Rifacimento dell'horror coreano Two sisters (Ji-woon Kim 2003), la pellicola dei fratelli Charles e Thomas Guard non è paragonabile all'originale di cui è piuttosto una versione semplificata che sconfina in un prodotto da teen movie.
Anna (Emily Browning) è l'adolescente che esce dall'istituto psichiatrico in cui è stata ricoverata in seguito alla morte della madre, da tempo malata, ma rimasta vittima di un misterioso incendio. A casa ritrova Steven (David Strathairn), il padre scrittore, e la sua nuova fidanzata, Rachel (Elizabeth Banks), ai tempi infermiera della mamma, una relazione per Anna decisamente inaccettabile. È per questo che la giovane si confida con sua sorella maggiore, Alex (Arielle Kebbel), che, pur odiando la matrigna, sembra essere più solida...
Il film, grazie al soggetto di Ji-woon Kim, a sua volta tratto da una fiaba della tradizione coreana, funziona, ma tutto è molto più superficiale e, paradossale per un horror, più leggero: le visioni e gli incubi di Anna appaiono stemperati; gli scontri con Rachel non superano mai il cliché del rapporto figlia-matrigna, che nell'originale veniva arricchito da sottili giochi psicologici (qui una delle ripicche delle ragazze contro Rachel è "addirittura" togliere le batterie dal suo vibratore... sic!); ma la cosa più grave è che l'ambiguità che caratterizza tutti i rapporti nel film coreano, qui spesso si perde in favore di una trama troppe volte spiegata dai personaggi stessi. Di fatto i pochi ma incisivi dialoghi del film del 2003 vengono inutilmente moltiplicati nel remake dalla sceneggiatura, non certo indimenticabile, scritta da Craig Rosenberg, Doug Miro e Carlo Bernard, che però tra le aggiunte inserisce una sottotrama investigativa che offre una valida novità alla trama già nota.
Il personaggio più trasformato è quello di Alex, qui una tipica ragazza sexy che fa girare la testa ai pari età del college, una netta differenza che ribalta anche i rapporti tra le due ragazze rispetto all'originale, in cui la sorella della protagonista è più piccola e viene coccolata, mentre qui è già molto più avanti con le esperienze. A dimostrarlo basterebbe il solo flashback iniziale (altro elemento aggiunto dai Guard): un'immancabile festa sulla spiaggia che ci mostra Alex brilla e attorniata da ragazzi e Anna che, invece, decide di tornare a casa quando il fidanzato Matt (Jesse Moss) le propone di fare sesso.
Tutto, come in un film per teen-ager, sembra ruotare attorno a queste dinamiche, e persino la figura di Rachel, che nel prototipo era lo sfaccettato personaggio di Eun-Joo, qui si limita ad essere una manipolatrice del padre delle ragazze soprattutto grazie alle sue capacità sessuali: in una delle sequenze in cui Anna mostra tutto il suo disagio dopo il ritorno a casa, la ragazza è costretta a mettersi le cuffie con la musica ad alto volume per evitare di sentire i mugolii dei due nell'altra stanza. Curiosità che non ti aspetti: la canzone che ascolta in quel momento è The songs that we sing di Charlotte Gainsbourg. Va detto, però, che quando Rachel offre altri lati della sua personalità va anche peggio: per giustificare con Anna l'acquisto di una nuova auto al posto di quella che era della madre defunta, per esempio, prorompe in un "ho pensato che la famiglia avesse bisogno di qualcosa di più fico", che lascia basiti gli spettatori più della figliastra.
Eppure, oltre alle immagini mutuate dal film di Ji-woon Kim - su tutte la bellissima inquadratura dall'alto del molo in legno sul lago, dove le sorelle dialogano e si confidano -, le sequenze da horror hanno un forte impatto: si pensi soprattutto ai bambini morti che Anna vede rinchiusi in sacchi di plastica nella foresta - wrapped in plastic era un tormentone all'epoca di Twin Peaks, nonché il titolo della fanzine del capolavoro seriale lynchiano -, ma anche il bicchiere di latte che cadendo si trasforma in sangue e, perché no, il mistero che aleggia attorno a Mildred Kemp, la donna che ha ucciso i tre bambini...
Anna (Emily Browning) è l'adolescente che esce dall'istituto psichiatrico in cui è stata ricoverata in seguito alla morte della madre, da tempo malata, ma rimasta vittima di un misterioso incendio. A casa ritrova Steven (David Strathairn), il padre scrittore, e la sua nuova fidanzata, Rachel (Elizabeth Banks), ai tempi infermiera della mamma, una relazione per Anna decisamente inaccettabile. È per questo che la giovane si confida con sua sorella maggiore, Alex (Arielle Kebbel), che, pur odiando la matrigna, sembra essere più solida...
Il film, grazie al soggetto di Ji-woon Kim, a sua volta tratto da una fiaba della tradizione coreana, funziona, ma tutto è molto più superficiale e, paradossale per un horror, più leggero: le visioni e gli incubi di Anna appaiono stemperati; gli scontri con Rachel non superano mai il cliché del rapporto figlia-matrigna, che nell'originale veniva arricchito da sottili giochi psicologici (qui una delle ripicche delle ragazze contro Rachel è "addirittura" togliere le batterie dal suo vibratore... sic!); ma la cosa più grave è che l'ambiguità che caratterizza tutti i rapporti nel film coreano, qui spesso si perde in favore di una trama troppe volte spiegata dai personaggi stessi. Di fatto i pochi ma incisivi dialoghi del film del 2003 vengono inutilmente moltiplicati nel remake dalla sceneggiatura, non certo indimenticabile, scritta da Craig Rosenberg, Doug Miro e Carlo Bernard, che però tra le aggiunte inserisce una sottotrama investigativa che offre una valida novità alla trama già nota.
Il personaggio più trasformato è quello di Alex, qui una tipica ragazza sexy che fa girare la testa ai pari età del college, una netta differenza che ribalta anche i rapporti tra le due ragazze rispetto all'originale, in cui la sorella della protagonista è più piccola e viene coccolata, mentre qui è già molto più avanti con le esperienze. A dimostrarlo basterebbe il solo flashback iniziale (altro elemento aggiunto dai Guard): un'immancabile festa sulla spiaggia che ci mostra Alex brilla e attorniata da ragazzi e Anna che, invece, decide di tornare a casa quando il fidanzato Matt (Jesse Moss) le propone di fare sesso.
Tutto, come in un film per teen-ager, sembra ruotare attorno a queste dinamiche, e persino la figura di Rachel, che nel prototipo era lo sfaccettato personaggio di Eun-Joo, qui si limita ad essere una manipolatrice del padre delle ragazze soprattutto grazie alle sue capacità sessuali: in una delle sequenze in cui Anna mostra tutto il suo disagio dopo il ritorno a casa, la ragazza è costretta a mettersi le cuffie con la musica ad alto volume per evitare di sentire i mugolii dei due nell'altra stanza. Curiosità che non ti aspetti: la canzone che ascolta in quel momento è The songs that we sing di Charlotte Gainsbourg. Va detto, però, che quando Rachel offre altri lati della sua personalità va anche peggio: per giustificare con Anna l'acquisto di una nuova auto al posto di quella che era della madre defunta, per esempio, prorompe in un "ho pensato che la famiglia avesse bisogno di qualcosa di più fico", che lascia basiti gli spettatori più della figliastra.
Eppure, oltre alle immagini mutuate dal film di Ji-woon Kim - su tutte la bellissima inquadratura dall'alto del molo in legno sul lago, dove le sorelle dialogano e si confidano -, le sequenze da horror hanno un forte impatto: si pensi soprattutto ai bambini morti che Anna vede rinchiusi in sacchi di plastica nella foresta - wrapped in plastic era un tormentone all'epoca di Twin Peaks, nonché il titolo della fanzine del capolavoro seriale lynchiano -, ma anche il bicchiere di latte che cadendo si trasforma in sangue e, perché no, il mistero che aleggia attorno a Mildred Kemp, la donna che ha ucciso i tre bambini...
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