Il western segue precise regole e pretende alcuni motivi portanti e altrettanti personaggi chiave: la ferrovia, la vendetta, l'ingiustizia quotidiana, uno sceriffo, un prepotente, un eroe, una o più belle donne contese tra buoni e cattivi, secondo un sistema manicheo tanto caro al genere.
C'è tutto questo nell'ultimo film di Kristian Levring, il regista danese tra i fondatori del movimento Dogma 95, mai seguito davvero dai suoi fautori e ormai tramontato e caduto nel dimenticatoio. In effetti The Salvation è quantomai lontano da tutto ciò che il manifesto del 1995 professava: luci (il direttore della fotografia è Jens Schlosser), scenografia (Jørgen Munk) e musica (Kasper Winding), infatti, ci sono e hanno ruoli fondamentali nell'economia del film, ma soprattutto l'esclusivo utilizzo della camera a mano è totalmente ignorato in favore di carrelli in avanti, indietro, dolly, panoramiche a schiaffo e tanti altri movimenti della mdp (bellissimo, solo per citarne uno, un dolly che segue il movimento verticale di una carrucola azionata da una donna e che poi prosegue ancora più in alto e dal tetto dell'edificio getta uno sguardo-inquadratura sulla strada principale del villaggio).
Jon (Mads Mikkelsen) è un soldato danese che da anni vive negli Stati Uniti, con il fratello Peter (Mikael Persbrandt), ed è giunto finalmente il momento in cui la moglie e il figlio lo raggiungono per tornare a vivere con lui. Purtroppo il viaggio in diligenza dopo l'arrivo alla stazione ferroviaria si complica per la presenza di due brutti ceffi che molestano la bella Marie (Nanna Øland Fabricius)... Uno dei due malviventi, Paul, è il fratello di Henry Delarue (Jeffrey Dean Morgan), un ex colonnello dell'esercito americano che con l'aiuto di un manipolo di uomini - tra cui c'è Corso (Eric Cantona) - sta tiranneggiando sulla piccola città guidata dal sindaco Keane (Jonathan Pryce) e dallo sceriffo, il reverendo Mallick (Douglas Henshall), totalmente assoggettati, per vigliaccheria, ipocrisia ed interessi personali, al suo volere e ai suoi ricatti.
Il film di di Levring non rimarrà nella memoria a lungo, ma gli va riconosciuto il rispetto di tutte le regole che fanno un buon western. Sono evidenti, inoltre, i riferimenti a due maestri del genere: quello statunitense, l'uomo che si presentava aggiungendo al suo nome l'espressione "faccio western", il grande John Ford, e il punto di riferimento europeo per chiunque abbia provato dopo di lui ad avventurarsi nel genere americano per antonomasia - Levring compreso naturalmente -, l'intramontabile Sergio Leone.
Lo stile di Ford si respira da subito, ad esempio nei diversi carrelli in avanti che dagli interni bui si aprono sui paesaggi assolati di praterie e canyon (si pensi alla celebre sequenza finale di Sentieri selvaggi - 1956, con John Wayne che si allontana - vedi), ma anche in personaggi duri e violenti come quello di Delarue, che concepisce come unica legge quella del taglione, a sostegno della quale si appella al Vecchio Testamento; di Leone c'è anche di più, perché oltre ad alcune inquadrature strette e alla colonna sonora che fanno tanto pensare ai suoi film, la trama stessa della pellicola ricorda molto da vicino quella di Per un pugno di dollari (1964), peraltro a sua volta ricavata da La sfida del samurai (Kurosawa 1961), con la figura di Jon a interpretare il ruolo che era stato di Toshiro Mifune prima e di Clint Eastwood poi.
Jon, tra le torture subite, secondo il classico schema dell'eroe silenzioso (nulla di paragonabile a quelle dei due omologhi appena citati), viene appeso ad un palo come un novello san Sebastiano e, nonostante l'aiuto del fratello e di un giovane quindicenne - altro topos western, basti pensare all'adolescente di Rio Bravo (Ford 1950) -, egli resta soprattutto un eroe solitario.
Jon, tra le torture subite, secondo il classico schema dell'eroe silenzioso (nulla di paragonabile a quelle dei due omologhi appena citati), viene appeso ad un palo come un novello san Sebastiano e, nonostante l'aiuto del fratello e di un giovane quindicenne - altro topos western, basti pensare all'adolescente di Rio Bravo (Ford 1950) -, egli resta soprattutto un eroe solitario.
Oltre ai riferimenti ai grandi maestri del genere, però, Levring aggiunge a più riprese la lezione di Quentin Tarantino (che al cinema di Leone deve molto): dalla sequenza nella diligenza con lo stallo alla messicana, come ne Le iene (1992), con più personaggi che si puntano una pistola contro, qui estremizzato da un uomo che ne impugna addirittura due, al tratteggio di alcuni personaggi, su tutti "la principessa", la bella Madeleine (Eva Green), che la sceneggiatura ci spiega essere costretta al silenzio perché resa muta dal taglio della lingua da parte degli indiani.
Proprio la lingua intesa come linguaggio è uno dei motivi originali inseriti nel film e che, soprattutto all'inizio della vicenda, ci fa percepire quale dovesse essere il contesto della mitica conquista del west tra uomini di ogni provenienza, che dovevano faticare a comprendersi parlando idiomi diversi. E ancora la lingua è fondamentale quando sentiamo parlare a più riprese di "quell'olio appiccicoso", segno che il petrolio non fosse ancora noto come fonte di ricchezza, quanto piuttosto considerato un elemento che intorbidiva l'acqua rendendola imbevibile.
Diverse le battute ad effetto, capaci di far sorridere lo spettatore anche nei massimi momenti di tensione... proprio come accade nei film di Sergio Leone e di Quentin Tarantino: "voglio indietro i miei stivali", dice Jon al sindaco Keane, che glieli ha portati via ben sapendo che dentro ci fossero un mucchio di banconote; e subito dopo gli anticipa la sua fine, vedendolo mentre esercita la sua professione di becchino fabbricando delle casse di legno ed esclamando che "tutti hanno diritto a una bara anche se non stanno andando in Paradiso" (come non pensare al "prepara tre casse" che poi diventano quattro di Per un pugno di dollari? - vedi).
Il film si apre con la ferrovia e si chiude proprio con i pozzi di petrolio - il futuro ormai è dietro l'angolo -, i due grandi miti del west, che fanno da perfetta cornice ad una pellicola di maniera, che non incanta per originalità e colpi di scena ma intrattiene con tecnica e cinefilia!
Per chi lo vedrà, ricordi di fare caso ad una mosca impertinente... la natura morta di sapore fiammingo, che proprio Sergio Leone aveva inserito in C'era una volta in West (1968), il film in cui c'era un ferrovia, c'era un eroe solitario, c'era una donna rimasta vedova...
Per chi lo vedrà, ricordi di fare caso ad una mosca impertinente... la natura morta di sapore fiammingo, che proprio Sergio Leone aveva inserito in C'era una volta in West (1968), il film in cui c'era un ferrovia, c'era un eroe solitario, c'era una donna rimasta vedova...
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