venerdì 22 maggio 2015

Youth - La giovinezza (Sorrentino 2015)

L'uscita del film di Paolo Sorrentino chiude la triade di cineasti italiani presenti a Cannes, un'edizione che  a livello nazionale difficilmente dimenticheremo... 
Se con Mia madre di Nanni Moretti e con Il racconto dei racconti di Matteo Garrone ci eravamo sorpresi per le deroghe ai loro consueti sistemi-cinema, rispettivamente grazie ad un dramma equilibrato dalla leggerezza della commedia per un regista che finora aveva scelto o l'uno o l'altra, e ad un fantasy tra castelli, corti e incantesimi per chi fino ad oggi, invece, aveva trattato i suoi soggetti con estremo realismo, con Youth rimaniamo nel mondo stilisticamente perfetto tipico della filmografia del suo autore.


Il film di Sorrentino dividerà anche questa volta: la storia narrata, infatti, sottosta alla forma suadente dell'opera e alcuni momenti sono dei veri e propri saggi di regia a se stanti, che i suoi denigratori ricorderanno come freddi e inutili, gli altri come dei capolavori assoluti.
Detto questo, però, il regista napoletano ha girato una pellicola intrisa di cultura e filosofia, a tratti paragonabile agli ultimi lavori di Terrence Malick, altro regista che divide le opinioni in maniera netta, ma che mantiene un suo stile rigorosissimo e riconoscibile fra mille, proprio come Sorrentino!
A riflettere sulla vita, analizzando i rapporti d'amicizia, quelli di coppia, gli aspetti professionali, chiedendosi quali siano i reali motori dell'esistenza e il senso di tutto quello che facciamo, sono soprattutto Fred Bullinger (Michael Caine), un grande direttore d'orchestra in pensione, che continua ad opporsi per motivi personali alla richiesta della regina d'Inghilterra di eseguire un concerto per la famiglia reale, e Mick Boyle (Harvey Keitel), un regista e sceneggiatore che sta chiudendo quello che considera il suo film-testamento, dall'evocativo titolo di L'ultimo giorno della vita.
I due amici ("noi due ci raccontiamo solo le cose belle") stanno soggiornando in un grande hotel tra le montagne della Svizzera e, detto per inciso, si tratta del Berghotel, inaugurato come sanatorio nel 1900 e poi diventato struttura ricettiva turistica, ma che resta di diritto nella storia della letteratura perché fa da sfondo alle vicende de La montagna incantata di Thomas Mann (1912). Con Fred c'è anche la figlia, Lena (Rachel Weisz), appena lasciata dal marito, Julian, a sua volta figlio di Mick, innamoratosi della pop star Paloma Faith (che interpreta se stessa); con Mick, invece, ci sono alcuni giovani collaboratori che stanno cercando di aiutarlo a trovare le parole giuste per l'ultima sequenza del suo film. Tra gli altri ospiti dell'albergo compaiono Jimmy (Paul Dano), un importante attore di Hollywood giunto lì per preparare la sua prossima interpretazione, un monaco tibetano, Miss Universo (Madalina Ghenea) e... Diego Armando Maradona (Roly Serrano), l'uomo a cui Sorrentino ha dedicato il suo recente Oscar, omaggiato ancora dal regista che lo tratta come icona al punto che anche gli altri personaggi del film gli si avvicinano con deferenza.
Su questa esile trama, Sorrentino costruisce la sua ipertrofica narrazione visiva, in cui è davvero difficile andare a pescare gli elementi più significativi, dato che quando tutto lo è nulla emerge sul resto. La densità della forma, per così dire, è già evidente nella locandina, in cui i due anziani protagonisti sono in piscina e guardano arrivare la bellissima Miss Universo, in una sorta di ribaltamento dell'iconografia veterotestamentaria di Susanna e i vecchioni, con questa modernissima Susanna ben più decisa dell'eroina biblica a mettersi in mostra e ad esporsi alla visione dei due uomini che restano abbacinati dalla sua statuaria bellezza ("stiamo vivendo l'ultimo idillio della nostra vita").
Si tratta di un'ideale femminile palesemente felliniano e, sia chiaro, non è possibile vedere Youth prescindendo da Federico Fellini, continuamente citato: Fred stesso lo ricorda molto fisicamente e ancora di più quando indossa il cappello, ma soprattutto quando sogna se stesso su una passerella per l'acqua alta a piazza San Marco a Venezia, dove, per non cadere, è giustificato a far sfiorare il proprio corpo contro quello di miss Universo; anche Mick, che si autoproclama un "grande regista di donne", ha una visione degna de La città delle donne (1980), quando in pieno giorno gli appaiono su una collina tutti i personaggi delle oltre cinquanta attrici da lui lanciate, compresa quella a cui è più legato, Brenda Morel (Jane Fonda), che nel presente, però, rischia di mandare in rovina il suo ultimo progetto cinematografico, preferendogli una serie tv meglio pagata.
La critica allo star system è dura, come sempre: il personaggio interpretato da Jane Fonda è sì una diva sul viale del tramonto, ma non ha nulla in comune con la Gloria Swanson del capolavoro di Billy Wilder, poiché è lucidissima nel volere più soldi che le servono per pagare la comunità di recupero del figlio; allo stesso tempo, Jimmy è, come il protagonista di Birdman, un attore in crisi perché identificato dal grande pubblico nel ruolo poco impegnato di un robot, Mister Q, mentre solo una bambina - in un inserto davvero troppo retorico - lo ricorda in un film in cui interpretava un padre incapace di esserlo. Anche gli stessi protagonisti vivono questi dissidi: Mick ancora aspetta di realizzare il suo capolavoro e Fred è ricordato soprattutto per le sue Canzoni semplici...
Gli attori sono bravissimi, e Paul Dano non sfigura al cospetto di due mostri sacri come Caine e Keitel. La colonna sonora, come sempre nei film del regista de Le conseguenze dell'amore, è eccellente e alterna Stravinsky al gruppo vintage britannico dei Retrosettes Sister Band (You got the love e Reality), che peraltro aprono la pellicola stando fisicamente sul set, da Dirty Hair di David Byrne a The Breeze / My Baby Cries di Bill Callahan, da Third and Seneca di Sun Kil Moon, alle bellissime Ceiling Gazing di Mark Kozelek e Just, quest'ultima adattata da David Lang che firma la musica del film (vedi tutti i titoli). Sorrentino, dal canto suo, è geniale nel creare immagini cinematografiche allo stato puro, a delineare un personaggio con pochi dettagli, a generare tensione con un movimento di camera o con un singolo oggetto che per un attimo condensa tutta l'attenzione del pubblico: si pensi in particolar modo ad un semplice oggetto-feticcio come l'incarto di una caramella che Fred talvolta tira fuori dalla tasca sfregandolo tra pollice e indice, mentre la mdp si avvicina e il suono viene amplificato a dismisura in una soggettiva sonora.
E così tutto è curato nei minimi dettagli: dall'oblò che fa da finestra di un ascensore alla parete bianca e rossa - quasi una tela di Rothko - su cui vediamo comparire il titolo del film, alle tante inquadrature in prospettiva centrale; dalle riprese a pelo d'acqua in piscina, a quelle delle saune e dei bagni turchi dell'albergo, che evocano inevitabilmente Ingres.
Come già detto, le possibili scene madri sono troppe: oltre a quelle già citate, va sicuramente ricordata quella in cui Fred, come un novello Orfeo, immagina di dirigere le mucche al pascolo e gli uccelli, come se componessero un'orchestra; quella in cui Mick, rigirando il binocolo per vedere il panorama, spiega che quella vista in lontananza è come appaiono i ricordi del passato alla sua età; quella lirica, girata al ralenti, di Maradona che palleggia con una pallina da tennis che gli abbiamo visto guardare con passione in precedenza e che lancia ad un'altezza incredibile per poi controllarla con il massimo della naturalezza, nonostante la sua obesità (ben oltre quella del vero Maradona).
È, infatti, il desiderio uno dei motori della vita, "quello che ci rende vivi", dice Jimmy in una delle tante chiacchiere sui massimi sistemi, e non è un caso che Julian, il figlio di Mick, confessi di aver lasciato Lena semplicemente perché la sua nuova fiamma è "brava a letto", e che la massaggiatrice di Fred elogi il contatto fisico ("si capiscono un sacco di cose toccandosi") e ne proclami la superiorità rispetto alla parola, pur confessando di non aver mai niente da dire (sic).
Non mancano i dettagli ironici: cosicché Maradona ha un grande tatuaggio sulla schiena che raffigura il volto di Karl Marx (a proposito di icone, quello vero ne ha uno di Che Guevara su un braccio e uno di Fidel Castro su una gamba); l'alpinista che prova a consolare Lena ha un approccio a dir poco imbarazzante, anche se poi riuscirà ad avvicinarla e a portarla a scalare (peraltro la palestra in cui la fa esercitare è in realtà l'interno dell'Acquario romano - Casa dell'architettura: complimenti a Sorrentino e ai suoi collaboratori per una location bellissima e raramente sfruttata); e ancora, Fred e Mick che scommettono sul silenzio o meno di un'anziana coppia di signori che vedono al ristorante dell'albergo o che si interrogano vicendevolmente sulle rispettive minzioni quotidiane; ma anche il buffo video pop di Paloma Faith, che sembra uscire da un film di Tarantino. 
Per chiudere con gli omaggi cinefili, proprio nel centenario della nascita di Orson Welles, Sorrentino sembra volerlo ricordare a più riprese: tra le donne che Mick vede nella sua visione felliniana, c'è anche Gilda Black, un'attrice di cui da giovani si erano innamorati sia lui che Fred, ma naturalmente con quel nome non può non immaginarla come la Gilda impersonata da Rita Hayworth e moglie di Welles; gli orologi a cucù con cui Fred si ferma a giocare in un negozio fanno pensare alla splendida battuta de Il terzo uomo con cui il personaggio interpretato da Orson Welles prendeva in giro la Svizzera che a fronte di secoli di pace era stata in grado di produrre solo orologi a cucù... (v. tra le frasi a sinistra di questo blog); tra le proposte del finale del film di Mick, uno dei collaboratori propone che il protagonista in punto di morte citi un oggetto insignificante che nella sua vita, però, abbia contato molto, proprio come Rosebud in Quarto potere, la slitta più famosa della storia del cinema...

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