mercoledì 10 giugno 2015

Eisenstein in Messico (Greenaway 2014)

Un trionfo di musiche di Prokofiev, split screen, giochi tra colore e bianco e nero, mdp sempre in movimento che quando si ferma lo fa solo per regalare prospettive rigorosamente centrali, fish eye, voglia di andare oltre i limiti dei benpensanti con oltraggiosa irriverenza, e tanto amore per la storia del cinema e per uno dei suoi più grandi autori... Con queste poche parole può essere condensato l'omaggio che Peter Greenaway ha girato su Sergej Eisenstein. Un Eisenstein in versione incredibilmente pop!

Il sottotitolo ideale che apre e chiude il film è significativo: "i dieci giorni che sconvolsero Eisenstein" si riferisce soprattutto alla vita privata del protagonista e allo stesso tempo è un evidente rimando a quello che in Europa fu il sottotitolo di Ottobre - I dieci giorni che sconvolsero il mondo (1927), la celebre pellicola del cineasta russo sulla rivoluzione del 1917, che insieme a Sciopero (1924) e La corazzata Potemkin (1925) costituiva il trittico di capolavori che gli valsero la chiamata a Hollywood da parte della Paramount nel 1930.
Greenaway si sofferma sul periodo immediatamente seguente, quando dopo aver chiuso prima di iniziarla la collaborazione con la major statunitense, Eisenstein si diresse in Messico e girò 400 km di pellicola per realizzare un film su quel paese, poi diventato Que viva Mexico! (1931), in realtà mai veramente completato da lui e uscito anche con il titolo di Lampi sul Messico (1933) senza il suo consenso. Quel materiale venne in seguito usato anche da altri registi creando altri film più o meno fedeli al progetto del suo ideatore. 
Il cineasta gallese ci racconta gli ultimi dieci giorni di Eisenstein in Messico, quando soggiornò nella città di Guanajuato - non a caso il titolo originale è Eisenstein in Guanajuato - e dove il cinema nella sua vita passò in secondo piano per far posto alla presa di coscienza della propria omosessualità, che si esplicò in una relazione con la guida messa a sua disposizione, Palomino Cañedo, un insegnante di religioni comparate, capace di spiegargli che "convincersi di essere brutto è una forma di esibizionismo". 
Elmer Bäck nei panni di Eisenstein e Luis Alberti in quelli di Palomino Cañedo sono bravissimi e sembrano sempre a proprio agio tra gli eccessi della scenografia e le difficili scene di sesso.
Greenaway, come già detto, utilizza lo split screen in maniera ossessiva e molto spesso a fini didattici, mostrando i personaggi del film in parallelo a foto di quelli reali: non solo Eisenstein e Palomino, ma anche Diego Rivera, Frida Kahlo ed altri, ma anche per farci vedere alcuni dei tanti big conosciuti dal regista sovietico a Hollywood, come Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks, Mary Pickford, Marlene Dietrich, Al Jonson e Robert Flaherty, il grande maestro documentarista che a quanto pare lo convinse ad andare in Messico per girare un film di questo tipo.
La storia dei grandi nomi prosegue anche con i compatrioti di Sergej, come il collega Pudovkin o Majakovski, con la cui piccola Renault mette a confronto la sua nuova Ford.
La fine del rapporto con la Paramount viene spiegata da Eisenstein stesso, che la liquida nettamente con la poca voglia degli americani di lavorare con un ebreo, rosso, sovietico...
L'atmosfera che si respira per tutta la durata del film è in qualche modo la soggettiva delle percezioni di Eisenstein, un trentenne entusiasta della vitalità messicana, dei suoi colori, dei suoi profumi, e lo dimostrano continuamente i suoi salti, la sua gioia, la sua voglia di lasciarsi andare con Cañedo.
Tante le sequenze di alto profilo, a cominciare da quella nel bagno dell'albergo, in cui Sergej si lava entrando in una doccia poco pratica, a dire il vero, poiché aperta, ma sistemata al centro dell'ambiente e esteticamente bellissima, e inizia un dialogo col proprio pene che di fatto è un'investitura per i giorni seguenti...
Il valore dell'immagine è primario nel cinema di Greenaway e lo dimostra anche l'attenzione per l'oggetto-immagine che circonda Eisenstein, dalla doccia appena citata, alla collezione di cartoline di dipinti celebri (si notano numerosi Caravaggio) o ai disegni erotici di suo pugno, che gli creano problemi con i controlli doganali. Le immagini, però, sono anche tutte quelle che sintetizzano la cultura messicana, tra cui la siesta, che Palomino gli insegna, alla religione stessa che giustamente la sua guida preferisce definire "cattolicesimo messicano", in effetti tutta un'altra cosa, fitto di sincretismo con gli antichi culti maya e aztechi, e in tal senso una delle immagini più significative è l'indio che suona la campana della chiesa di San Cayetano e che Greenaway inquadra più volte.

Il tema principale del film, però, così come accade praticamente in tutta la filmografia di Greenaway, è il contrasto eros-thanatos, e se da una parte il regista britannico indugia sulle scene di sesso tra i due amanti, compresa la lunga sequenza della prima penetrazione e della perdita della verginità di Eisenstein, girata come una vera e propria iniziazione e che si chiude con il segno occidentale della conquista, un'irriverente bandierina rossa che Cañedo fissa tra i glutei del suo amante europeo, dall'altra riempe lo schermo di scheletri e teschi, elementi fondamentali dell'iconografia messicana.
Suggestiva la danza che vede impegnati Sergej e Palomino con degli scheletri gonfiabili, così come il museo dei morti, con i corpi esposti in vetrina e i volti bloccati nel momento del dolore e che richiamano Munch ma anche i calchi di Pompei. Non meno bella l'immagine del regista russo con un teschio di zucchero in mano, mutuata da una famosa foto, e che si chiude ironicamente con il teschio sul telefono, poiché "la morte dovrebbe sempre essere pronta a rispondere a una chiamata". Se qui per un attimo Eisenstein interpreta Amleto, poco più avanti gioca anche a fare Dante, definendo Palomino la sua guida nell'oltretomba. 
A fare, infine, da terzo incomodo nel binomio freudiano-greenawayano c'è il denaro, di cui l'ottima sceneggiatura ci regala una splendida definizione, considerandolo in relazione con morte e sesso, poiché capace di ritardare la prima e di comprare il secondo. D'altronde nel cinema e a teatro si rappresentano sempre eros e thanatos, "per dimostrare che siamo due volte vivi", dichiara Eisenstein, in una battuta che sembra uscire direttamente dalla bocca di Peter Greenaway...

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