Il tanto atteso film di Abel Ferrara su Pier Paolo Pasolini è finalmente nelle sale.
Sarà la lunga attesa, sarà che Willem Dafoe, pur se bravissimo, resta Willem Dafoe e, anche se doppiato da Fabrizio Gifuni, non c'è nemmeno un momento in cui lo spettatore riesca a dimenticare che a interpretare Pasolini ci sia un attore di Hollywood, fino al colmo di vedere il grande scrittore, poeta, regista italiano, contare con le dita come se fosse uno statunitense e fare un tre senza usare il pollice.
Eppure, sia chiaro, Dafoe ha fatto un lavoro incredibile, degno dell'actor studio, riproducendo attentamente le movenze, gli atteggiamenti e i gesti del grande Pier Paolo, aiutato da quel volto spigoloso e ossuto che tanto lo ricorda.
Abel Ferrara decide di raccontare l'ultimo giorno di PPP, quello delle ultime interviste, con Le 120 giornate di Sodoma che sta scandalizzando il Paese; quello in cui scrive a Moravia di Petrolio, uno dei progetti rimasti incompiuti, così come Porno Theo Kolossal, il film che sta preparando per Eduardo e Ninetto Davoli; quello in cui, dopo aver fatto salire in macchina Giuseppe Pelosi, decide di andare all'idroscalo, il luogo appartato dove la sua vita terminerà.
La storia è incorniciata da due interviste, appunto, quella per la televisione francese ("Scandalizzare è un diritto, essere scandalizzati è un piacere, chi rifiuta di essere scandalizzato è un moralista!") e quella rilasciata proprio il 1° novembre 1975, a Furio Colombo, davanti al quale dichiara "io scendo all'Inferno e so molte cose che per ora non disturbano la pace degli altri, ma state attenti, l'Inferno sta salendo da voi [...] siamo tutti vittime, siamo tutti colpevoli [...] forse sono io che sbaglio, ma continuo a pensare che siamo tutti in pericolo".
È quindi il Pasolini politico che sembra emergere nell'interesse del regista americano, che si concentra sulla grande capacità dell'intellettuale di essere "avanti" e di interpretare la situazione contemporanea meglio degli altri, al punto da sembrare, col senno di poi, un profeta. Il regista di Fratelli non si arrovella, invece, sull'omicidio, evitando di entrare nel merito del mistero e accettando la versione della causa omofobica di quella morte, che sarebbe stata causata da un pestaggio di alcuni ragazzi "disturbati" dall'omosessualità di Pasolini e forse persino ignari della sua identità, paradossalmente poche ore dopo dalla cena con Pelosi al Biondo Tevere, il ristorante che fino ad allora era sì famoso nella storia del cinema italiano, ma solo per essere stato teatro di una bella sequenza di Bellissima (Visconti 1952). L'immancabile sottofondo lirico nella scena all'idroscalo, infine, dà la sensazione di essere frutto dell'idea macchiettistica che negli Stati Uniti si ha dell'Italia, pur se quantomeno la scelta di Maria Callas che canta il rossiniano Una voce poco fa può essere omaggio ad un altro importante brano di vita pasoliniana altrimenti taciuto.
È quindi il Pasolini politico che sembra emergere nell'interesse del regista americano, che si concentra sulla grande capacità dell'intellettuale di essere "avanti" e di interpretare la situazione contemporanea meglio degli altri, al punto da sembrare, col senno di poi, un profeta. Il regista di Fratelli non si arrovella, invece, sull'omicidio, evitando di entrare nel merito del mistero e accettando la versione della causa omofobica di quella morte, che sarebbe stata causata da un pestaggio di alcuni ragazzi "disturbati" dall'omosessualità di Pasolini e forse persino ignari della sua identità, paradossalmente poche ore dopo dalla cena con Pelosi al Biondo Tevere, il ristorante che fino ad allora era sì famoso nella storia del cinema italiano, ma solo per essere stato teatro di una bella sequenza di Bellissima (Visconti 1952). L'immancabile sottofondo lirico nella scena all'idroscalo, infine, dà la sensazione di essere frutto dell'idea macchiettistica che negli Stati Uniti si ha dell'Italia, pur se quantomeno la scelta di Maria Callas che canta il rossiniano Una voce poco fa può essere omaggio ad un altro importante brano di vita pasoliniana altrimenti taciuto.
Ma non c'è solo questo, poiché Abel Ferrara si sofferma sulla vita privata di Pasolini, quella degli affetti nella sua casa all'EUR, dove vive con la madre Susanna e la cugina Graziella Chiarcossi, a cui viene a far spesso visita Laura Betti. Le tre donne vengono interpretate rispettivamente da una convincente Adriana Asti, da Giada Colagrande (moglie di Willem Dafoe nella vita) e da una divertentissima Maria de Medeiros nei panni dell'istrionica attrice emiliana, reduce dal doppiaggio del "diavolo", come le dice Graziella, in riferimento al lavoro fatto per l'edizione italiana de L'esorcista (Friedkin 1973). Ferrara, inoltre, indugia nella camera del poeta, riprendendo i suoi oggetti caratterizzanti, gli occhiali, la macchina da scrivere, così come non rinuncia alla scena della partita di calcio su un campo di terra in periferia, quel calcio che già allora per Pasolini era "l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo". C'è una fugace apparizione anche per il cugino friuliano di Pier Paolo, Nico Naldini (Valerio Mastandrea), e per Ninetto Davoli a cui presta il volto, con poca somiglianza, uno spaesato Riccardo Scamarcio. È bello, però, ci sia spazio anche per il vero Ninetto Davoli, a cui Abel Ferrara riserva il personaggio di Epifanio, che avrebbe dovuto interpretare Eduardo de Filippo in Porno Theo Kolossal e che, paradossalmente, recita al fianco del giovane Ninetto Davoli scamarcesco che nella finzione interpreta Nunzio, il figlio di Epifanio. Si tratta delle scene che riproducono brani del film
mai girato, la cui resa è qualcosa a metà tra le sequenze più poetiche di Uccellacci uccellini e passi onirici del cinema di Fellini. Tra queste spicca, in una Roma identificata con Sodoma - e che Ferrara immortala nei nostri giorni -, la "festa della fertilità", in cui uomini e donne omosessuali, per un giorno all'anno, si accoppiano incrociando i sessi al solo fine di procreare e all'eloquente grido di "cazzo vaffanculo" e "fica vaffanculo", mentre Epifanio e Nunzio si ritrovano a scoprire che il Paradiso non esiste mentre contemplano il cielo, un po' come il Benigni de La voce della luna (Fellini 1990), in un crescendo anti-narrativo che sembra confermare la frase pasoliniana che fa da sfondo a tutto il film e, in parte, alla recente filmografia di Abel Ferrara: "l'arte narrativa, come voi ben sapete, è morta. Noi siamo in lutto".
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