venerdì 19 giugno 2015

Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet (Jeunet 2013)

L'ultimo film del regista de Il favoloso mondo di Amélie (2001) è un nuovo romanzo di formazione in versione cinematografica - tratto dal libro di Reif Larsen - stavolta declinato al maschile, ben girato, con talento visionario e con l'ausilio del 3D, ma che purtroppo non regge l'intera durata del lungometraggio e, dopo una prima parte in crescendo, si perde quasi totalmente nella seconda, dove il ritmo cala enormemente, ma soprattutto cadendo nella contraddizione di criticare la televisione dei sentimenti e allo stesso tempo riproporla sul grande schermo.

Il piccolo T.S. (Kyle Catlett), protagonista e narratore di questa storia, è una figura a metà tra Tom Sawyer e Hugo Cabret: ad appena dieci anni, mentre cresce in una tipica fattoria del Montana, si sente un giovanissimo Leonardo da Vinci ed è affascinato dalla fisica e soprattutto dal moto perpetuo, studiando la quale realizza un prototipo di ruota alimentata grazie a dei magneti, in grado di vincere il primo premio allo Smithsonian Institution di Washington. 
Il germe della curiosità scientifica arriva a T.S. dalla madre (Helena Bonham Carter), entomologa fuori contesto, in una famiglia in cui il marito (Callum Keith Rennie) è un cowboy d'altri tempi - "nato cent'anni in ritardo" dice lo stesso T.S. -, la primogenita, Gracie (Niamh Wilson), è un'adolescente attenta alla moda e pronta ad evadere dalla provincia, e i due gemelli eterozigoti, T.S. e Layton (Jakob Davies), sono molto diversi. Tanto T.S. è simile alla madre, quanto Layton lo è al padre e già prontissimo ad essere un futuro uomo da ranch. Per dirla in poche parole, ancora con una perfetta sintesi di T.S.: "Layton ha avuto l'altezza e io i neuroni". Purtroppo, però, in uno dei rari momenti in cui i due fratelli sono vicini, Layton muore nel granaio della fattoria di famiglia, a causa di un incidente con un fucile, mentre il fratello approfitta per fare degli esperimenti scientifici. 
I silenzi successivi alla tragedia e la voglia di seguire la propria passione, spingeranno T.S. a mettersi in viaggio per Washington per andare a ritirare il premio che da quelle parti credono spetti al padre...

Alcune sequenze sono perfettamente nello stile Jeunet, dove questo si avvicina sempre più a quello di Wes Anderson, e nei quali alcuni pensieri dei personaggi prendono forma come vere e proprie digressioni visive: è il caso della rivelazione da parte di T.S. del premio vinto allo Smithsonian, a cui la sorella non riesce a credere e chiama in causa il suo cervello, messo in scena con una riunione da cda a cui partecipano diverse Gracie che discutono sul tipo di reazione da dover adottare nei confronti del fratello, in uno schema organico-cerebrale di gruppo che ricorda tanto il Woody Allen di Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere (1972). Ma sono tantissimi i momenti in cui, soprattutto T.S., sente parlare i suoi interlocutori e si lascia andare a riflessioni fisico-matematiche che il regista ci rivela con delle sovrimpressioni grafiche.

Il film, come anticipato, funziona e bene fino al viaggio di T.S.: lo spettatore conosce prima i vari membri della famiglia, visti con gli occhi del protagonista e ben delineati come personaggi, compreso il cane Tapioca, a cui è particolarmente affezionato Layton, e che con questo nome, una delle indimenticabili parole della supercazzola di Tognazzi in Amici miei (1975), almeno in Italia ha garanzie di simpatie cinefile assicurate. 
L'intelligenza vispa di T.S. diventa ancora più brillante quando è al servizio dei suoi problemi quotidiani, che inevitabilmente aumentano quando decide di partire da "irregolare" salendo su un treno merci, l'unica tipologia di treni che passa vicino il ranch degli Spivet. È da quel momento che gli vediamo compiere azioni argute e divertenti, degne di un piccolo 007, come salire su un camper e "interpretare" la sagoma di una pubblicità per sfuggire ai controlli della polizia, ma soprattutto riuscire a far fermare il treno dove non dovrebbe, colorando di rosso il vetro del semaforo ferroviario sempre verde, in una trovata geniale quanto semplice immortalata anche in uno dei disegni che costituiscono i bei titoli di coda della pellicola.
L'arrivo del treno a Chicago riserva a T.S. l'incontro con l'urbanizzazione e i grattacieli, da lui accolti con un eloquente battuta geometrica - "come possono gli esseri umani creare così tanti edifici ad angoli retti quando i loro comportamenti sono contorti e irrazionali?" -, mentre il camionista e reduce di guerra che lo accompagnerà in autostop fino alla capitale, permette alla sceneggiatura di inserire un'altra frase tagliente, stavolta in senso antimilitarista, "entra nell'esercito, gira il mondo e incontra persone interessanti... e uccidile".
Dall'arrivo di T.S. a Washington il film perde gran parte dei suoi pregi e vedere questo bambino prima sfruttato come "gallina dalle uova d'oro" dalla segretaria del prestigioso istituto di ricerca, la signora Gibson - interpretata da Judy Davis, che ripete le sue inconfondibili "faccette" che esprimono entusiasmo e disagio - e poi da un presentatore televisivo per far aumentare l'audience del suo talk-show, è una soluzione davvero banale. E questa diventa anche fuori luogo, quando l'evidente critica sociale ai media viene tutto sommato replicata dal film stesso che da una parte ridicolizza il ricorso ai buoni sentimenti a fini commerciali, ma dall'altra ricorre allo stesso schema facendo leggere a T.S. un discorso di ringraziamento, dal palco dello Smithsonian, per buona parte del tempo incentrato sulla morte del suo fratello gemello, tra le inevitabili lacrime degli astanti.
Il sogno americano per bambini (prodigio), con strizzate d'occhio agli adulti, è servito... 

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