lunedì 28 marzo 2016

Land of mine - sotto la sabbia (Zandvliet 2015)

Un film dal profondo taglio psicologico, incentrato sull'orrore che la guerra lascia dopo la sua fine e fondato su un'inversione di prospettiva, di certo l'idea più innovativa della storia.
Dei giovanissimi soldati tedeschi, infatti, arruolati come nazisti poco prima della vittoria degli alleati, sono prigionieri dell'esercito danese, che li destina a "ripulire" le coste che i loro predecessori hanno disseminato di mine nella convinzione che i nemici sarebbero sbarcati lì invece che in Normandia.
Raramente (mai?) nella storia del cinema degli ultimi 70 anni lo spettatore si è ritrovato in sala e ha provato simpatia per soldati tedeschi che improvvisamente sono vittime e non carnefici come in questo in caso.
Il loro lavoro è percepito come vendetta dai soldati danesi, che non considerano quei ragazzi come individui ma esclusivamente come mezzo per disinnescare 45 mila mine ad una media di 6 l'ora per tre mesi.
Il sergente Carl Theodor Rassmussen, a cui viene affidato il gruppo di adolescenti, inizierà il suo rapporto con loro ribadendo proprio questo - "i tedeschi qui non sono la priorità" -, ma con il tempo si affezionerà a loro, alle loro vite e alle loro speranze.

Detto questo, il film, fatta eccezione per qualche bella inquadratura con la fattoria in cui sono rinchiusi di notte i ragazzi che si staglia nel paesaggio circostante, non regala spunti di grande cinema e si adagia su cliché abbastanza prevedibili, che alternano atroci morti dei ragazzi nei momenti in cui la tensione sembra scemare (ma dopo la prima volta riproporre sistematicamente questo schema, lo rende vano e scontato); sequenze in cui alcuni di loro pensano al futuro in Germania - i due gemelli Werner e Ernst vogliono lavorare come muratori per ricostruire il Reich distrutto, altri immaginano il ritorno a casa e, perché no, un pranzo a Berlino tutti insieme; o l'immancabile bambina che passeggiando si ritrova proprio nella zona minata a giocare con la sua bambola, e il cui salvataggio fa mutare opinione su quei ragazzi tedeschi alla madre che fino ad allora li aveva guardati in cagnesco.
Su tutti, però, la partita di calcio con i prigionieri - come non pensare a Mediterraneo (Salvatores 1991)? - organizzata dallo stesso sergente, ormai diventato qualcosa di simile ad un 'datore di lavoro' illuminato che concede pause e diritti ai suoi dipendenti. Un film bellico che si trasforma ne L'attimo fuggente (Weir 1989), con Rasmussen che, per difendere "i suoi ragazzi", arriverà persino a scontrarsi con il suo superiore, un gelido generale privo di scrupoli che si comporta come ci aspetteremmo da un gerarca nazista, nell'ennesimo ribaltamento di prospettiva del film.
Un rimando ben più intrigante, infine, è quello che porta a L'uomo di Alcatraz (Frankenheimer 1962), quando vediamo Werner con una gabbietta, proprio come l'assassino interpretato da Burt Lancaster nel celebre precedente, anche se il giovanissimo soldato si affeziona ad un topolino e Robert Stroud agli uccelli.
Sui titoli di coda colpiscono i numeri, 2000 ragazzini tedeschi morti per disinnescare un milione e mezzo di bombe, un dato che riporta ad una realtà terribile che conferma il valore di testimonianza storica del film, un importante merito, indubbiamente, ma che non contribuisce a rendere memorabile la pellicola.

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