Un
piccolo gioiello a metà tra cinema e teatro.
Tratto
dall’omonima pièce di Luigi
Pirandello, arricchito dalla bella colonna sonora di Astor Piazzolla e,
soprattutto, dalle interpretazione di attori del calibro di Marcello
Mastroianni e Claudia Cardinale su tutti, l’Enrico
IV di Bellocchio è un film dal
fascino indiscutibile.
Anni
’60: un gruppo di nobili e altoborghesi, in occasione di una festa di carnevale, è coinvolto in una cavalcata in abiti medievali. Enrico (Luciano
Bartoli e Marcello Mastroianni), però, dopo una rovinosa
caduta da cavallo, dimentica la finzione ed è convinto di essere davvero Enrico
IV di Germania (1050-1106). Da allora tutti gli altri lo aiutano a
mantenere in vita la sua realtà differita e assecondano la sua pazzia, ancora oggi, a metà degli anni ‘80…
Bellocchio
gioca con i tempi della narrazione, sfruttando così l’unica possibilità di
dinamismo in un film così legato alla messa in scena teatrale. È per questo che
i primi minuti della pellicola risultano stranianti, poiché mostrano allo
spettatore alcuni personaggi che in auto stanno raggiungendo il castello in cui
vive Enrico e solo attraverso i loro racconti, tramite dei flashback, veniamo a conoscenza della vicenda principale, accaduta
vent’anni prima.
È
il nipote di Enrico, il marchese di Nolli (Gianfelice Imparato) che, prima di
farli travestire di nuovo, spiega la situazione: lo zio crede di essere nel
1064 e di avere 26 anni, cosicché per continuare la farsa viene ciclicamente
inscenata la richiesta di perdono a papa Gregorio VII, che Enrico, pur se
vestito con il saio del penitente, apostrofa senza mezzi termini “il vescovo
falso”. Naturalmente, sotto la copiosa neve di scena, il pontefice non accorda
mai il ritiro della scomunica, in modo da poter riproporre la commedia più
avanti, come accade ormai da tempo.
L’arrivo
dei vecchi amici aumenta la ricchezza dei personaggi e, teoricamente, la
verosimiglianza della storia: Matilde (Claudia Cardinale), all’epoca del carnevale chiamata ad
interpretare Matilde di Canossa e oggi Adelaide di Savoia, allora era la donna amata da Enrico, mentre oggi è sposata con Belcredi (Paolo
Bonacelli), anche lui presente vent’anni prima, mentre la loro figlia, Frida
(Latou Chardons), è la fidanzata del giovane marchese.
L’impressionante
somiglianza della ragazza con la madre quando aveva la sua età – le due donne
nei due momenti del racconto, infatti, sono interpretate dalla stessa attrice
francese –, fa ideare allo psichiatra di Enrico (Leopoldo Trieste), che nella
finzione sarà il monsignore, un’ulteriore messa in scena: causare un
contro trauma nel protagonista evocando in lui l’immagine di Matilde attraverso
la presenza di Frida vestita con gli stessi abiti indossati dalla madre il
giorno dell’incidente.
Enrico,
però, sembra nascondere qualcosa e appare ormai stanco di tutta questa
teatralità, cosicché in un momento di ira esplode – “non si può avere sempre 26
anni!” – per poi andare a “rilassarsi” montando in sella ad un cavallo,
rigorosamente a dondolo, in uno dei momenti più poetici dell’intero film.
I
monologhi di Enrico rappresentano i punti più alti della recitazione di
Mastroianni, che accusa tutti gli altri – “credete di vivere e rimasticare la
vita dei morti” – dimostrando con una risata liberatoria che in fondo “niente è
vero” e la sostanziale relatività della verità, in un topos pirandelliano che fa il paio con il monologo sul concetto di
maschera tanto caro al drammaturgo siciliano.
La
chiosa degli sfoghi di Enrico è quantomai significativa – “da bambino credevo a
tutto ed ero beato” –, segno che le maschere sono una necessità sociale solo
dopo l’infanzia. La sorprendente rivelazione di aver allungato a vent’anni la
durata del consueto semel in anno licet
insanire, ben oltre la reale “pazzia”, rende inutile lo stratagemma dello
psichiatra che comunque, messo in atto, si trasforma in un finale da vera tragedia classica, in cui Enrico spiega la reale motivazione della
caduta da cavallo che ha dato origine a tutto e il perché della sua vendetta:
il passo successivo è lanciare sassi di plastica contro gli altri
personaggi, fino ad uccidere uno di loro, ma con una spada anch’essa di
plastica… nulla è davvero mai reale!
La guarigione, peraltro, dà anche la possibilità di far letteralmente ripartire il tempo, uno degli elementi più simbolici della vicenda, rappresentato dal grande orologio sulla facciata del castello, fermo alle otto meno dieci del giorno del carnevale, che dopo vent’anni viene riattivato dai due servitori di Enrico (Claudio Spadaro e Giuseppe Cederna), quelli che ora, come non manca di sottolineare il protagonista, hanno poco da guadagnare, perché saranno i primi a perdere il posto (“di voi ora non ci sarà più bisogno”).
Diversi i momenti in cui inserti contemporanei tradiscono la reale epoca in cui vive l'imperatore folle, ma su tutti si notino i ritratti di Enrico e Matilde da giovani, che non sembrano certo dipinti di età medievale, o i servitori dell'imperatore che a tavola cantano Mi piaccion le sbarbine degli Skiantos.
Bellocchio, emiliano di Bobbio, sceglie come location la Rocchetta
Mattei, nel comune di Grizzana Morandi (Bologna), un bel castello ottocentesco fatto costruire da Cesare Mattei, la cui storia personale non sembra troppo lontana da quella dell'Enrico protagonista del film, capace di ricreare un'atmosfera medievale con tanto di corte e di buffone in un luogo in cui ospitò, tra gli altri, Ludovico III di Baviera e lo zar Alessandro II. L'eclettica architettura permette al regista di sistemare la mdp in punti incredibili, cosicché, ad esempio, le inquadrature dall’alto riprese tra le transenne pseudo-romaniche e le murature bianco-verdi sono davvero indimenticabili.
L'autobiografia del regista de I pugni in tasca (1965) è sempre dietro l'angolo, e la figura dello psichiatra interpretato da Leopoldo Trieste, pur presente nel dramma di Pirandello - non può non far pensare al complesso rapporto di Bellocchio con lo psichiatra Massimo Fagioli. D'altronde il cineasta ha recentemente dichiarato che "quello che sono emerge in qualsiasi film, anche se ne facessi uno su Napoleone".
Un consiglio per chi non avesse mai visto la pellicola: la scena di Mastroianni che dopo le sue rivelazioni finali indossa un paio di occhiali da
sole abbigliato da sovrano medievale, vale assolutamente la visione del film!
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