Due soldati, ripresi dall'alto, appena sbalzati da una granata, si ritrovano abbracciati uno all'altro; le loro diverse uniformi sono rese indistinguibili dalla terra che li ha ricoperti...
Non è la messa in immagini de La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè, anche se ne sarebbe una perfetta traduzione, ma la scena centrale dell'ultima, bellissima opera di François Ozon. Una storia di dolore, sulla perdita, sulla rielaborazione della stessa e, soprattutto, sul valore e il senso della verità.
Nulla è esattamente come sembra, la menzogna è semplice vigliaccheria o l`unica via per far stara bene tutti, a patto che ci sia qualcuno pronto a sostenerne il peso e le conseguenze?
Nulla è esattamente come sembra, la menzogna è semplice vigliaccheria o l`unica via per far stara bene tutti, a patto che ci sia qualcuno pronto a sostenerne il peso e le conseguenze?
Tratta da un testo di Maurice Rostand, già portato sullo schermo da Ernst Lubitsch nel 1932 (Broken Lullaby), la pellicola del regista francese, per tanti versi più vicina al cinema di Hitchcock e Haneke (anche la musica di Philippe Rombi ricorda più volte le atmosfere di Bernard Herrmann), è un'elegia del relativismo, da intendere come confronto con l'altro e come assenza di posizioni giuste a priori.
Un giorno incontra un giovane francese al cimitero. Si chiama Adrien Rivoire (Pierre Niney) e conosceva Frantz...
Tutti gli attori, sostenuti da un`ottima sceneggiatura, funzionano alla grande, ma merita un discorso a parte la magnifica interpretazione di Paula Beer, che si è giustamente aggiudicata il premio Mastroianni alla mostra di Venezia.
Ozon le ha ritagliato un ruolo davvero eccezionale e la bella attrice tedesca, appena ventunenne, lo ripaga riuscendo a comunicare allo spettatore un'incredibile gamma di sentimenti e caratteristiche che alterna per tutta la durata della pellicola, di cui è la protagonista assoluta: tristezza, malinconia, gioia, sorpresa, gelosia, decisione, dolcezza, rigidità, debolezza, e tanto altro, affiorano sul suo volto in maniera sempre molto convincente.
La regia è impeccabile: si muove in un algido bianco e nero che qua e là trova il colore, mai per caso, e regala inquadrature ben congegnate e di grande purezza, col contributo della fotografia di Pascal Marti.
Diversi i momenti che restano nella mente dopo l`uscita dal cinema, oltre alla poetica scena di trincea già descritta. Adrien, per esempio, riflettendosi allo specchio, vede al posto della propria immagine quella di Frantz, in un motivo che dal mito di Narciso passa per Dorian Gray e, con le dovute differenze, per Biancaneve. Anna e Adrien passeggiano parlando di Frantz in un luogo stupendo, tra alberi, radure e un lago in cui il ragazzo francese si tuffa per un bagno privo di pudori che ne accentua la distanza dal mondo in cui ha sempre vissuto la protagonista. Anna viaggia verso Parigi e il finestrino del suo scompartimento riflette le distruzioni della guerra, che si fondono col suo volto; il suo peregrinare per la città alla ricerca di Adrien la rende incredibilmente simile alla Isabelle Adjani di Adèle H (Truffaut 1975) e, quando a teatro, durante Sherazade, usa un binocolo per identificarlo tra i violinisti, la nostra memoria rimanda automaticamente a Senso (Visconti 1954) e a L`età dell`innocenza (Scorsese 1993).
E poi, si pensi alle due sequenze gemelle, in cui prima i tedeschi a Quedlinburg e poi i francesi a Parigi brindano ai propri caduti sulle note di inni e canti nazionalistici. Toccante, nel primo caso, la giustificazione che Hans è costretto a dare agli amici per aver accolto un francese in casa, con la quale si assume la responsabilità di quanto accaduto, dichiarando di aver spinto suo figlio ad andare al fronte, come hanno fatto tutti da entrambe le parti... "siamo i padri che brindano alla morte dei propri figli" è il suo grido di dolore e di colpa.
Diversi i momenti che restano nella mente dopo l`uscita dal cinema, oltre alla poetica scena di trincea già descritta. Adrien, per esempio, riflettendosi allo specchio, vede al posto della propria immagine quella di Frantz, in un motivo che dal mito di Narciso passa per Dorian Gray e, con le dovute differenze, per Biancaneve. Anna e Adrien passeggiano parlando di Frantz in un luogo stupendo, tra alberi, radure e un lago in cui il ragazzo francese si tuffa per un bagno privo di pudori che ne accentua la distanza dal mondo in cui ha sempre vissuto la protagonista. Anna viaggia verso Parigi e il finestrino del suo scompartimento riflette le distruzioni della guerra, che si fondono col suo volto; il suo peregrinare per la città alla ricerca di Adrien la rende incredibilmente simile alla Isabelle Adjani di Adèle H (Truffaut 1975) e, quando a teatro, durante Sherazade, usa un binocolo per identificarlo tra i violinisti, la nostra memoria rimanda automaticamente a Senso (Visconti 1954) e a L`età dell`innocenza (Scorsese 1993).
Ma si diceva di Haneke e Hitchcock... Adrien, malvisto dai tedeschi per la sua nazionalità, non solo viene apostrofato come "mangialumache" durante una festa, ma riceve un pacchetto con una piccola bara in legno, in una scena degna del regista austriaco. Questo, però, non è l`unico oggetto-dispositivo della pellicola, in cui si segnalano il violino, strumento suonato sia da Frantz che da Adrien, e un dipinto, il Suicidio di Edouard Manet (1877-81), descritto dalla sceneggiatura come "giovane uomo pallido con testa all'indietro", che appare più volte durante la storia e permette ad Ozon di girare una sequenza magnificamente hitchcockiana.
Oltre ad ingannarci ancora, persino sul luogo di conservazione della tela, oggi nella Fondazione Bührle di Zurigo e mai stata al Louvre, dove invece lo mostra la pellicola, il regista francese, infatti, mette in scena quello che potremmo ribattezzare L'uomo che visse due volte... forse tre! Nell'ultima eccezionale sequenza, in cui per l'ultima volta il bianco e nero trapassa significativamente al colore, la storia si arricchisce di un finale aperto, di un nuovo inizio grazie ad un semplice e paradossale scambio di battute: "anche a lei piace questo dipinto?" "mi dà voglia di vivere". Formalmente perfetta, la scena costituisce il completo ribaltamento dei ruoli rispetto al capolavoro di Hitchcock, tutto è lì, dipinto compreso, seppur con un diverso soggetto;, resta un'unica grande e inevitabile differenza: non vi affannate a cercare uno chignon vorticosamente avviluppato poiché non ce n'è traccia! Capolavoro.
Nel cinema francese non c'è dunque solo la commedia. Questo gran capolavoro di Ozon ci presenta una cinematografia dei cugini d'oltralpe ben viva e vegeta molto diversa purtroppo da quella nostra che non da' segnali di ripresa.
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