli servono per comprare il "grandangolare"), sgarato, bucio, che mettono in difficoltà Dora, mentre i suoi sotterfugi sono anche dimostrazioni di affetto sincero, come quando le compra il cibo dalla negoziante con cui ha una relazione (ma nessuna sa dell`altra) e dice di aver già mangiato, o finge entusiasmo ma la mdp inquadra un cappio pronto per l`uso che la ragazza non può vedere e noi sì.
Anche lui ha una serie di battute eccezionali: quando Dora si infuria dandogli del "ruffiano", prima l'asseconda, gridando in faccia a quello che fino a poco prima era un suo potenziale cliente "è colpa mia si nun c'è voluta sta? È segno che je fai schifo, no?" e poi la rincorre in spiaggia, dove recita uno splendido monologo in cui spiega a suo modo la situazione contingente - "è colpa mia se a quello je piacevi te? Se je piacevo io, guarda ce restavo pure" -, ma anche quella più generale che lo fa sentire uno dei pochi a non godere del benessere economico del momento: "a tutti va l'acqua per l'orto! Er boom, er miracolo italiano... sarà perché nun vado in chiesa".
Dora, affacciata dal terrazzino del suo appartamento romano su via del Babuino, gli chiede: "Ma qui a Roma suonano sempre tante campane?"; la risposta è da perfetto copywriter anticlericale: "e per forza, so' diecimila chiese e le campane so' la pubblicità della Chiesa, no? Eh, un'idea gagliarda che funziona da duemila anni, roba de milioni".
A Nino, inoltre, la sceneggiatura riserva anche un altro bel monologo paradossale sulle gioie della vita in prigione: "sai, uno fòri deve trotta' dalla mattina alla sera, telefonate, appuntamenti, umiliazioni... qua a bottega nun te dice niente nessuno, fai come te pare, se vòi saluta' saluti e sennò no; poi magari se fa poco moto, ma tanto mica se ingrassa, o vedi? E poi se conosce gente, se fanno amicizie che un domani possono pure servì, pe' lavoro".
Dora dà il meglio di sé quando cerca di dissuadere Michele - probabilmente il personaggio che più degli altri è ridotto a stereotipo - dal suo ostinato corteggiamento: quando continua a vederlo sotto casa, immobile, con le gambe a compasso, poggiarsi sull'ombrello, prorompe in un "sembra il tre di bastoni"; quando lui le rivela di sentire di aver trovato l'anima gemella, gli risponde con un perentorio "avrà sentito male, continui a cercare"; e così diventa sboccata per dimostrare di non essere il suo modello ideale, "Giacomo è quello che mi ha fatto la festa!", concetto ribadito da una frase ancora più diretta: "a letto ti faccio comodo così come sono, ma in piazza vuoi la signora".
Anche la regia è molto buona e Pietrangeli usa la mdp in maniera magistrale: nelle prime scene i volti di Giacomo e Dora vengono ripresi come avrebbe fatto Bergman, giocando tra profilo e visione frontale su piani sovrapposti; i flashback, che come visto sono frequenti e hanno pari dignità del filone narrativo principale, sono introdotti da semplici panoramiche che spostano l`azione nel tempo e nello spazio senza cesure, in modo da rendere tutto più fluido.
Un'ultima curiosità, la presenza di Mario Brega, peraltro doppiato da Ferruccio Amendola, in un piccolo ruolo da "questorino", e infine la colonna sonora, sempre fondamentale nei film del regista romano. Le musiche originali di Piero Piccioni sono intervallate dalle canzoni del momento: da Katarina dell'italo-americano Perry Como a Cuando calienta el sol  degli italianissimi Los Marcellos Ferial; da Selene di Domenico Modugno (nel film è inserita una cover del brano) ad Amore twist di Rita Pavone).
Inevitabile chiudere le riflessioni su questo film con l`immagine di Dora che dopo aver pianto si specchia in una vetrina e si rifa il trucco, un semplice gesto che potrebbe essere letto come una summa dei ruoli femminili nel cinema di Pietrangeli: donne forti, indipendenti, lontane dalla morale comune, e non per questo anaffettive o incapaci di soffrire, ma sempre pronte a rialzarsi e a ricominciare, donne di cui è davvero difficile non innamorarsi...

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