sabato 3 settembre 2016

Il clan (Trapero 2015)

Prodotto da Agustín Almodovar, che l`anno prima si era occupato di Storie pazzesche (Szifrón 2014) insieme al fratello maggiore e più celebre Pedro, il film di Pablo Trapero, Leone d`argento alla regia a Venezia 2015, è un'opera che va assolutamente vista, e non solo per il suo valore cinematografico quanto per la sua caratteristica di documento storico e politico.
Il regista argentino a soli quarantacinque anni è già al suo ottavo lungometraggio - il primo è stato Mondo Grua (1999) - ed è naturale che i suoi ricordi della dittatura militare nel suo paese (1976-1983) siano legati alla televisione, che all'inizio della pellicola, infatti, ci mostra filmati d'epoca che segnano il passaggio dei tempi, da Videla a Galtieri fino alla sconfitta delle Malvinas e il ritorno della repubblica con l`elezione di Raul Alfonsin.

La storia narrata da Trapero, tratta da un terribile fatto di cronaca, inizia nel 1985, quando la polizia scoprì l'attività criminale di Arquimedes Puccio (Guillermo Francella) che, con la connivenza dei suoi familiari - il clan del titolo -, mise in atto una serie di rapimenti sotto la copertura del potere militare, per arricchirsi in anni di confusione politica, sfruttando quello che fino ad allora aveva fatto come agente dei servizi segreti contro i nemici del regime. E poi, attraverso un lungo flashback che di fatto dura per l'intero film, ci racconta quello che avvenne in casa Puccio nei tre anni precedenti, tra sequestri, riscatti, omicidi e tanto silenzio.
Gli ideali di Puccio vengono subito sintetizzati dalla mdp che inquadra il suo studio, disseminato di simboli religiosi, nazionalisti e militari, mentre il protagonista batte a macchina una lettera su carta intestata Fronte Liberazione Nazionale. Lo sguardo di Francella, con degli occhi alla Christopher Lee, completa il quadro, senza bisogno di troppe parole, capacità sempre meno nota ai registi delle ultime generazioni. L'attore, che pure viene dalla commedia, è protagonista di una prova maiuscola e la sua rigida e algida fermezza in ogni momento della storia lo rendono perfetto per l'incarnazione di un personaggio negativo oltre ogni immaginazione.
Puccio si avvale soprattutto della collaborazione del suo secondogenito, Alejandro, che tutti chiamano Alex (Juan Pedro Lanzani), campione di rugby, sport della società bene, che frequenta molti rampolli delle famiglie più ricche di Buenos Aires... quelle che possono pagare gli alti riscatti chiesti da Arquimedes che, però, per non rischiare, dopo aver incassato, fa comunque uccidere le sue vittime.
La cosa più aberrante è come tutto questo avvenga in casa, dove la moglie Epifanìa (Lili Popovich) sembra voler coccolarsi i propri figli, altri quattro oltre Alex, senza curarsi troppo dell'attività del marito, che le garantisce di continuare a mantenere l'alto tenore di vita, e poco importa se il primogenito Maguila (Gastón Cocchiarale) è lontano da anni, se il terzo maschio, Guillermo (Franco Masini), approfitterà di un viaggio per non tornare più, e se delle due femmine, Silvia e Adriana (Giselle Motta e Antonio Bengoechea), la minore inizia a non tollerare le urla che vengono dalla cantina in cui le dicono che il padre "sta lavorando".

La scena madre del film è un altro pezzo di bravura: un unico piano-sequenza, degno di un horror, in cui Puccio dimostra di essere un marito amorevole aiutando la moglie in cucina, un padre attento che redarguisce un figlio scompostamente seduto sul divano, avverte una figlia che la cena è quasi pronta, chiama a raccolta l'intera famiglia per l'importante momento di condivisione, che naturalmente inizierà con una preghiera, ma nel frattempo porta del cibo ad uno dei sequestrati, rinchiuso nel bagno, incatenato e incappucciato.
La 'normalità' della vita borghese prosegue senza scossoni, mentre l'inferno è nella stanza accanto!
Oltre a questa sequenza da manuale, non a caso scelta anche per l'agghiacciante trailer, Trapero sfrutta spesso la messa a fuoco, selezionando ciò che gli interessa evidenziare tra primo e secondo piano e dimostra di saper usare anche il montaggio (insieme ad Alejandro Carrillo Penovi), alternando il primo rapporto sessuale tra Alex e Monica (Stefania Koessl), la sua nuova ragazza, con uno degli omicidi del padre: eros e thanatos contrapposti sono un tema abusato, ma l'apparente violenza passionale dell'amplesso consumato in auto in contrasto con la freddezza della violenza reale rendono la scena un altro bel brano del film.
Infine, la già citata capacità di Trapero di raccontare attraverso le immagini torna spesso e in particolar modo quando, per sintetizzare il disagio di Alex sempre più in difficoltà nel collaborare con il padre, il regista lo mostra nel suo negozio di articoli sportivi mentre prova una bombola per le immersioni, in una simbolica corrispondenza tra il bisogno di libertà e il bisogno di ossigeno come reazione a quella incredibile asfissia domestica.
Merita qualche parola anche la bella colonna sonora che, come è stato sottolineato, con i suoi pezzi anglofoni, rende la pellicola più internazionale, un elemento da non giudicare negativamente, ma anzi, possibilità di integrare tematiche rilevanti per il mondo intero con una cultura pop che aiuta a fargli varcare i confini nazionali.
La narrazione montata insieme a questi brani dà al film una connotazione scorsesiana che non guasta affatto: basti qui citare, oltre a pezzi argentini come Wadu Wadu dei Virus (1981), Sunny Afternoon dei Kinks (1966), Tombstone Shadow dei Creedence Clearwater Revival (1969), Into each life some rain must fall (Ella Fitzgerald) e, soprattutto Just a Gigolo (David Lee Roth), le cui note spensierate fanno da contrappunto ad uno dei rapimenti, in un contrasto tra video e sonoro degno di Quei bravi ragazzi.
Non perdetelo!

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