venerdì 16 settembre 2016

Un maledetto imbroglio (Germi 1959)

In una struttura circolare, aperta e chiusa dalle note di Sinnò me mòro cantata da Alida Chelli, il film racconta, in un libero adattamento, Quel pasticciaccio brutto de via Merulana, romanzo che aveva avuto un enorme successo sin dalla pubblicazione in cinque puntate del 1946 e poi in un volume unico nel 1957. 
Anni '50 (e non durante il Ventennio), piazza Farnese (e non via Merulana, appunto), in uno dei palazzi che fronteggiano l`edificio rinascimentale che le dà il nome, avviene un furto: sentiamo spari e urla dei condòmini, seguite dalla fuga di un ragazzo (guarda il film)...

L'arrivo del commissario Ingravallo e dei suoi assistenti segna l'inizio delle indagini, che si svolgono a partire dal grande scalone gremito di testimoni o di semplici persone curiose, i cui volti e le cui reazioni sono attentamente colte da belle inquadrature che li riprendono da diverse angolazioni. 
La confusione, il vociare, le pareti sghembe dello scalone, fanno pensare a Orson Welles e ad alcuni momenti simili de Il processo, che però uscirà tre anni dopo. Un maledetto imbroglio può davvero aver influenzato un film ben più celebre come quello? Chissà... quello che è certo è che i due hanno in comune la derivazione da due grandi romanzi gialli e da due capolavori dei rispettivi autori, Kafka e Gadda.
I personaggi e gli attori. Ingravallo è interpretato dallo stesso Pietro Germi, perfetto nei panni di un commissario taciturno, solitario e molto malinconico, con un`evidente simpatia per Assuntina (Claudia Cardinale), la bella domestica di casa Banducci, fidanzata del primo sospetto, il giovane elettricista Diomede Lanciani (Nino Castelnuovo), che spesso arrotonda con espedienti illeciti. I Banducci abitano nell`appartamento di fronte a quello del derubato, il signor Anzaloni (Ildebrando Santafe), che vive solo e non vuole pubblicità, anche perché sembra affannarsi senza successo a nascondere un`omosessualità, di cui peraltro tutto il vicinato dà la sensazione di essere a conoscenza. 
Liliana Banducci (Eleonora Rossi Drago) è una donna nobile e ricca che non ha mai superato il trauma di non aver avuto figli, un dolore che tenta di mitigare accogliendo domestiche giovanissime a cui fa da madre e che aiuta anche economicamente, una pratica che il parroco dei Quattro Santi (sic! Rosolilno Bua)  giustifica con una frase che pretende di riassumere la vita coniugale della donna: "un matrimonio senza figlioli è come una minestra lasciata in credenza, diventa acida".
Remo Banducci (Claudio Gora) è una figura misteriosa ed ambigua, caratteristiche acuite dai suoi contatti con l'ancora più obliquo cugino di Liliana, il sedicente medico Valdarena, ruolo che sembra tagliato addosso a Franco Fabrizi, la cui carriera è costellata di una ricca teoria di uomini vigliacchi, infingardi e smidollati. Resta infine uno dei personaggi più riusciti del film, il collaboratore di Ingravallo, il maresciallo Saro, interpretato da Saro Urzì, che usa spesso le mani per schiaffeggiare il prossimo, in una sorta di Piedone-Bud Spencer ante litteram, e al quale la sceneggiatura riserva le battute più divertenti: di fronte all'affermazione che la vittima è morta a "37 anni portati bene, eh?", risponde con un fantastico "portati poco, poveraccia"; allo stesso modo non può esimersi dal dire al garzone del macellaio, che spesso fa le consegne nel palazzo, "tu lo conosci il commendator Anzaloni, eh?", alludendo alla vita sessuale dell'uomo, che naturalmente compare immediatamente dietro di lui; entra in sfida con quella che ritiene "concorrenza" - "ce devono frega' proprio i carabinieri?" - ed è sempre lui, infine, ad essere protagonista di una divertente citazione cinematografica, quando fischietta il celebre motivo de Il terzo uomo (Reed 1949) suscitando uno dei pochi sorrisi di Ingravallo. 
Germi gira con la consueta bravura e lo si capisce sin da subito, con il bellissimo carrello all'indietro, che dall'interno dell'androne dell'edificio che dà sulla piazza, di cui vediamo una delle fontane e parte di palazzo Farnese, retrocede fino al cortile e sale verso lo scalone, per il momento cruciale su cui verterà tutto il resto della storia. L'abilità del regista sembra trovare il suo luogo preferito all'interno di quello scalone, dove realizza le belle inquadrature già descritte, ma anche un'ellissi da manuale, quando orienta la mdp verso l'alto per mostrare una lanterna prima spenta che, accesa subito dopo, gli serve ad indicare il passaggio del tempo e lo spostamento dell'azione dal giorno alla sera. Tra le altre, infine, è decisamente riuscita, anche se di tutt'altra tipologia, la sequenza grottesca ambientata in una tipica "fraschetta" dei Castelli romani, che vede protagonista Camilla "la beduina" - altro capolavoro linguistico di Saro che ribattezza così la ragazza solo perché dedica molto tempo all'elioterapia ("io non so che gusto ce troverete a diventa' neri come beduini") - e la gelosa Zumira, con le due donne che si accapigliano e quest'ultima che si toglie la sua protesi dentaria ostentandola, come prova dell'amore di un uomo nei suoi confronti! 

Veniamo infine ad una piccola sezione storico-artistica che fa da corredo ad una scenografia incentrata sul contrasto tra interni di alto livello sociale, come gli appartamenti dei Banducci e di Anzaloni, e quelli popolari, la casa di Diomede, le locande e soprattutto gli uffici del commissariato. 
Ed è proprio qui, dietro la scrivania di Ingravallo, che si scorgono stampe de La battaglia di San Romano di Paolo Uccello e del San Michele abbatte Satana di Guido Reni, forse con la funzione di ingentilire un luogo così anonimo come quello e di fornire qualche dettaglio in più sulla personalità del commissario protagonista. Diverso il discorso per casa Banducci, in cui arazzi, porcellane e sculture informano della ricchezza dei padroni e che proprio all'ingresso ospita anche un'incisione raffigurante Giuditta con la testa di Oloferne.
Germi con il proliferare di questi elementi sembra voler provare ad entrare ancor più in sintonia con il testo di Gadda, che fa spesso riferimento a opere d'arte, ma è un'ironica coincidenza che il recente e ponderoso commento di Maria Antonietta Terzoli sul romanzo di Gadda (2015) dedichi all'argomento una sezione intitolata proprio "Commento iconografico" e, ancora di più, che citi proprio una Giuditta e Oloferne, quella celeberrima di Caravaggio (Galleria Nazionale d'Arte Antica - Palazzo Barberini), come chiave della descrizione della "ruga verticale tra le sopracciglia" per il volto di Assuntina...
Certamente, nel film, il personaggio interpretato da Claudia Cardinale cita una famosa opera cinematografica: quando corre verso l'automobile con il suo compagno, si muove e urla Diomede nello stesso modo - e in un controparte che sembra studiato - in cui si muove e urla Francesco Anna Magnani in Roma città aperta...

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