Due anni dopo The Passion, Mel Gibson conferma la sua ossessione per la violenza e per un certo gusto dell'orrido, spesso davvero fine a se stesso, mascherandolo con un'assurda pretesa di fedeltà storica, sostenuta nel 2004 dalla recitazione in sanscrito e in questo caso dall'idioma maya yucateco.
Per tutto il film lo spettatore segue le vicende di Zampa di Giaguaro (Rudy Youngblood), un guerriero maya, figlio di Cielo di Selce (Morris Birdyellowhead), capo di un villaggio che viene devastato da una tribù nemica. Il giovane viene rapito insieme ad altri uomini della piccola comunità e lotterà per rimanere in vita, favorito anche da diversi eventi fortuiti che sembrano designarlo come un predestinato, fino all'arrivo delle tre caravelle di Cristoforo Colombo.
È probabilmente questa l'unica buona idea del soggetto, che sembra, con una certa dose di sovrainterpretazione, venire fuori dalla microstoria che negli anni settanta del Novecento teorizzarono Carlo Ginzburg, Giovanni Levi e Edoardo Grendi, privilegiando "la storia dal basso" a quella delle grandi vicende. La certezza, però, che di tutto questo non ci sia proprio nulla nel film di Gibson, lo dimostra la stessa storia di Zampa di Giaguaro, una sorta di supereroe maya che in nessun modo può essere considerato un uomo reale della fine del XV secolo.
Troppe le scene che strappano il sorriso per inverisimiglianza, e sarebbe impossibile elencarle tutte, ma vedere i prigionieri dipinti di blu, come i Puffi di Peyo e Delporte, che vengono portati alla sommità di una tipica torre da civiltà precolombiana, per vedersi togliere il cuore dal petto ed essere decapitati dai sacerdoti della tribù che li ha sottomessi, con il solo obiettivo di placare l'ira del dio Kukulkán, è davvero esilarante.
La storia di Zampa di Giaguaro, novello Mowgli che nella giungla ritrova il suo habitat, però, sconfina così tanto nel parossistico, che lo spettatore dopo un po' non può fare a meno di parteggiare per i "cattivi" che cercano di ucciderlo: il giovane maya viene salvato da un'eclissi solare, da un giaguaro che divora uno dei suoi inseguitori proprio mentre sia l'animale che il nemico stanno per raggiungerlo; da un serpente; da una scenografica cascata da cui si tuffa rimanendo illeso, a differenza di uno dei nemici che si schianta su uno scoglio sott'acqua; dal sangue di una rana, che usa per avvelenare delle spine che lancia con una cerbottana creata sul momento; dall'arrivo dei conquistadores spagnoli... Come se non bastasse, con un montaggio alternato, Gibson non ci risparmia nemmeno le vicende della famiglia del suo eroe: la compagna di Zampa di Giaguaro, incinta, e il piccolo primogenito, infatti, restano nella fossa-rifugio in cui vengono nascosti all'inizio della storia e in cui vivranno momenti di altissima tensione, fronteggiando animali feroci, acquazzoni che rischiano di farli affogare e il parto della donna, il miracolo della nascita che supera, naturalmente, tutte le difficoltà.
Tra i tanti dettagli improponibili di questo film, vanno menzionati alcuni movimenti degli attori, che sembrano direttamente mutuati dai principali sport statunitensi: durante la pellicola, vediamo Zampa di Giaguaro e un suo compagno di sventura correre a zig zag come in un campo da football americano; dei maya usare dei bastoni come mazze da golf e da baseball e fare scivolate nel fango come se dovessero aggiudicarsi un inning sul diamante, ma anche i carnefici dei prigionieri lanciare le teste mozzate dalla sommità della piramide per vederle cadere in grandi ceste alla fine del percorso, in una versione rudimentale del basket.
La regia di Gibson non solo è convenzionale, ma ciò che è peggio è il tentativo di volerle dare una forma artistica, come dimostrano le frequenti inquadrature dall'alto che non hanno mai una funzione narrativa. Ancora più goffa è poi la pretesa di collegare Apocalypto alla storia del cinema citando 2001. Odissea nello spazio (Kubrick 1968): il celeberrimo osso che volteggia in aria viene riproposto ben due volte, durante la sequenza iniziale della caccia al tapiro e più avanti, durante la fuga del protagonista nella giungla.
Il messaggio più grave, però, è quello più evidente e diseducativo: dopo oltre due ore di massacri, sangue e violenza, l'arrivo di Cristoforo Colmbo rischia di essere letto da chi non conosce la storia come una liberazione di quelle terre dall'inciviltà, giustificando così lo sterminio successivo e da cui speriamo che Gibson non venga mai affascinato per un nuovo progetto cinematografico.
Parafrasando Zampa di Giaguaro che, dopo aver visto gli spagnoli, dice alla sua compagna "dovremmo andare nella foresta per cercare un nuovo inizio", a noi non resta che cercare un altro film, sapendo quanto sia difficile trovare di peggio...
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